ALLEGRI JUVENTUS – No, non c’è da nascondersi: la Juventus continua a sbagliare approccio e lettura dei momenti. Ciò che probabilmente è sempre stato un pregio di Allegri, si sta adesso rivelando il suo più acerrimo nemico.
Il primo tempo
Ingresso in campo passivo, moscio. La Juventus non pressa, non organizza retate per provare a prendere alta l’Inter, attende passiva nella propria metà campo gli avversari. Bastano sette giri di orologio e Barella trova il gol, evitabile. Evitabile poiché è impensabile lasciar calciare un avversario dal limite della propria area. Inevitabile sottolineare l’errore di lettura della la catena di destra, ingenua nel non leggere lo scambio del centrocampista italiano con Brozovic. Ma una squadra che non ha nelle corde l’istinto di uscire a braccare l’uomo per tempo, sarà sempre soggetta a colpi del genere (per ultimo Aramu in Juventus-Venezia).
Il 4-4-2 camuffato da 4-2-3-1, passa momentaneamente a quest’ultimo quando Danilo chiede il cambio e Allegri lo sostituisce con Morata. L’approccio da passivo diventa attivo, il baricentro si alza sensibilmente, la Juventus diventa pericolosa. I fenomeni davanti si dimostrano potenzialmente pericolosi ad ogni accenno di giocata, ma l’Inter, rintanata e protagonista di un’importante densità nelle zone centrali del campo, evidenzia la mancanza di organizzazione offensiva dei bianconeri e gli sterili movimenti dei suoi interpreti, figli esclusivamente delle percezioni che gli stessi hanno del momento. Con ciò, la Juventus trova il modo di rendersi pericolosa a più riprese.
Il secondo tempo
Per assistere al gol bisogna comunque attendere la ripresa. Difesa a 40-50 metri, pressing alto, giocate di prima, densità nella metà campo avversaria, rapide verticalizzazioni, tanti tentativi di uno contro uno. Tra il 50’ e il 52’ la Juventus, che ha mantenuto lo stesso approccio di fine primo tempo, la ribalta: Alex Sandro-Morata prima, Vlahovic poi. Quaranta minuti al termine della gara sono tanti e un solo gol di vantaggio può non bastare. La Juventus a trazione offensiva, sulla carta, si mantiene invariata per altri dieci minuti.
Il richiamo della natura, secondo dopo secondo, si impossessa del buon Allegri e, al 60’, può finalmente dar sfogo ai suoi primitivi impulsi: baricentro nuovamente giù, esterni che fungono da terzini, falegnameria pesante in mezzo al campo a far da scudo alla difesa e lanci lunghi verso il solitario Vlahovic. Perché di questo si è trattato. 5-3-2, da parte gli istinti offensivi e il sangue messo in bella mostra alla vista dello squalo nerazzurro, che altro non aspettava. Dal manuale del calcio secondo cui: come portarsi un avversario in casa.
Invece di cavalcare l’onda e di sfruttare il momento positivo per rifilare il colpo di grazia ad una squadra alle corde, palesemente ammattita dalla botta subita, Allegri decide che è tempo di rintanarsi e s’illude di poter mantenere il risultato invariato per 30 minuti. Attaccare per difendere? Macché. Difendere per subire.
Il resto della partita è un copione già conosciuto: 2-2, 2-3, 2-4. Dopo dieci anni di successi, la Juventus torna a chiudere una stagione senza mettere in bacheca alcun trofeo, se non la magra consolazione di aver raggiunto agevolmente e con netto anticipo la qualificazione alla prossima Champions League.
Riflessioni
Seppur la Juventus non abbia le pedine adatte a proporre il calcio tipicamente considerato moderno, l’intensità, vista in alcuni tratti della stagione, che questi giocatori hanno dimostrato di avere, ha fatto sì che in campo si vedessero prestazioni di rilievo (Atalanta, Villarreal, il doppio confronto con l’Inter). Utilizzarla ad intermittenza, in un calcio sempre più veloce, fisico e dinamico porta inevitabilmente a subire ribaltoni del genere. Quando prima dell’inizio della nuova avventura in bianconero Allegri disse ironicamente che nei due anni di stop non ha guardato molte partite, c’è da credergli. Perché l’interpretazione delle gare della sua squadra lo stanno ampiamente confermando.
Il calcio di Trapattoni è ormai superato.