Ajax 1992-96: un grande prato verde dove nascono speranze

Arrivano i Novanta e torna il calcio totale. Van Gaal guida un gruppo di giovanotti terribili. I lanceri vincono tutto, travolgendo la concorrenza

di Stefano Ravaglia

Agitate le acque dell’Amstel, a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta. La “Venezia del Nord”, costosa e affascinante, trasgressiva e romantica, vede passare una fila di battelli in quel periodo. Sono, dapprima, quelli della nazionale olandese che finalmente vince qualcosa: nel 1988 all’Europeo tedesco sbaraglia la concorrenza con Gullit e Van Basten, e sono in migliaia ad essere assiepati sulle rive del canale per salutare le imbarcazioni con sopra il trofeo intitolato a Henry Delaunay. Poi, con non meno partecipazione cittadina, è il club di Amsterdam a mietere successi e a risvegliare la voglia di calcio totale sopita per un ventennio, trascorso sotto il dominio dei club inglesi e italiani.

Amsterdamsche Football Club, ovvero, Ajax. Da Aiace Telamonio, figura mitologica greca protagonista dell’Iliade. Alto, bello, forte e vigoroso, e un combattente nato. Più o meno il ritratto di quell’Ajax, che gioca ancora al “De Meer” dal 1934, l’impianto contiguo al quartiere Diemen, che oggi non c’è più e dove al suo posto sono sorti dei condomini che portano il nome dei vari stadi in cui l’Ajax ha piantato la bandierina. Wembley, il Prater, Anfield. E nel punto in cui veniva battuto il calcio d’inizio, c’è una serie di cerchi concentrici che ricordano il centrocampo. La tradizione, sempre più spesso, deve far spazio all’innovazione, senza sottrarsi alla memoria storica.

Nella stagione 1989-90, mentre il calcio totale è di casa a Milano, sponda rossonera, con il Milan che vince a tutto campo Coppe dei Campioni, Supercoppe e Intercontinentali, l’Ajax vince il titolo olandese a 5 anni di distanza dall’ultimo successo. Artefice dell’opera è Leo Bennhakker, che da quel Milan le aveva prese con gli interessi: 5-0 in semifinale di Coppa dei Campioni al suo malcapitato Real Madrid. Per Bennhakker è il secondo titolo coi lanceri, che aveva già guidato dal 1979 al 1981 portandolo a vincere il campionato nel 1980 e arrivando secondo l’annata successiva prima di passare al Real Saragozza.

La stagione successiva sarà quella della svolta: Louis Van Gaal, giovane assistente del tecnico, nativo di Amsterdam e punto forte dello Sparta Rotterdam da giocatore, lo sostituisce in panchina. Disciplina, idee chiare e grande carisma: al suo primo anno, l’Ajax travolgerà tutti in Uefa, arrivando alla finalissima con il Torino di Mondonico (dopo aver eliminato addirittura il Genoa in semifinale) vincendola con due pareggi e, per la verità, anche una buona dose di fortuna.

Nel 1992-93, il giovane Clarence Seedorf viene promosso in prima squadra. Arrivano il finlandese Litmanen e anche Marc Overmars, giovane talento prelevato dal Willem. Giovani e affamati: il talento della scuola Ajax fa presa anche sui club italiani. Dopo la partenza di Van’t Schip per il Genoa, anche Bergkamp e Jonk arrivano in Italia, all’Inter. La fascia di capitano è di Blind padre. Il figlio, oggi, è tornato ad Amsterdam dopo l’esperienza a Manchester. L’Ajax arriva terzo in campionato ma vince la Coppa domanda in finale contro il povero Herenveen, travolto 6-2. Nell’estate ’93, finisce la dinastia olandese al Milan e Frank Rijkaard ritorna all’ovile. L’Ajax rimpolpa la rosa anche con due nigeriani: Nwanko Kanu, futuro interista, e Finidi George. Il primo, nel 1996, vincerà anche l’oro olimpico con la Nazionale ad Atlanta. L’Ajax vince la Eredivise con 4 punti sul Feyenoord e ben 86 reti all’attivo, con Jari Litmanen capocannoniere del torneo con 26 marcature.

Il titolo del ’94 apre all’Ajax le porte della Coppa dei Campioni, nel frattempo divenuta Champions League. L’ultima partecipazione è della stagione 1985-86: subito eliminata dal Porto al primo turno. E qui occorre un flash-back: l’Ajax, dopo quel titolo del 1990, non aveva potuto partecipare alla Coppa Campioni (che vincerà la Stella Rossa) per via della squalifica di un anno impartita dalla Uefa, dopo che il portiere dell’Austria Vienna, Wohlfhart, fu colpito da una sbarra di ferro durante la partita di Coppa Uefa di quell’anno. La squadra gioca le sue partite interne in Europa all’Olimpico, quello tirato su per le olimpiadi del 1928 e con la Torre di maratona che domina la tribuna principale. Fuori, una statua di Joahn Crujff mentre calcia contrastato da un avversario: nel marzo del 2016 è stata ricoperta di fiori e bandiere per omaggiare la scomparsa del fuoriclasse.

