Di Антон Зайцев - https://www.soccer.ru/galery/1050902/photo/728404, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=69480772

Champions League, si chiude un’epoca

Addio vecchia formula, sta per cominciare un’altra era: ecco come cambierà la Champions League che abbiamo amato per decenni

La fase a gironi della Champions League è da sempre il cuore pulsante della competizione. Il momento in cui le grandi squadre e i grandi campioni si sfidano per la supremazia calcistica del vecchio continente. Per oltre tre decenni, da fine agosto a dicembre, è stato il periodo durante il quale intere generazioni di appassionati hanno gioito e sofferto per le proprie squadre.

I sorteggi, l’attesa per le sfide più affascinanti, i colpi di scena e le decisive gare finali: tutto questo ha contribuito a creare l’indimenticabile mitologia della fase a gironi. E ora, improvvisamente, questa lunga era volge al termine: le sfide di questi giorni, martedì e mercoledì, saranno gli ultimi splendidi fuochi d’artificio prima che il format cambi radicalmente.

L’ULTIMO CANTO DEL CIGNO DEL CALCIO ROMANTICO

Quando nel 1991 fu introdotta per la prima volta la formula a gironi, il calcio europeo viveva gli ultimi bagliori di un’era ormai al tramonto. Il divario tecnico ed economico tra le big e il resto non era ancora incolmabile come negli anni successivi. Basti pensare che l’ultima Coppa Campioni prima del cambiamento epocale vide trionfare la Stella Rossa Belgrado: l’unico e indimenticabile successo della forte Jugoslavia unita.

Da lì in poi, il calcio divenne sempre più business, i top club crebbero a dismisura e ogni competizione europea passò dai gironi. Come nel 1992, quando nacque l’attuale Champions League. O come accadrà nella prossima stagione, con l’addio ai gruppi storici. Cambierà il format, non cambierà la sostanza: i più ricchi e potenti continueranno a primeggiare. Ma noi nostalgici rimpiangeremo sempre quella meravigliosa Coppa Campioni del ’91: l’ultimo grande exploit del calcio romantico.

L’IMBATTIBILE TRIADE SPAGNA-INGHILTERRA-GERMANIA

Il dominio spagnolo, inglese e tedesco degli ultimi 10 anni in Champions League è lo specchio fedele di un’egemonia economica e sportiva che ha pochi precedenti nella storia del calcio. Dopo i fasti italiani tra fine anni ’80 e inizio 2000, con 5 affermazioni in 9 anni (Milan 3, Inter e Juventus una a testa), nessun altro campionato è più riuscito a imporsi.

Le big della Liga, della Premier e della Bundesliga hanno letteralmente cannibalizzato il panorama europeo, grazie a introiti da capogiro e programmi sportivi ai limiti della perfezione manageriale. Persino potenze come Francia e Portogallo sono state relegate al ruolo di comprimarie benevole. Eccezion fatta per il Marsiglia 93′, l’Ajax nel ’95 e il Porto 2004, è un decennio che solo Spagna, Inghilterra e Germania dettano legge: 13 Champions in tre. Un dominio schiacciante, forse irripetibile nella storia del pallone.

L’INVOLUZIONE ELITARIA DEL CALCIO EUROPEO

Quando nel ’91 fu introdotta la fase a gironi, la UEFA colse due piccioni con una fava. Da un lato, si garantì un surplus di partite, visibilità e quindi introiti da diritti TV e sponsor. Dall’altro, democratizzò parzialmente l’accesso alla competizione, aprendo le porte anche a realtà minori, sia pur destinate a un ruolo comunque comprimario.

Inizialmente, fu un successo. Calcio più inclusivo e maggiori guadagni per tutti, ma col tempo, il solco tra big e outsider si accentuò. I top club crebbero a dismisura, i più deboli rimasero indietro. La forbice divenne incolmabile, in campo come a livello economico-finanziario. A oggi, a contendersi il trofeo sono quasi sempre le stesse realtà onnipotenti. Un super campionato d’élite che, pur garantendo spettacolo, ha finito per erodere l’originaria vocazione meritocratica del calcio europeo.

