Buon viaggio Tommy Smith, leggenda in maglia rossa

Abitava a pochi metri da Anfield, divenne capitano del Liverpool e vinse tutto con la sua maglia del cuore. Si è spento Tommy Smith, una leggenda rossa. Impavido e carismatico, un eroe indimenticabile

 

di Stefano Ravaglia

 

Non c’erano mezze misure in casa Smith. “Sono nato con il sangue rosso nelle vene, mica quello blu. A casa mia non c’erano discussioni, si tifava Liverpool. Vedevo calcio, calcio e ancora calcio. Facevo una dieta a base di pallone”. Nato a Liverpool, vissuto a Liverpool, e se faceva due passi ed era ad Anfield, Tommy Smith. Che se n’è andato, ovviamente nella sua Liverpool, tre giorni prima del trentennale di Hillsborough, perché le disgrazie non vengono mai sole, ed ora la parte rossa del Merseyside, in questi giorni, avrà materiale per piangere abbastanza. Una delle bandiere dei reds se n’è andato a 74 anni appena compiuti (era nato il 5 aprile) consumato dall’alzheimer, di cui soffriva dal 2014, e che ha già fatto altre vittime illustri, tra cui il grande Puskas. Cancella i ricordi quella bestia, ma non li può lavare via dalla memoria dei tifosi di allora e dalla memoria storica del club, la cui notorietà internazionale iniziò proprio con il Liverpool di Shankly. La sua storia inizia nel 1960, in un modo che a pensarci oggi fa davvero tenerezza: la madre porta il figlio dal grande manager di Glenbuck, pregandolo di prendersene cura. Dopo qualche mese con le riserve, in cui gioca contro il grande Billy Liddell, una sorta di Nordhal del Liverpool dell’epoca, fa il suo esordio nel 1962 per non lasciare più la squadra del suo cuore e della sua città sino al 1978. Seicentotrentotto partite, la fascia di capitano e una sequela di successi straordinaria: cinque titoli inglesi, due Coppe Uefa, due Coppe dei Campioni, la Supercoppa Europea e la FA Cup vinta in altre due occasioni. Inizialmente centrocampista, fu spostato nel dicembre 1964 al centro della difesa, per non uscirne mai più. Nel maggio del 1977, quando il Liverpool gioca la sua prima finale di Coppa Campioni a Roma con il Moenchengladbach, segna lui il gol del 2-1 che riporta in vantaggio i suoi, con un perentorio stacco di testa da calcio d’angolo.

La figlia Janette, che ne ha annunciato il decesso “sereno” nel sonno, intorno alle 16.30, ha spiegato che si stava recando da lui per visitarlo, quando è stata raggiunta dalla notizia. Nel febbraio del 2017 aveva rilasciato una intervista al Liverpool Echo spiegando le condizioni di suo padre, dovuta anche alla separazione dalla moglie, finita in una casa di riposo, proprio per gli stessi problemi che affliggeranno poi Smith: “Era un padre straordinario e iper attivo. Quando portammo mia madre in una casa di cura, non si spiegava perché lei dovesse stare lì, nonostante ne avessimo parlato più volte”. E in poche parole aveva raccontato la situazione del padre: “E’ terribile vederlo quando cerca di esprimersi e non ci riesce. Non riesce a dire ciò che vuol ricordare e alla fine liquida la questione con un: ‘Oh, non importa’”. Il cordoglio del club e del mondo del Liverpool per la scomparsa di “Anfield Iron”, com’era soprannominato, non si è fatto ovviamente attendere. Kenny Dalglish, arrivato proprio un anno prima del suo saluto al Liverpool, ha ricordato come Smith fosse stato cruciale per il suo inserimento nel club e un compagno di squadra straordinario, nonché l’uomo chiave dello spogliatoio. Stesse parole di Roy Evans: “Ci siamo divertiti un sacco insieme. Mi ha aiutato in tutta la mia carriera. Un grande uomo, andavamo fuori a bere un po’ di birre insieme. Sul campo era molto fisico ma era anche un bravo calciatore. Stasera molte persone sono tanto tristi”. Mark Lawrenson , difensore nell’epoca d’oro successiva a quella di Smith, ha detto: “Era un leader. Solo giocare in tre posizioni diverse in un team straordinario, testimonia la sua grandezza. Tutto quello che voleva fare era giocare sempre per il Liverpool. Se ha collezionato così tante presenze è perché qualche volta ha giocato anche con qualche acciacco”.

Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, Smith si dà al giornalismo. E diventa, per trentacinque anni, membro della redazione sportiva del Liverpool Echo. Bob Paisley, un altro simbolo del club che raccolse il testimone di Shankly, lo aveva descritto come meglio non si potesse: “E’ stato impavido e coraggioso, e questo contagiava i suoi compagni di squadra. Incuteva timore agli avversari e per gli altri giocatori del Liverpool era come avere un fratello maggiore in campo sempre pronto a risolvere problemi”. Jamie Carragher invece, un altro simbolo moderno e leggenda sulla falsariga del suo predecessore, è stato perentorio:  “Non importa chi c’è stato prima e chi verrà dopo. Non ci sarà mai più un altro Tommy Smith”. 

A proposito di Stefano Ravaglia

Controlla anche

Il rimpianto di Moratti: quando il sogno di portare Eric Cantona all’Inter svanì nel giorno del ‘Kung Fu’ kick

Massimo Moratti sognava di riportare l’Inter in alto con un colpo leggendario: Eric Cantona. Ma …

L’olandese sconosciuto: René van der Gijp e l’effimero sogno nerazzurro

La traversa di un sogno sfiorato e l’eredità di una meteora nel calcio internazionale. René …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *