7 maggio 1986 – Il giorno in cui Duckadam divenne Superman

L’eroe che fermò da solo l’armata blaugrana: storia di Helmuth Duckadam, il portiere rumeno che realizzò l’impossibile parando 4 rigori nella finale di Coppa Campioni 1986

Il destino a volte è beffardo, specialmente nel calcio. Così deve aver pensato il Barcellona quella maledetta sera del 7 maggio 1986, quando i blaugrana videro sfumare la Coppa dei Campioni per la seconda volta nella loro storia dopo la traumatica sconfitta 25 anni prima a Berna contro il Benfica.

I favori del pronostico erano tutti per la corazzata Barça allenata dall’inglese Terry Venables, una squadra zeppa di campioni come Schuster, Carrasco e Archibald. Dall’altra parte la semi-sconosciuta Steaua Bucarest, espressione di un paese dalla parte sbagliata della Cortina di Ferro agli occhi dell’Europa occidentale.

Eppure lo stadio Sanchez Pizjuan, gremito da 60.000 fanatici culé in festa, si trasformò in un incubo. Nonostante la schiacciante superiorità numerica sugli spalti, i pochi ma rumorosi tifosi rumeni festeggiarono una vittoria insperata, maturata dopo l’incredibile impresa del portiere Helmuth Duckadam, capace di parare tutti e 4 i rigori della lotteria finale. Per il Barça, ancora una volta, la Coppa dalle Grandi Orecchie sfumò in maniera rocambolesca.

LA PIGRIZIA RESE DUCKADAM LEGGENDA

A volte sono le casualità a scrivere le pagine più incredibili nella storia dello sport. Nel caso di Duckadam, fu la pigrizia ad indirizzarlo tra i pali, dando il via ad una delle carriere più singolari del calcio rumeno. Cresciuto a Semlac, minuscolo centro a 15 km da Arad, Duckadam mosse i primi passi nelle giovanili di Constructorul e UTA Arad, club con cui esordì nella massima serie. Dotato di talento ma privo di voglia di correre, il giovane Helmuth scelse quasi per inerzia il ruolo di portiere, l’unico che gli consentisse di stare fermo per 90 minuti.

La svolta arrivò nel 1982 con l’ingaggio da parte della Steaua Bucarest, nonostante le più ricche offerte ricevute dall’Universitatea Craiova. Nella capitale per lui fu però più semplice emergere. Una scelta di comodo, quasi pigra, che lo proiettò però verso un destino di gloria assoluta.

L’ARMATA BLU-ROSSA NATA IN CASERMA

Quando si parla della Steaua Bucarest, non si può prescindere dalle sue origini militari. Il club più titolato di Romania nacque nel 1947 come emanazione dell’esercito, con il nome ASA (Associazione Sportiva dell’Esercito). Solo nel 1961 assunse la denominazione Steaua, “Stella” in rumeno. In epoca sovietica, la tradizione di legare le società calcistiche alle istituzioni statali era frequente. Con parziale eccezione della jugoslava Stella Rossa, i club dominanti dei paesi oltrecortina erano di fatto delle propaggini dei vari corpi armati. Di solito a primeggiare era la squadra militare, mentre alla Dinamo veniva affidato il compito di rappresentare le forze dell’ordine e il Ministero degli Interni.

La Steaua Bucarest non fece eccezione. Nata come fenomeno interno all’esercito rumeno, crebbe fino a vincere trofei in serie, godendo di corsie preferenziali nei trasferimenti e nel reclutamento dei migliori giocatori del paese. Una storia che affonda le radici nel legame stretto tra pallone e caserma. Prima del 1985, il palmarès della Steaua Bucarest contava 9 campionati e 13 coppe nazionali rumene. Un bottino di tutto rispetto, che sarebbe però impallidito davanti ai trionfi che di lì a poco avrebbero consacrato i militari di Bucarest nell’Olimpo del calcio europeo.