Il girone è quello dei campioni in carica, proprio il Milan, che a maggio ha travolto il Barcellona ad Atene. Ci sono anche il Salisburgo e l’Aek Atene. Il 14 settembre l’esordio è proprio contro i rossoneri: all’Olimpico finisce 2-0 con il Milan quasi mai in partita. Battuto anche l’Aek in Grecia per 2-1, il Salisburgo è una delle poche compagini a salvarsi inchiodando l’Ajax su due pareggi sia in Austria che ad Amsterdam. Alla quinta giornata di nuovo lo scontro col Milan. Non si gioca a San Siro: dopo una bottiglietta piovuta sul portiere del Salisburgo Konrad, i rossoneri devono disputare due gare in campo neutro. Non c’è ancora partita: il solito Litmanen la sblocca subito dopo due minuti, nella ripresa uno sfortunato autogol di Baresi è il colpo del ko. Nei quarti di finale Van Gaal se la vede con i croati dell’Hajduk. A Spalato finisce 0-0, e in casa l’Ajax liquida la pratica con le reti di Kanu e una doppietta di Frank De Boer.

In semifinale, ecco Trapattoni: il suo Bayern riesce a reggere all’Olympiastadion, chiudendo sullo 0-0. Gli olandesi, al ritorno, sono obbligati a vincere per passare il turno. Sarà un trionfo: 5-2. Segna Litmanen, ma Witeczek pareggia e persi mette male. Ma in cinque minuti, tra il 41° e il 46°, Finidi, De Boer e ancora Litmanen, portano l’Ajax sul 4-1. Il rigore di Scholl precede il definitivo sipario di Overmars. In contemporanea, a San Siro, il Milan di Capello elimina il Paris Saint-Germain di Weah con una doppietta di uno scatenato Savicevic.

A Vienna, il 24 maggio, i rossoneri tornano sul luogo festoso di cinque anni prima, quando batté il Benfica di Eriksson per affrontare di nuovo gli olandesi. L’Ajax torna in finale dopo ventidue anni, dall’ultimo trionfo del 1973 a Belgrado contro un’altra italiana, la Juventus. Pare una storia infinita quella degli olandesi con le squadre nostrane. Rispetto alle due sfide del girone, è una partita diversa e la posta in palio è altissima. Il martedì, nella rifinitura, si fa male proprio Savicevic. Sarà un enorme rimpianto: il montenegrino era in grande spolvero, e la sua assenza risulterà fatale. Rijkaard gioca contro i suoi amici e Marco Simone affianca Massaro in avanti indossando un paio di scarpette bianche: una novità per l’epoca. Oggi, ne vediamo di tutti i colori ai piedi dei giocatori. Lo spauracchio Litmanen non punge, la parità permane fino a cinque minuti dalla fine con il Milan che sfiora il gol proprio con Simone. Poi, un ragazzino di 18 anni che non aveva avuto molto spazio sino a quel momento, si toglie la giacca della tuta e al 70° prende il posto del bomber Litmanen.
Si chiama Patrick Kluivert e anche lui fa l’attaccante. Su un azione scaturita dalla sinistra, dai piedi di Overmars, la difesa rossonera tenta il fuorigioco, sbagliandolo. Rijkaard scarica sul ragazzino che anticipa Rossi di punta cogliendolo in controtempo: è il gol partita. Per l’Ajax è la quarta coppa dei Campioni.

In novembre, dopo la Supercoppa Europea vinta sul Real Saragozza, il viaggio a Tokyo per la Coppa Intercontinentale riserva ai lanceri i brasiliani del Gremio. Anche qui è un affare duro: 0-0 al novantesimo e niente gol nemmeno nei supplementari. Ai rigori, è del capitano Blind quello decisivo.

Anche il Real Madrid di Jorge Valdano in panchina, del futuro interista Zamorano e di un giovanissimo Raul, resta inebetito. Gli spagnoli, nel girone di qualificazione dell’edizione successiva di Champions League, perdono male, 2-0 in casa e 1-0 in Olanda.

“Non è una squadra, è il cuore di un tornado. È come le macchine che asfaltano le strade, e noi siamo rimasti sotto il rullo”.

La strada dei lanceri verso la seconda finale è tracciata e pare ripercorrere le orme del passato: eliminato agevolmente il Dortmund nei quarti con un 3-0 complessivo, in semifinale c’è il Panathinaikos, in una riedizione della finalissima del 1971, crea non pochi grattacapi agli uomini di Van Gaal. I greci vincono a sorpresa ad Amsterdam, ma devono arrendersi ad Atene: 0-3. Per l’Ajax si aprono le porte di Roma, e della possibilità di fare il bis. All’Olimpico, il 22 maggio, la aspetta la Juventus di Lippi, che torna in finale dopo undici anni nella speranza di cancellare l’onta dell’Heysel. Sarà il passaggio di consegne dei destini europei.

Ravanelli sblocca, il solito Litmanen pareggia. La Juventus trionfa ai rigori e gli olandesi, in estate, vengono smembrati. Con grande anticipo sulla concorrenza, Davids e Reizieger hanno accettato la corte di un Milan previdente che dopo lo scudetto acquista sia il terzino che il centrocampista.

In estate, l’Ajax cambia anche stadio: il De Meer, come detto, viene demolito, e nasce la Amsterdam Arena, uno dei primi stadi con la copertura totale e removibile. Partita inaugurale, Ajax-Milan. Come finisce? 3-0 per i rossoneri con Savicevic sugli scudi…
La squadra viene ridisegnata, elimina a fatica l’Atletico Madrid e va ancora una volta alle semifinali con la Juventus: i bianconeri dominano sia ad Amsterdam che a Torino. Dopo il 2-1 in Olanda, al “Delle Alpi” finisce 4-1. È il canto del cigno di una epopea densa e straordinaria, dove il calcio, per mezzo del gioco e di una straordinaria nidiata di talenti, era diventato ancora una volta “totale”. E la squadra con Aiace sullo stemma, scorazzava  per l’Amstel con i battelli carichi di trofei.

 

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