Bomber dimenticati: Cosimo Francioso, il gol che viene dal sud

Tanti gol e un carattere esuberante. Col Genoa segna nel derby. E a Ravenna manda a quel paese i suoi tifosi.

 

di Stefano Ravaglia

 

Maggio 1994. Uno stuolo di tifosi del Ravenna, in una calda serata di piena primavera, è radunato davanti allo stadio “Benelli”. Credo fosse la domenica della mia prima Comunione, ma non ne sono sicuro. E da bambino di nove anni quale ero, un bambino che avrebbe scoperto il calcio proprio quell’estate grazie a un campionato del Mondo che si sarebbe giocato in un paese molto lontano, non potevo sapere perché tutta quella gente stazionava davanti allo stadio della mia città. Il Ravenna aveva conquistato una brillante promozione la stagione precedente, sbaragliando la concorrenza in serie C e approdando in B per la prima volta nella sua lunga storia, iniziata nel 1913. Aveva combattuto, perso molti punti e si era ritrovata, come da pronostico, invischiata nella lotta per non tornare agli inferi. Aveva affrontato il Cesena nel più acceso derby romagnolo che ci fosse, e vincendo addirittura al “Manuzzi” per 2-0. Inoltre, al “Benelli” era scesa anche la Fiorentina, retrocessa dalla serie A. In una domenica piovosa era finita 0-0. Il Monza però quella domenica di maggio travolse i giallorossi per 4-0. Mancava poco alla fine del campionato e i lombardi avevano vinto solo quattro partite fino a quel momento.

Quei tifosi fuori dallo stadio, rientrati da Monza, erano infuriati, ma non solo per la sconfitta. Perché uno dei loro beniamini lo aveva tradito. Perché uno dei loro alfieri che tanto avevano amato, aveva voltato loro le spalle. Cosimo Francioso da Brindisi, di professione attaccante, aveva chiuso a quindici reti il campionato precedente, quello della prima, storica promozione in B con Francesco Guidolin in panchina.
E ora, uscito dal campo con le ossa rotte come tutto quel Ravenna in quel pomeriggio monzese, aveva sbattuto in faccia al settore ospiti, che invitava la propria squadra ad “andare a lavorare”, il dito medio. Quei tifosi erano lì, infuriati per il gesto di Francioso, infuriati per l’imminente retrocessione, infuriati per tutto. Sarebbe stato un pessimo lunedì lavorativo. Si seppe in seguito che la squadra era a cena alla pizzeria “Al Portico”. È un po’ che non ci vado, ma la ricordo bene. Non riuscirono comunque ad entrare nel locale, e meno male, forse. Quando ho scelto di parlare di Francioso, classe 1967, ho individuato senza fatica l’incipit.

Non basta però quel gestaccio, che gli costerà l’odio dei ravennati negli anni a venire, per raccontare le gesta di un bomber arrivato alle soglie dei grandi ma fermatosi sempre alla stazione di provincia. Eppure nel 1987, dopo i primissimi anni di esordio nel Pro Italia Galatina e nel Gallipoli, tra Promozione e C2, è l’Avellino a dargli la prima piazza importante di quella che sarebbe stata una carriera vissuta a suon di gol. Naturalmente nessuna traccia significativa per l’allora ventenne Francioso, ma le sette partite giocate con gli irpini resteranno le uniche in massima serie. Ne totalizzerà 21 con i lupi, considerate anche quelle in B l’anno successivo, poi saltellerà di squadra in squadra: Casale, Barletta, Carpi. Ne cambiava sovente di maglie Cosimo. E sentiva sempre il richiamo del mezzogiorno. Prima però ecco la Romagna: piadina, vino e doppia promozione. Acquistato nel 1991, contribuisce con nove reti (miglior marcatore) al salto dalla C2 alla C1. Detto dei suoi quindici gol l’anno successivo, in quella B disgraziata targata 1993-94 andò invece a bersaglio solo quattro volte. Lasciata mestamente Ravenna, ecco il… Casarano. Il ds dell’epoca è un certo Pantaleo Corvino e il nostro buca la rete altre diciotto volte nell’arco di un anonimo campionato che i pugliesi chiudono al quattordicesimo posto raggiungendo anche la semifinale di Coppa Italia di C.