Merito dell’intuizione del tecnico Ion Alecsandrescu che negli anni ’80 puntò su un gruppo di giovani promesse, affiancandoli al veterano Tudorel Stoica. Nacque così lo storico undici che avrebbe vinto tutto, con Duckadam tra i pali, la coppia di mastini Bumbescu-Barbulescu in difesa insieme a Iovan e al serbo Belodedici, successivamente ancora vittorioso in Coppa Campioni con la Stella Rossa Belgrado. A centrocampo, i muscoli di Majearu e Stoica servivano palloni al cervello Bölöni, mentre davanti il tridente Balint-Piturca-Lacatus, detto “la Bestia” e idolo dei tifosi, seminava il panico nelle difese avversarie. Quella Steaua sapeva unire talento, gioventù ed esperienza ad altissimi livelli. Gli ingredienti perfetti per entrare nella storia.

LA STEAUA TRA TALENTO E REGIME

La stagione 1984-85 rappresentò una svolta decisiva nella storia della Steaua Bucarest. Dopo 6 lunghi anni di digiuno, sotto la guida del coraggioso tecnico di etnia ungherese Emerich Jenei i militari riconquistarono il campionato rumeno, inaugurando un ciclo di vittorie destinato a coincidere con la progressiva “appropriazione” del club da parte di Valentin Ceausescu, il figlio prediletto del dittatore Nicolae. Nonostante l’indiscussa passione calcistica del rampollo, lo stesso Duckadam liquida come “leggenda metropolitana” l’idea che i trionfi della Steaua dipendessero dal tifo della famiglia Ceausescu. Ammettendo però irregolarità piuttosto evidenti, come nella finale di Coppa di Romania 1988 vinta dalla Steaua sulla Dinamo Bucarest, la squadra della polizia.

Tra il 1985 e il 1989 la Steaua Bucarest dominò incontrastata il calcio rumeno, forte anche dell’appoggio del regime Ceausescu? In quegli anni i militari vinsero 5 campionati e 4 coppe nazionali (una poi revocata), restando imbattuti per 104 partite di fila: score da record resi possibili dagli ipotetici favoritismi del potere?

Eppure, anche le vittorie europee della Steaua furono frutto del talento puro di una generazione d’oro. Dopo la Coppa Campioni 1986, nel 1988 i blu-rosso raggiunsero la semifinale, arrendendosi solo al Benfica. L’anno successivo solo il Milan di Arrigo Sacchi riuscì a piegarli, vincendo 4-0 la finale del Camp Nou. Nel 1987 inoltre, la Steaua alzò la Supercoppa Europea, battendo la Dinamo Kiev 1-0 con un gol del giovane Gheorghe Hagi. Si vocifera di un prestito “forzato” dallo Sportul Studentesc: Hagi avrebbe dovuto giocare solo quella gara con la maglia della Steaua. E invece rimase fino al 1990, quando venne acquistato dal Real Madrid, consacrandosi tra i migliori numeri 10 d’Europa.

Anche senza aiuti, la Steaua seppe scrivere la storia e in ogni caso, dal 1985 brillò come non mai. Merito, prima di tutto, di una generazione di campioni. Il resto, compresi gli interventi interessati del regime, è materia per gli esperti della storiografia.

L’IMPOSSIBILE DIVENTA REALTÀ: DUCKADAM FERMA IL BARCELLONA

Il cammino che portò la Steaua Bucarest alla finale di Coppa Campioni del 1986 fu tutt’altro che agevole. Nei primi turni i rumeni eliminarono squadre insidiose come il Vejle del danese Simonsen, l’Honved Budapest dell’astro nascente Détari e i finlandesi del Kuusysi Lahti. Ma fu in semifinale che la Steaua compì l’impresa, ribaltando la sconfitta dell’andata contro l’Anderlecht e vincendo 3-0 al ritorno nella bolgia dello Stadionul Ghencea. Una doppietta di Piturca e la rete di Balint lanciarono i blu-rossi all’atto conclusivo. Dall’altra parte il Barcellona arrivò in finale soffrendo, eliminando ai rigori Sparta Praga, Porto, Juventus e Goteborg dopo il 3-0 subito all’andata dagli svedesi. Solo Valentin Ceausescu credeva che saremmo arrivati in finale, ricordò molto tempo dopo Duckadam. Da sfavoriti, l’obiettivo era fare bella figura: “Avevamo una squadra molto tattica, con difese solide e giocavamo di rimessa”, spiegò un giorno il rumeno.

