A Vienna il Milan conquista la seconda Coppa dei Campioni consecutiva: sono trascorsi trent’anni dalla finale col Benfica che consacrò un ciclo irripetibile
di Stefano Ravaglia
Fu tutto diverso rispetto a 364 giorni prima. Diverso lo stadio, diverso il numero di milanisti al seguito, diverso l’avversario, differente anche la squadra, ma in positivo. Con una maturità a una consapevolezza che, finalmente, era arrivata dopo l’iniziale diffidenza. Il 23 maggio 1990 è un’altra tappa dello storico percorso del Milan di Arrigo Sacchi. La diffidenza alla quale ci riferiamo, è quella che nei primi mesi della stagione 1987-88 accoglie il “signor nessuno” da Fusignano, ancor più marcata dopo i primi risultati negativi del suo nuovo Milan.
Un Milan nel quale “sua emittenza” Berlusconi aveva rovesciato quintali di denaro. Donadoni, Galli, Galderisi, Massaro, questi i nomi dei suoi primi acquisti nel 1986, Van Basten e Gullit invece quelli dell’estate ’87. Il primo costò 1 miliardo, il secondo ben 13: per l’epoca erano un sacco di soldi. Oggi quanto potrebbero valere? La risposta farebbe rabbrividire. E invece, dopo i primi claudicanti mesi, arriva la svolta. Il 25 ottobre ’87 a Verona il Milan coglie una vittoria importantissima e da lì in poi la squadra inizierà ad accettare quei metodi innovativi e frustranti del tecnico romagnolo.
Dodici mesi prima di quel 23 maggio, si era toccato il punto più alto della storia. Dopo lo scudetto e un cammino in Coppa dei Campioni romanzesco, con tre gol ingiustamente annullati e la nebbia di Belgrado che rischiò di vanificare tutto, a Barcellona, in uno stadio stracolmo di 90 mila milanisti, dopo vent’anni dal Milan di Rocco e Rivera, i rossoneri tornarono a vincere la Coppa dei Campioni. Il giorno seguente, Sacchi, già pensava alla stagione successiva, per paura che gli altri fossero già in grado di cogliere le contromisure.
La Coppa dei Campioni 1989-90 che vede il Milan partire come testa di serie, regala un turno tutt’altro che facile al primo colpo: c’è ancora il Real Madrid mortificato pochi mesi prima (5-0) in semifinale. Mentre l’Inter scudettata viene mortificata dal Malmoe venendo eliminata, il Milan vince 2-0 a San Siro, sconfitta ininfluente al “Bernabeu” per 1-0. Anche nei quarti di finale si fa dura. I belgi del Malines, che due anni prima avevano vinto la Coppa delle Coppe buttando fuori anche l’Atalanta, danno del filo da torcere ai sacchiani. A Malines finisce 0-0, e anche a San Siro reti inviolate dopo novanta minuti. Nei supplementari, in dieci contro undici per l’espulsione di Donadoni, i rossoneri vincono con le reti di Van Basten e un giovane Marco Simone.
Semifinale dunque, ancora una volta. E anche qui, nessuna passeggiata. Il Bayern Monaco di Jupp Heynckes in panchina, con Augenthaler, Kohler, Wohlfart e il futuro pupillo di Trapattoni, Strunz, reso celebre dalla conferenza stampa del secolo, in campo, sono un altro osso duro. A San Siro, Donadoni viene abbattuto in area e Van Basten trasforma il rigore del successo, mentre a Monaco è proprio Strunz a impattare e anche qua servono i supplementari.
Se c’è un momento che fotografa la vita e la carriera del compianto Stefano Borgonovo, morto di Sla, è quel pallonetto al minuto numero 100 di Bayern Monaco-Milan: la rete del pareggio rende superfluo il 2-1 di McInally per i padroni di casa. Il Milan va in finale per il secondo anno consecutivo.
Al Prater di Vienna, dove l’Inter batté il Real Madrid, anche il Milan scrive la storia. Ma scordatevi il vecchio Steaua: di fronte c’è il Benfica, nel frattempo già vittima della maledizione di Bela Guttmann, che torna in finale dopo due stagioni. Nel 1988 fu sconfitto ai rigori da un noiosissimo Psv Ehindoven targato Hiddink, questa volta prende le misure al Milan come lo Steaua non era riuscito a fare. Merito del lavoro in panchina di un certo Sven Goran Eriksson, che nel 2000 porterà allo scudetto la Lazio e in campo ha due futuri romanisti, Thern e Aldair.
Il Milan di bianco vestito ha solo un cambio rispetto alla stagione precedente: non c’è Colombo ma Evani, messo ko nel 1989 da un grave infortunio prima del 5-0 al Real Madrid. Le ultime settimane sono state tribolatissime: il Milan, in corsa su cinque fronti, ha vinto l’Intercontinentale e la Supercoppa Europea in dicembre, ma in tre giorni, ad aprile, si è visto sfuggire da sotto al naso due obbiettivi. Il 22 aprile, nel caos di Verona, con Lo Bello che caccia Van Basten, Costacurta, Rijkaard e anche Arrigo Sacchi, i gialloblu vincono 2-1 e consegnano lo scudetto al Napoli, figlio anche della monetina da 100 lire piovuta sulla testa di Alemao a Bergamo pochi giorni prima. Mercoledì 25 aprile invece, a San Siro si svolge la prima partita con il nuovo terzo anello e la copertura: è la finale di ritorno di Coppa Italia, che la Juventus soffia ai rossoneri vincendo con una rete di Galia. La Coppa dei Campioni dunque è un obbiettivo da non mancare assolutamente per non vanificare un periodo d’oro. La tifoseria rossonera non ha mezzi termine ed espone due striscioni eloquenti: “Se il Napoli è campione d’Italia ci fa schifo essere italiani”, e “Napoli, vuoi la finale? 800 lire di costa in totale”.
E’ quasi una partita a scacchi, il Benfica orgoglioso e gagliardo riesce a bloccare i rossoneri, di bianco vestito come prevedono le finali. Fino a una ventina di minuti dalla fine, almeno: Baresi avanza a passo felpato col pallone, becca Van Basten che gli viene incontro e si completa un’azione a due tocchi che manda in porta Frank Rijkaard, lo smemorato che vola in porta solo davanti a Silvino aprendo la retroguardia portoghese. Il destro secco buca il numero uno avversario, senza alcuno scampo. Sarà la rete sufficiente ad alzare la seconda Coppa dei Campioni consecutiva, bis che non riusciva da una decina d’anni, quando fu il Nottingham Forest a vincere nel 1979 e nel 1980. E doppietta che resisterà sino all’epoca del Real Madrid di Ronaldo. E’ l’ultima partita nel Milan di Giovanni Galli, che andrà proprio al Napoli. Sei mesi dopo, ancora a Tokyo, il Milan di Sacchi mette il suo sigillo: 3-0 all’Olimpia Asuncion, e terza Coppa Intercontinentale in bacheca. Il ciclo del romagnolo, di fatto, si chiuderà lì, perché nel maggio 1991 arriva la chiamata della Nazionale. Ma non termina il ciclo del Milan: con Fabio Capello, negli anni a venire, per i milanisti ci sarà ancora molto di cui divertirsi.