Troppo strette quelle furenti piazze provinciali per Cosimo. Che ha bisogno di uno stadio più grande, di un pubblico più ambizioso. C’è una casella vuota che il Lecce deve riempire in attacco, di fianco a Palmieri. Viene scelto proprio Francioso, che approda nella terra del barocco quando la società è stata appena acquistata dai Semeraro. Che spasso quella prima stagione, coronata da una cavalcata straordinaria che porta i giallorossi in serie A, dopo il terzo posto alle spalle di Brescia ed Empoli. Il 24 novembre 1996 arriva puntuale anche il gol dell’ex al “Via del Mare”, dove Francioso porta in vantaggio i suoi al minuto settanta contro i suoi ex compagni del Ravenna, che pareggia immediatamente e la disputa finirà 1-1. L’allenatore di quel Lecce è Giampiero Ventura e il tre a zero di Cesena, sugellato anche da un suo perentorio colpo di testa, regala i pugliesi la massima serie.

Ed è qui che la storia di Cosimo riavvolge il nastro. In scadenza di contratto, non rinnova e torna in Romagna. Ravenna si spacca in due, tra chi non lo vorrebbe e chi invece guarda solo al campo e alla pioggia di gol che potrebbe riportare da quelle parti. Si concluderà tutto tiepidamente: soltanto undici presenze e quattro reti, un ritorno pressoché indolore e incolore, prima dei saluti definitivi a metà stagione. Ricordo personalmente quel frangente di campionato, soprattutto una marcatura al Padova, in casa, decisiva ai fini del risultato, decorata da una esultanza veemente sotto la curva Nord, come a dire «Mi detestate, ma eccovi il mio piatto preferito, il gol». Giocherà 23 partite nel Monza nella restante parte di stagione, proprio in quel Monza che aveva segnato nel suo profondo quel pomeriggio del 1994. Niente male gonfiare la rete ancora quattordici volte in quelle 23 presenze.

E poi Genova. Il grande canto del cigno di un bomber quasi implacabile. Si legherà al Genoa per quattro stagioni al termine delle quali saranno ben 88 le marcature, con l’apice della vittoria nella classifica cannonieri nell’annata 1999-2000. Come non ricordare e non segnare in rosso quel calcio di punizione che nel 2001, in una fredda sera di inizio novembre, bucò la Sampdoria nel derby dando i tre punti al Grifone? Ma anche in quegli anni così felici, la serie A è solo sfiorata. Francioso, in visita anni dopo al museo del Genoa, avrà modo di dire: «Arrivai il giorno della presentazione. Mi ricordo che era in un teatro, con i tifosi entusiasti dentro e fuori dall’impianto.

Capii subito che erano unici. Sono stati anni felici, il più grande rammarico che ho è non essere arrivati in Serie A, nonostante ogni anno ci si provasse». Ricorderà anche Franco Scoglio, uno dei tanti allenatori avvicendatisi sulla panchina nei suoi anni in Liguria e un grande personaggio eternamente nei cuori rossoblu: «Con lui ho dei ricordi bellissimi perché quando arrivò a Genova c’era una situazione strana con i tifosi, che riuscì a cambiare sapendo gestire al meglio le circostanze al di fuori del campo ed è stato molto importante per noi giocatori». Vuole chiudere in grande stile Francioso, segnando ancora. La fame di gol non si attenua, e se aveva sempre cercato di giocare il più possibile vicino a casa, nel 2002 gli basta scendere in cortile: si accorda con il Brindisi, squadra della sua città in cui non aveva ancora mai giocato e in cui sparerà le ultime cartucce. Poi, come molto spesso succede a chi appende le scarpe al chiodo, inizia la nomade carriera di allenatore.
Casarano, Martina, Francavilla e il Pomigliano. Ai dilettanti però preferirebbe una esperienza in Lega Pro, categoria molto più attrezzata in quanto a professionalità e organizzazione. Della sua esperienza al Francavilla, terminata anzitempo, dirà: «È successo ciò che succede quando alleni in società impreparate: ti esonerano senza motivo». Auguri, bomber venuto dal Sud. Che per un gestaccio, in una domenica di maggio, spaccasti in due un’intera città.

 

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