Celtic e Rangers unite nell’odio per Mo Johnston, il “traditore” che fece infuriare due tifoserie

Idolo del Celtic che realizzò caterve di goal, Mo Johnston scatenò l’inferno passando alla corte degli odiati rivali dei Rangers: storia di una scelta che fece infuriare entrambe le tifoserie scozzesi.

La sfida tra Rangers e Celtic non è solo un match di pallone, ma molto di più. Quando le due storiche squadre di Glasgow si affrontano, non scende in campo solo l’aspetto sportivo ma anche quel profondo senso di appartenenza che da oltre un secolo contraddistingue le due tifoserie.

Un derby atipico, in cui a scontrarsi sono identità e culture quasi antitetiche, in una città divisa tra protestanti in blu e cattolici in bianco-verde. Un dualismo che nasce prima ancora del calcio, quando Rangers e Celtic divennero espressione di due anime agli antipodi, ed è per questo il derby di Glasgow vive di una passione viscerale che pochi altri match possono vantare.

La rivalità tra va ben oltre il dualismo “cattolici contro protestanti” che spesso la contraddistingue superficialmente. Le due tifoserie rappresentano visioni del mondo e identità talmente distanti da sembrare separati da anni luce. In città non ci sono mezze misure: o si è dalla parte dei Rangers, o si sostiene il Celtic con passione viscerale. Tifare per gli storici rivali è inconcepibile, quasi un affronto per la propria fede calcistica. Ecco perché le famiglie divise tra le due fazioni sono rarissime a Glasgow, dove la contrapposizione tra i due club permea ogni aspetto della vita in città.

Quando il difensore Lorenzo Amoruso sbarcò in Scozia per vestire la maglia dei Rangers, difficilmente avrebbe immaginato di poter entrare nella storia del club. Eppure, dopo gli anni in Italia tra Bari e Fiorentina, Amoruso riuscì nell’impresa di diventare il primo capitano cattolico nella ultracentenaria storia dei protestanti Rangers. Una svolta epocale per gli equilibri socioculturali di Glasgow, con un italiano che abbatté barriere invalicabili. Amoruso contribuì a modernizzare l’identità dei Rangers, dimostrando sul campo tutto il suo valore e conquistandosi i gradi di leader in una rosa che lo accolse come uno di loro, al di là della fede.

L’Old Firm ha scritto pagine epiche dentro e fuori dal rettangolo verde, tra momenti gloriosi e controversi che hanno alimentato una rivalità senza eguali. Le due anime di Glasgow hanno dato vita nel corso dei decenni a innumerevoli capitoli romantici e incredibili, che da soli riempirebbero interi libri sulla storia del calcio. Un dualismo che si è espresso ai massimi livelli anche sul piano sportivo, con un dominio pressoché totale sul campionato scozzese: su 127 edizioni, per 108 volte la vittoria è andata a una delle due storiche rivali, 55 ai Rangers e 53 al Celtic. Numeri che testimoniano una supremazia raramente messa in discussione in Scozia quando l’Old Firm scende in campo.

In questo contesto di rivalità totale tra le due anime di Glasgow emerge la controversa figura di Mo Johnston, attaccante capace di attirarsi le ire imperituro di entrambe le tifoserie. Con le sue scelte sfacciate e controcorrente, Johnston, un uomo coraggioso o incosciente, fu capace di mettersi contro due intere tifoserie con una sola scelta.

Maurice John Giblin Johnston nacque nel 1963 in una Glasgow dalle forti divisioni religiose, e per un giovane cattolico come lui la strada sembrava segnata: il suo destino calcistico non poteva che essere legato al Celtic. Dopo gli anni formativi con Partick Thistle e Watford, a 21 anni Johnston coronò il sogno di una vita vestendo la maglia biancoverde, un traguardo naturale per un ragazzo cresciuto nella parte cattolica della città. Inevitabilmente uno dei “Bhoys”, come vengono soprannominati i giocatori del Celtic. L’inizio di una carriera che lo avrebbe visto diventare un idolo dei tifosi, prima di prendere una decisione scioccante che gli avrebbe attirato le ire di un’intera tifoseria.

Johnston vestì con orgoglio la maglia del Celtic per tre annate, dimostrando tutto il suo talento e segnando più di 50 reti. Diventò in breve tempo un beniamino dei tifosi biancoverdi, vincendo il campionato nel 1986 e guadagnandosi la chiamata della nazionale scozzese. Nel suo momento d’oro, il Nantes decise di puntare su di lui per tornare ai fasti di un tempo in Francia: tra il ’77 e l’83 i Canarini avevano vinto 3 titoli, e l’attaccante scozzese sembrava l’uomo giusto per riportarli in vetta. Approdato in Ligue 1, l’attaccante dai capelli rossi si dimostrò all’altezza pur restando solo due anni, prima di vivere il discusso ritorno in patria.

Nell’estate 1989 Johnston fece ritorno a Glasgow, ma la destinazione fu una doccia gelata per i tifosi del Celtic: l’attaccante decise di vestire vestì infatti la maglia degli acerrimi rivali dei Rangers. Un trasferimento shock voluto dal giocatore-allenatore Graeme Souness, reduce dalla vittoria del campionato grazie ai gol di Ally McCoist. Con la disponibilità economica dalla loro parte, i Rangers strapparono Johnston al Celtic in un affare che fece infuriare i tifosi biancoverdi. Per un idolo dei cattolici come lui, accettare di passare alla squadra dei protestanti fu visto come un tradimento imperdonabile. Un terremoto sul piano sportivo e socioculturale, con una scelta controcorrente che scatenò reazioni furibonde.

