La carriera di Bobby Moore, l’America e quella sfida all’Inghilterra

Ripercorriamo le gesta di uno dei più grandi difensori di tutti i tempi, tra successi ed esperienze al quanto singolari: una su tutte la sfida all’Inghilterra con la maglia del Team USA.

Secondo molti è il più grande giocatore di tutti i tempi; per Pelé è il più grande difensore che abbia mai incontrato, oltre ad essere un amico e un gentiluomo. Franz Beckenbauer è andato oltre, definendolo il “miglior difensore nella storia del calcio”.

I più grandi di quell’epoca hanno sempre speso un complimento o raccontato un aneddoto nei riguardi di Bobby Moore, all’anagrafe Robert Frederick Chelsea Moore, leggenda del West Ham dal 1958 al 1974, cresciuto nell’Inghilterra devastata dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Nacque il 12 aprile del 1941 a Barking, periferia a sud-ovest di Londra proprio quando gli aerei della Luftwaffe da settimane la bombardavano incessantemente.

Durante la sua infanzia non certo agiata, conosce un amico di nome Geoff Hurst: con lui formerà un connubio sportivo indissolubile, all’inizio non nel calcio, ma bensì nel cricket. I due sono fortissimi e si distinguono dagli altri giocando per strada vicino alla sua abitazione dove crebbe a Waverley Gardens in Barking 43, east London. Poi però il calcio ebbe la meglio.

Hurst preferisce seguire le orme di papà Charlie, che a cavallo delle guerre mondiali è stato un buon professionista inglese con le maglie dell’Oldham Athletic e Rochdale. Moore decise di seguire Hurst per la carriera calcistica ed entrò giovanissimo nelle giovanili del West Ham nella stagione 1950-51, all’eta’ di 16 anni per poi esordire a 17 con la prima squadra l’8 novembre 1958 contro il Manchester United.

Diventa da subito un titolare inammovibile grazie alla sua capacità di leggere la gara e di anticipare l’avversario. Dopo un inizio nel ruolo di seconda punta, con il passare del tempo e grazie ad un forte spirito di sacrificio, passò al ruolo di difensore centrale. E fù giocando in questa posizione che raggiunse la totale consacrazione.

Le sue doti principali erano una buona tecnica di base, grande rapidità, tempismo negli interventi sull’uomo (i suoi tackle erano puliti e impeccabili), precisione nei lanci, dinamismo straordinario, un eccellente visione di gioco e un’innata leadership in campo nell’incoraggiare i suoi compagni.

Il West Ham e il trionfo Mondiale del 66

Gli inglesi da sempre si considerano i ‘maestri del gioco’ e fino agli anni 50 ritenevano che i difensori servissero semplicemente per spazzare le aree di rigore, con tackle o calciando lontano il pallone. In realtà è un errore e se ne accorge Ron Greenwood, l’allenatore scelto dal West Ham nel 1961. Anche lui è stato un difensore del Chelsea con cui ha vinto il titolo inglese nel 1955, ma quando vede Moore capisce che un giocatore con quei piedi non può essere utile solo per i tackle o lanci.

Decide così che grazie a quel numero 6 il West Ham diventerà la prima formazione inglese ad impostare il gioco partendo dalla difesa. Quella squadra inizia a mostrare qualcosa che sui campi inglesi non si era mai visto prima. C’è Bobby Moore in difesa, c’è Geoff Hurst, il compagno di Bobby quando giocava a cricket, in attacco. Manca un centrocampista. La lacuna viene colmata con l’arrivo di Martin Peters che è più giovane di un paio d’anni rispetto a Moore e Hurst, ma ha delle doti straordinarie nell’interpretare i concetti del centrocampista moderno, negli inserimenti nelle aree avversarie e dal fatto di essere ambidestro.

Dopo lo shock subito a causa di una diagnosi di un cancro ai testicoli, il West Ham inizia finalmente a vincere trofei: la Coppa d’Inghilterra nel 1964 contro il Preston North End per 3-2, poi la Coppa delle Coppe nel 1965 per 2-0 contro il Monaco 1860, sempre a Wembley. Con la maglia del West Ham, Moore, il vero leader di quella formazione che purtroppo non vinse mai la First Division.

