A 72 anni è scomparsa una figura dimenticata dal calcio italiano. Un ribelle che si soffiava il naso con le bandierine e che un giorno fece tunnel a Rivera
di Stefano Ravaglia
In una intervista del 7 marzo 2002 disse:
“Non conservo nulla del mio periodo da calciatore. Mi sono accorto subito che non era quel sogno che tutti hanno. Sin da quando avevo diciotto anni”.
A sei anni l’avevano mandato in un orfanotrofio, ed è lì che prenderà forma il suo carattere ribelle. Ezio Vendrame è morto oggi, a 72 anni, e per chi non lo conoscesse rappresenta un po’ la ribellione degli anni Settanta, un po’ anticonformista a modo suo un po’ George Best, al quale spesso era stato accostato, anche per la zazzera di capelli scura.
“A me piaceva giocare a calcio e non ho mai voluto fare il calciatore. Era una cosa limitativa nella quale mi sentivo imprigionato e io sono uno che deve vivere senza catene, nei polsi e nella testa”.
Friulano come Rocco e Capello è considerate uno dei talenti più inespressi del calcio, forse per quel poco amore e quel giocare un po’ così, quasi per caso.
“Uno che paga per venirti a vedere deve essere contraccambiato di emozioni, più dell’allenatore, più dei compagni”.
E un utilizzo particolare della bandierina spiega la sua grande follia:
“Oggi vedo tanti calciatori che sputano a terra, e cose del genere. Io trovavo più educato utilizzare la bandierina per soffiarsi il naso”.
Siena, Rovereto, Vicenza, Napoli (solo 3 partite) e Audace, una decina d’anni senza alcuna vetta ma piedi delicati e mezz’ala di qualità.
“Ho sempre pensato che dovevo trattare il pallone non come un oggetto ma come una cosa che avesse anche parola. Non volevo deluderlo. E che se un domani avesse parlato mi avrebbe detto solo cose belle”.
Ritiratosi nelle campagne friulane, si da alla scrittura, alla poesia e dà alle stampe i suoi ricordi calcistici, tra cui un tunnel al suo idolo, Gianni Rivera, per il quale si sentì quasi in colpa.
“Gli chiesi scusa, ma lui aveva allargato le gambe. E quando la gente, nel calcio e nella vita, allarga le gambe, aspetta sempre qualcosa”.
Il grande dolore per la morte di Meroni, il 15 ottobre 1967 di domenica sera a Torino, un idolo di Vendrame che provò una amarezza unica. Accostabili i due: anticonformisti e ribelli entrambi, nuovi personaggi in un calcio e in un’Italia fortemente conformista e morigerata. Spiriti liberi tutti e due. Ora Vendrame lo ha raggiunto e chissà quante cose avranno da dirsi. Magari anche qualcosa sull’amaro calcio di oggi:
“Non guardo quasi più partite, il calcio non mi piace più. E’ tutto senza anima. Non si possono amare le cose senza anima. Ma la cosa non mi meraviglia, anzi, mi meraviglio di chi si meraviglia…”