Quella sera a Siviglia erano presenti solo un migliaio di tifosi rumeni, rigorosamente selezionati tra militari e sostenitori del regime. Nonostante ciò, 40 approfittarono della trasferta per disertare e rimanere in Spagna. La Steaua, priva dello squalificato Stoica, riuscì nell’impresa di addormentare il gioco degli spagnoli, che si incepparono clamorosamente. I blaugrana non si aspettavano che gli sfavoriti rumeni reggessero fino ai tempi supplementari. Quando arrivò il 90′ sullo 0-0, i giocatori della Steaua pensarono di aver già centrato un obiettivo insperato. Nei supplementari però il Barça partì aggressivo, nonostante due ghiotte occasioni da gol fallite dai rumeni. Si andò ai calci di rigore.

Nessuno dei giocatori della Steaua si offrì volontario per tirare. L’unica speranza era che il portiere Duckadam riuscisse a parare uno o due tiri. Dopo l’errore di Majearu, ecco Alexanco sul dischetto. Duckadam scelse l’angolo e parò. Poi neutralizzò anche il penalty di Pedraza, indovinando la traiettoria dopo quello fallito da Boloni. La Steaua completerà l’impresa segnando i suoi due rigori con Lacatus e Balint, mentre il Barcellona sbaglierà ancora due volte Pichi Alonso e Marcos. Era nata la leggenda del ‘Superman rumeno’, come intitolò in prima pagina all’indomani il quotidiano italiano ‘Corriere dello Sport’.

Il ritorno a Bucarest per i giocatori della Steaua dopo la leggendaria impresa di Siviglia fu un trionfo senza precedenti. Ad attenderli c’era una festa colossale, degna degli eroi che quella notte avevano sconfitto il blasonato Barcellona conquistando la prima Coppa dei Campioni per una squadra dell’est. Ogni protagonista di quell’incredibile cavalcata europea venne ricoperto di onori e riconoscimenti. Dai vertici dello stato rumeno arrivarono le medaglie al merito sportivo, mentre il regime elargì ad ogni calciatore l’equivalente di 100 dollari in valuta nazionale (Lei), una generosa ricompensa. Come ulteriore premio, a ciascun membro della rosa fu assegnata la consegna di un fuoristrada militare usato: un lusso raro per un rumeno medio.

Mentre il popolo acclamava i nuovi eroi nazionali, Duckadam comprese lentamente l’impresa epica che era riuscito a compiere quella notte a Siviglia. L’uomo dei miracoli era ormai universalmente riconosciuto come “l’eroe di Siviglia”, proprio come titolava anche la stampa rumena esaltando le sue prodezze.

L’ASSURDO EPILOGO DEL SUPEREROE DI SIVIGLIA

La notte di Siviglia rappresentò il punto più alto e al tempo stesso più basso della carriera di Helmuth, il gigante dai baffi e la maglia verde che quella sera scrisse la storia del calcio. Quella fu l’ultima partita dell’allora 27enne portiere rumeno. Secondo la versione ufficiale, una trombosi improvvisa alle mani stroncò la sua ascesa, costringendolo al ritiro. Si diffuse però anche una voce ben più sinistra: Duckadam si sarebbe attirato le ire del figlio del dittatore Ceausescu, Valentin, per aver rifiutato di cedergli una Mercedes ricevuta in premio dal Real Madrid. Nessuno poteva guidare un’auto di lusso simile nella Romania socialista e ne sarebbe seguita una violenta spedizione punitiva ordinata dal regime. Successivamente si scoprì che da Madrid non arrivò mai nessuna Mercedes.

Lo stesso Duckadam ha però recentemente smentito questa ricostruzione nella trasmissione ‘Le partite non finiscono mai’ in onda su LA7, attribuendo invece il suo addio al calcio ad un grumo di sangue che rischiò persino di fargli perdere un braccio. Da eroe nazionale a normale cittadino, il passo fu breve e amaro per Helmuth. Pochi mesi dopo aver alzato al cielo del Pizjuan la Coppa dei Campioni, infatti, il portiere della Steaua si ritrovò senza calcio e senza un lavoro stabile. Costretto a tornare al paesello natale, faticò non poco a reinventarsi una nuova quotidianità lontano dai riflettori. Per un po’ l’uomo dei miracoli lavorò in una fabbrica di mobili, cercando semplicemente di sbarcare il lunario per mantenere la famiglia, senza i guadagni milionari dei campioni moderni. La vita da normale cittadino di provincia era tutt’altro che semplice, nonostante l’aura di leggenda che ancora lo avvolgeva.

Successivamente l’ex portiere riuscì ad entrare nella polizia di frontiera, ottenendo un posto al valico di Nadlac, nei pressi del suo villaggio natale. Facile immaginare la sorpresa di automobilisti e camionisti nello scorgere l’eroe di Siviglia dietro la divisa anonima da gendarme, con i suoi iconici baffi ben in vista. Nonostante i problemi fisici che ne stroncarono prematuramente la carriera, Duckadam non riuscì mai a staccarsi dal mondo del calcio che gli aveva regalato gloria e dolori. A soli sette anni dalla magica notte di Siviglia, l’ex portiere della Steaua venne costretto ad andare in pensione a causa dei persistenti guai alle mani. Ma il pallone restava la sua grande passione.

DUCKADAM, LA STORIA CHE TORNA SEMPRE

Nel 1989 Duckadam diventò così presidente del Vagonul, piccola squadra della sua città natale, Arad. In soli due anni li condusse dalla terza alla seconda serie rumena, scendendo in campo per puro divertimento in una decina di occasioni. Tra il ’97 e il 2003 organizzò una scuola calcio per bambini, mentre in seguito diventò un talent scout della Steaua Bucarest. Nel 2003 ottenne la Green Card per entrare liberamente negli Stati Uniti. Si trasferì per alcuni mesi a Phoenix, prima di fare ritorno in patria, anche se la figlia decise di rimanere a vivere Oltreoceano. Nonostante tutto, il pallone era ormai parte integrante del dna di Duckadam.

L’indissolubile legame tra Helmuth e la Steaua Bucarest ebbe ulteriore conferma quando venne risucchiato nel vortice della politica rumena. Entrò infatti nell’entourage di Gigi Becali, discusso oligarca proprietario del club più titolato di Romania, da cui nacque un sodalizio professionale. Becali, fondatore di un partito nazionalista e ultraconservatore, era una delle figure politiche più controverse del paese. Ciò non impedì a Duckadam di diventarne fidato consigliere nella regione di origine. Una scelta, quella di legarsi al discusso imprenditore, dettata anche dalla passione viscerale per i colori della Steaua. Ed infatti, nell’agosto 2010, Becali nominò Duckadam presidente onorario del club militare. Un incarico prestigioso che l’ex portiere ricoprì per qualche anno, suggellando ancora una volta il rapporto indissolubile con la squadra che lo rese leggenda.

Nonostante una carriera stroncata troppo presto, quando ancora aveva una vita calcistica luminosa davanti a sé, Helmuth Duckadam ha comunque raggiunto l’immortalità sportiva in quella magica notte andalusa. Con le sue prodezze, ha fermato da solo la corazzata Barcellona, entrando di diritto nell’olimpo degli eroi del pallone. Idolo eterno di Bucarest e icona della Steaua, l’uomo che per una notte si trasformò in Superman compie ogni anno il miracolo di tornare presente nella memoria degli appassionati di calcio di tutto il mondo. Come ogni leggenda che si rispetti.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.

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