Discorso diverso per quanto riguarda la Nazionale inglese. Moore vi esordì il 20 maggio 1962 a Lima contro il Perù, per poi disputare i successivi mondiali in Cile nello stesso anno, nei quali l’Inghilterra fu eliminata ai quarti di finale. Divenne infine capitano alla sua dodicesima presenza in nazionale, il 20 maggio 1963 contro la Cecoslovacchia all’età di 22 anni. Era solo l’inizio, perché fu nella stagione seguente che Moore conobbe l’apice della sua carriera.

Alla Coppa del Mondo del 1966 rischiò addirittura di non prendervi parte! Il difensore aveva preso un accordo verbale con il Tottenham ed era deciso a lasciare gli Hammers lasciando di fatto scadere il suo contratto. Solo l’intervento del ct inglese Sir Alf Ramsey lo convinsero a fimare nuovamente per il West Ham in quanto tecnicamente, nei regolamenti dell’epoca, non era qualificato a giocare.

Dopo aver trovato un nuovo accordo poté concentrarsi sui Mondiali, che questa volta si sarebbero tenuti in Inghilterra per la prima volta. Era ora per il football inglese di riscattare il deludente risultato ottenuto nelle edizione precedenti, smettendo di sottovalutare una volta per tutte le competizioni internazionali a causa della loro ‘presunta maestria nel gioco’.

Ma i giocatori del West Ham sono attesi da qualcosa di più importante. Alla finale gli inglesi, dopo una serie di partite con relative polemiche arbitrali, vi arrivano con la Germania Ovest. Sono passati 21 anni dalla fine della seconda guerra mondiale e in qualche modo la partita risente di quel clima non propriamente sereno. Alla vigilia della partita finale a Wembley il Times incorre in uno dei più gravi infortuni giornalistici della sua storia.

“Comunque vada oggi pomeriggio a Wembley, -si legge nell’editoriale- abbiamo già battuto i tedeschi due volte nel loro sport preferito: la guerra mondiale”.

La finale è bellissima, passano subito i tedeschi con Haller, poi pareggiano gli inglesi con Hurts su passaggio di Moore. Il 2-1 lo fa Peters, sembra fatta, ma all’ultimo minuto sull’ultima azione dei tedeschi pareggia Wolfgang Weber, un difensore che si era portato disperatamente in avanti. Si va ai supplementari e su un cross di James Alan Ball, Hurst si arrocca sul pallone, colpisce la palla di mezzo volo e la manda contro la traversa, sbatte sulla linea e torna fuori. Goal! Non è goal! L’arbitro non decide.

In una partita tra inglesi e tedeschi quale arbitro si era scelto?

Un arbitro svizzero che anche in quella circostanza non prende la decisione. Si rivolge al guardialinee che è il russo Bakramov. Anche i russi con i tedeschi non hanno rapporti amichevoli dopo quanto successo nel secondo conflitto mondiale. Bakramov non parla ne inglese ne tedesco, ma in qualche modo si fa capire e indica con la bandierina il centrocampo. Per lui è goal: quella palla ha superato la linea di porta. La rete viene convalidata anche se tutte le moviole dimostreranno il contrario.

Hurst firmerà il 4-2 e l’Inghilterra diventerà Campione del Mondo e per come è andata quella partita nonostante il goal fantasma il titolo è meritato. Ma per i tifosi del West Ham non è l’Inghilterra ad aver vinto quel titolo.

Fanno i conti: chi era il capitano di quella squadra?

“Bobby Moore del West Ham”.

Chi ha segnato la tripletta compreso il goal fantasma?

“Geoff Hurst del West Ham”.

E chi ha segnato il goal del 2-1?

“Martin Peters sempre del West Ham”.