Di fronte alle insistenti domande sulla scelta di ingaggiare un ex idolo del Celtic, Souness rispose con una battuta destinata a entrare nella storia del derby:

“Ho sposato una donna cattolica,  figuriamoci se potrò avere dei problemi ad allenare un giocatore cattolico”.

Una frase provocatoria con cui Souness liquidò le polemiche, rimarcando come ai suoi occhi Johnston fosse semplicemente un grande attaccante, al di là dell’appartenenza religiosa. Una presa di posizione netta, con cui il manager dei Rangers rivendicò la bontà della sua scelta, ma non bastò a placare la rabbia dei tifosi del Celtic, che videro il passaggio del loro idolo come il più doloroso dei tradimenti.

La sarcastica battuta di Souness non placò la rabbia delle opposte tifoserie per il discusso trasferimento. Sia i fan del Celtic che quelli dei Rangers mal digerirono la scelta di Johnston, visto come un traditore dagli uni e una bandiera degli odiati rivali dagli altri. Per i sostenitori biancoverdi, il passaggio di un simbolo cattolico come lui alla squadra protestante fu imperdonabile. Al tempo stesso, i tifosi protestanti dei Rangers videro di cattivo occhio l’ingaggio di un ex idolo dei rivali dalla fede avversa. Un doppio schiaffo difficile da mandar giù per le opposte fazioni, nonostante la sbrigativa giustificazione di Souness. Johnston si ritrovò solo e malvoluto da entrambe le tifoserie.

Il trasferimento più scandaloso di Scozia scatenò reazioni furibonde

Bandiere e maglie dei Rangers furono bruciate fuori da Ibrox, mentre il giocatore ricevette minacce e insulti, venendo ribattezzato spregiativamente “Giuda” dalle opposte tifoserie, per una volta unite nell’ostilità. Costretto ad assoldare tre guardie del corpo, Johnston finì quasi per barricarsi in casa. Persino il magazziniere dei Rangers si rifiutò di lavargli la divisa, costringendolo a provvedere da solo. Ma l’attaccante tirò dritto, facendone una questione di principio e non lasciandosi intimorire dall’alone di terrore creatosi intorno a lui. Una situazione surreale, con le due anime di Glasgow che concordavano solo nell’isolare e minacciare quello che era diventato un comune nemico pubblico numero uno.

Nonostante l’ostilità, Johnston rimase focalizzato sul campo, giocando spesso bene e segnando con regolarità. Andò in gol all’esordio contro l’Aberdeen, bissando poi contro Hearts, Dundee United, St Mirren e Hibernian. Cinque reti nelle prime undici giornate confermarono il suo fiuto del gol. La ciliegina arrivò in un infuocato derby contro il Celtic ad Ibrox: davanti a oltre 40.000 spettatori, Johnston segnò il suo sesto centro stagionale, proprio contro la sua ex squadra. Una rete che aveva il sapore della rivincita personale, dopo i fischi assordanti che lo avevano accolto al suo ritorno da “traditore”.

Al minuto 89, Johnston raccoglie una respinta al limite dell’area e con un destro rasoterra trafigge la leggenda del Celtic Pat Bonner, siglando il gol che deciderà il derby. Esplode la gioia dei compagni e dei tifosi protestanti, mentre cala il gelo sul settore ospiti. Sembra l’attimo della riconciliazione per il contestato attaccante, ma il giorno dopo tornerà bersaglio di insulti da ambo le tifoserie. Eppure, paradossalmente, alcuni fan dei Rangers inizieranno ad ignorarlo, come a volerlo “ringraziare” per la prodezza nel match più atteso. Una situazione assurda, con il match-winner del derby trattato alla stregua di un appestato da entrambe le fazioni. Impossibile ignorare un bomber capace di decidere la sfida più sentita di Scozia, ma l’ostilità nei suoi confronti era ormai radicata.

Johnston professionista esemplare in un clima ostile

Nonostante l’ambiente ostile, Johnston continuò a fare il suo dovere di bomber: 17 reti nella prima stagione ai Rangers, addirittura 19 nella successiva. Nella terza annata fece in tempo a segnare 10 gol in pochi mesi, prima di essere acquistato dall’Everton e di lasciare nuovamente la Scozia. Un comportamento professionale, come quando aveva scelto di vestire la maglia dei Rangers: Johnston rimase focalizzato sul campo, da autentico bomber, nonostante l’alone di terrore creatosi attorno a lui. I suoi numeri restano eloquenti, nonostante gli insulti e le minacce ricevute per un calciatore che fece parlare i gol e il talento, in barba alle polemiche.

Dopo l’esperienza ai Rangers, Johnston proseguì la carriera vestendo le maglie di Hearts, Falkrik e dei Kansas City Wizards, prima di intraprendere la carriera di allenatore Oltreoceano, lontano dagli strascichi delle polemiche in patria. La sua discussa scelta di passare dal Celtic ai Rangers non è mai stata dimenticata a Glasgow, dove è rimasto un personaggio controverso e inviso ad entrambe le tifoserie. Idolo traditore per i fan del Celtic, ex bandiera degli odiati rivali per quelli dei Rangers.

Un uomo coraggioso o sprovveduto, che con una decisione scosse gli equilibri calcistici e socio-culturali della città. Johnston pagò quella svolta, ma ne uscì a testa alta, da professionista e trascinatore.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.

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