30 aprile 1994: l’ultimo giorno della Kop

Venticinque anni fa il Liverpool gioca la sua ultima partita davanti alla storica Kop, il settore più caldo dei suoi tifosi. Verrà sostituita da quella attuale, tutta con posti a sedere

 

di Stefano Ravaglia

 

C’erano tutti, quel pomeriggio. Dalglish, Fagan, la vedova di Shankly, la moglie di Paisley che da lì a un paio d’anni se ne sarebbe andato pure lui. Splendeva un sole quasi estivo su Anfield quel sabato 30 aprile 1994 e tutta quella gente riunita a bordo campo in realtà non aveva nulla da festeggiare. Il Liverpool chiudeva la stagione lontano dalle alte vette, ospitando il Norwich nell’ultima partita casalinga dell’annata. Non poteva essere una partita qualsiasi: per l’ultima volta i giocatori in maglia rossa avrebbero corso e sudato davanti ai vecchi gradini della Kop. Il tetto che stava su dai primi del Novecento, forniva una provvidenziale ombra alle persone assiepate, come sempre, nel luogo sacro non solo di Anfield ma forse di tutta Liverpool e di molto calcio europeo e mondiale. L’effetto degli imminenti settori “all-seated” dopo i tragici fatti di Hillsborough e l’epoca hooligans che aveva segnato una generazione, aveva portato al mutamento delle gradinate di tutti gli impianti inglesi. Niente più posti in piedi, barriere e corrimano, ma seggiolini dappertutto. Ecco che i calcinacci e il cemento della Kop, erano destinati, da quell’estate, a essere soppiantati da una nuova curva, più funzionale ed elegante, che mirava a conservare quell’aurea di invincibilità delle gradinate che l’avevano preceduta.

In realtà, seppur lo spirit of the Kop sia immortale, quell’effetto-giungla che per decenni ha accompagnato il Liverpool ad ogni partita casalinga, con la gente che si ammassava l’una sopra l’altra ad ogni gol e ondeggiava di continuo esponendo vessilli scouse, è andato scomparendo. Il calore è intatto, ma della Kop di un tempo restano soprattutto molti aneddoti. Chi si faceva portare fuori quasi soffocato dalla calca, facendosi passare di mano in mano verso l’uscita dagli altri spettatori, chi era bambino e vedeva le partite sulle spalle del proprio padre. Quando tra il 1898 e il 1900 gli inglesi sono impegnati nella guerra contro i boeri, una popolazione di origine olandese sita in Sudafrica, sono sicuri di vincere; e invece, nella battaglia che si svolge su una collina nei pressi di Ladysmith chiamata appunto “Spion Kop”, i britannici soccombono. Molti di loro venivano da Liverpool e da Preston, e così, per la verità anche in altre terraces d’Inghilterra, il nome Kop sarà un tratto distintivo di Anfield. La prima ad adottarlo fu il Mansor Ground, lo stadio dell’Arsenal in cui la squadra giocava prima di Highbury, e anche a Sheffield, nello stadio teatro del tragico pomeriggio del 15 aprile 1989, uno dei due settori (ironia della sorte, quello destinato al Nottingham Forest) si chiamava così. Essere kopites è un motivo d’orgoglio, e quando si va in trasferta a far baccano si parla di traveling Kop. Adesso, dopo il rinnovamento del 1994, quel nome è ben affisso all’esterno, in alto, ben visibile dalla strada, corredato dallo stemma del club. Quel pomeriggio di venticinque anni fa, per il Liverpool finisce anche male: proprio sotto a quello storico settore, il Norwich segna la rete della vittoria. Sulla Kop calava il sipario, così come sulla vita di Ayrton Senna, il giorno dopo a Imola: un weekend tristissimo, che si portò via, per motivi profondamente diversi, due miti del popolo.

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