Il West Ham non ha mai vinto un titolo nella storia del campionato inglese, ma i loro tifosi dalle tribune del vecchio Upton Park gridavano ancora “Noi siamo i veri Campioni del Mondo”.

In Inghilterra chiude con la maglia del Fulham

Moore venne confermato ancora capitano ed in questa circostanza e alla viglia dei Mondiali del 1970 in Messico fu protagonista di uno spiacevole e curioso episodio. Il numero 6 della nazionale venne infatti accusato ingiustamente di aver rubato un bracciale in una gioielleria di Bogotà, dove la squadra stava svolgendo la preparazione atletica per abituarsi a giocare a latitudini elevate finendo addirittura per trascorrere qualche giorno agli arresti domiciliari presso l’abitazione di un agente federale colombiano.

Il manager Alf Ramsey decise di partire alla volta del Messico, lasciando il proprio capitano a Bogotà in attesa di sviluppi. Le accuse vennero successivamente lasciate cadere, Moore fu pienamente scagionato e gli fu permesso di raggiungere i suoi compagni di squadra in Messico.

Nell’incontro del girone eliminatorio contro il Brasile, Moore affrontò il grande Jairzinho con tale precisione e pulizia che uno di quegli interventi così perfetti venne considerato irripetibile e fu continuamente proiettato nelle scuole calcio inglesi.

Il Brasile vinse comunque l’incontro, ma anche l’Inghilterra si qualificò per la fase successiva. L’eliminazione arrivò però nei quarti di finale per mano della Germania Ovest, che si prese la rivincita per la sconfitta subita in finale nella precedente edizione.

Moore era ormai alla fine del suo percorso con la Nazionale e dopo tre anni disputò la sua ultima apparizione con la maglia dell’Inghilterra (la numero 108) nel novembre 1973, nella storica amichevole contro l’Italia vinta dagli azzurri per 1 a 0 con gol di Fabio Capello.

Il 14 marzo 1974 Moore decise di chiudere il suo matrimonio con il West Ham dopo 15 anni e passò nel ‘piccolo’ Fulham, club che allora militava in Second Division. Durante la stagione 1974-75, la squadra raggiunse la finale dell’FA Cup, dove Moore incontrò proprio il West Ham. Non ci fu però il lieto fine, in quanto furono gli Hammers ad avere la meglio per 2-0.

Moore giocò la sua ultima partita da professionista in Inghilterra per il Fulham il 14 maggio 1977, contro il Blackburn Rovers per poi intraprendere la decisione di trasferirsi nella North American Soccer League.

Il Team USA sfida l’Inghilterra

E’ nel corso del 1976, che avvenne qualcosa d’incredibile: i dirigenti della North American Soccer League decisero di organizzare il ‘Torneo del Bicentenario’ in occasione delle celebrazioni dei 200 anni della dichiarazione d’indipendenza del 1776, invitando tre delle migliori squadre nazionali del mondo.

La nazionale degli Stati Uniti era troppo debole in quel momento, così la NASL decise di creare, tramite un escamotage con la FIFA, il Team USA e di convocare i migliori giocatori, indipendentemente dalla loro nazionalità tra cui Pelé (Brasile), lo stesso Bobby Moore (Inghilterra) e Giorgio Chinaglia (Italia). La formula del torneo fu quella del girone all’italiana, in cui ogni squadra incontra le altre tre. Il torneo aveva lo scopo di promuovere il calcio negli Stati Uniti, in un periodo in cui molti calciatori internazionali di rilievo giocavano gli ultimi scampoli di carriera in quel Paese. Ed è per questa ragione che la federazione brasiliana ed inglese non considerano ufficiale il match disputato contro il Team America, a differenza di quella italiana che invece lo considera ufficiale.

Ebbene la sua ultima apparizione in campo internazionale coincise con la sfida all’Inghilterra, la Nazione per cui aveva alzato da capitano al cielo la Coppa Rimet! Accadde al JFK Stadium di Filadelfia il 31 maggio del 1976: vinse l’Inghilterra per 3-1 con doppietta di Keegan e una rete di Francis. L’unica rete dell’improvvisata selezione a stelle e strisce venne messa a segno dallo scozzese Stewart Scullion, che all’epoca militava nei Tampa Bay Rowdies.

Il Brasile si aggiudicò il torneo a punteggio pieno, mentre gli USA chiuserò all’ultimo posto con zero punti. Quell’esperimento non venne più ripetuto, a causa del mancato successo d’immagine sperato e a causa della scarsa affluenza di spettatori per gara.

Dopo quell’esperienza decise di lasciare il Fulham per tentare l’avventura nella neonata North American Soccer League. Moore giocò per due squadre, inizialmente con la denominazione San Antonio Thunder nel 1977, club che, a seguito degli scarsi risultati agonistici, accompagnati anche una scarsa affluenza di pubblico, videro i proprietari della franchigia costretti a dirigere la squadra alle Hawaii al termine della stagione 1976. Il difensore inglese, nel team che nel frattempo aveva cambiato denominazione in Team Hawaii, vi collezionò 24 presenze e mise a segno un goal. Il tentativo non ebbe grande successo: la squadra che giocava nell’Aloha Stadium di Honolulu, vinse 11 incontri e ne perse 15 e non si qualificò ai playoff. Senza neppure attendere l’inizio della stagione seguente, si trasferì a Tulsa in Oklahoma dando origine ai Tulsa Roughnecks.

La stagione seguente, il 1978, decise di accasarsi ai Seattle Sounders dove dopo sette presenze decise definitivamente di concludere la sua carriera in verde-azzurro.

Il ritiro tra affari e delusioni dirigenziali

Dopo il ritiro, per il glorioso capitano dell’Inghilterra campione del Mondo i suoi progetti non ebbero il successo sperato, tra affari andati male e la fine del suo matrimonio. Non ebbe nemmeno successo come dirigente di Oxford City e Southend United dal 1979 al 1986.

Nel 1981, accettò una parte cinematografica nei panni di attore nel film ‘Fuga per la vittoria’ di John Huston con Michael Caine e Sylvester Stallone, insieme a Pelé e altri calciatori di fama internazionale. Interpretò la parte di uno dei giocatori dell’incontro di calcio organizzato da funzionari nazisti fra carcerieri tedeschi e prigionieri alleati, in una Parigi occupata. Nel film il suo personaggio, Terry Brady, ha il merito di riaprire la gara segnando il gol dell’1-4 poco prima dell’intervallo.

Decise di intraprendere una nuova esperienza come analista e commentatore calcistico per Capital Gold Radio, quando nel 1991 scoprì di avere un tumore al colon e venne operato. La malattia ricomparve nel 1993, quando Moore rivelò ai media di avere il cancro all’intestino.

Venne sconfitto dalla grave malattia sette giorni dopo aver commentato un incontro vinto a Wembley dalla Nazionale inglese per 6 a 0 contro il San Marino. Morì all’età di 51 anni a Londra il 24 febbraio 1993.

Negli anni a venire non mancarono le onorificenze nei suoi confronti: fu inserito nel 2002 nella ‘Hall of Fame’ del calcio inglese e gli venne intitolato un settore di Upton Park, che prese quindi il nome di ‘Bobby Moore Stand’. Nel 2008 la dirigenza degli Hammers decise di onorarlo ritirando la maglia numero 6. Ma il ricordo più grande gli venne tributato a Wembley, con l’erezione di una statua in bronzo posta fuori dallo stadio che lo aveva visto alzare al cielo la Coppa del Mondo nel 1966.

Il suo ricordo è ancora presente all’esterno di Wembley, scolpito nella frase che accompagna la sua statua:

“Calciatore immacolato. Il difensore imperiale. Eroe immortale del 1966. Primo inglese a sollevare la Coppa del Mondo. Figlio preferito dell’East End di Londra. Leggenda del West Ham United. Tesoro Nazionale. Maestro di Wembley. Signore del gioco. Capitano straordinario. Gentiluomo di tutti i tempi”.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.

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