L’ALBA ROMANTICA DEL CALCIO SENZA CONFINI

Quando nel 1992 nacque l’attuale Champions League, il continente era ancora scosso dalle scosse di assestamento post caduta del Muro di Berlino. La neonata competizione incarnò subito lo spirito di una nuova Europa unita e pacificata, accogliendo tra le proprie fila club provenienti dalle più disparate realtà nazionali, anche le più periferiche.

L’intento innovativo era più che nobile: democratizzare il calcio, renderlo manifesto di fratellanza continentale. Da qui l’istituzione di preliminari estivi, utili a vagliare e integrare le rappresentanti dei tornei minori dell’Est europeo. Certo, il divario tecnico con le big era abissale. Ma in quel calcio arcobaleno e liquido, dai confini geopolitici ancora indefiniti, lo spirito romantico prevaleva sui purismi. Era la Meritocrazia a primeggiare sull’Elitarismo. Almeno all’inizio…

LA FINE DELL’ERA ROMANTICA

Quando nel ’92 il Barcellona di Cruyff alzò al cielo di Wembley la prima Coppa dei Campioni targata Champions League, nessuno poteva immaginare che quella vittoria sulla Sampdoria dei gemelli Mancini-Vialli avrebbe segnato una svolta epocale. Per i blaugrana furono sufficienti 10 gare per conquistare l’ambito trofeo; oggi, invece, solo la lunghissima trafila dei 13 impegni canonici può garantire gloria imperitura ai club superstiti.

Erano altri tempi. Tempi romantici e arcaici in cui bastavano poche sfide a eliminazione diretta per eleggere il campione. Poi, col nuovo format a gironi, il torneo assurse a competizione mastodontica dai connotati quasi intercontinentali. Un gigante sul quale pochi eletti possono davvero pensare di regnare. Champions League, sinonimo moderno di supremazia finanziaria; lontana galassia per outsider dal blasone antico ma dalle tasche bucate.

Pronostici champions league

L’AMARA RINASCITA DELLA COPPA CAMPIONI

Quando negli anni ’90 l’UEFA decise di traghettare la Coppa Campioni nell’attuale Champions League, fu una scelta obbligata più che virtuosa. L’antico format era ormai anacronistico, surclassato in appeal dalla Coppa UEFA. Quest’ultima, grazie alla partecipazione multipla delle big europee, garantiva maggiore imprevedibilità e spettacolarità.

In breve, la Coppa Campioni rischiava di diventare obsoleta. Da qui la necessità di un restyling in chiave moderna ed commerciale, come raccontò l’ex segretario generale Gerhard Aigner. Il rebranding in Champions League e l’introduzione della fase a gironi diedero nuova linfa a una Coppa ormai scialba e appannata. Certo, si perse parte del fascino rétro; ma si gettarono anche le basi per la competizione globale che tutti oggi conosciamo. Un male necessario per assecondare le logiche dell’industria pallonara.

LO STILE AMERICANO APPLICATO AL CALCIO EUROPEO

Quando l’UEFA decise di rifondare la Coppa Campioni in Champions League, non si limitò a un mero maquillage estetico. L’obiettivo era creare un prodotto altisonante, apprezzabile anche Oltreoceano. Da qui la scelta di ispirarsi al football NFL made in USA, genuina religione laica per milioni di statunitensi.

Il rebranding pescò a piene mani dall’immaginario d’oltreoceano: inni trionfali, coreografie e claim accattivanti come al Superbowl. Persino l’iconica sigla altro non era che una rivisitazione dell’inno per l’incoronazione di Re Giorgio II di Hannover nel 1727. Un modo per dare eco internazionale ad una competizione che, partendo dalla tradizione british, ambiva ora a conquistare il mondo. Del resto, anche club storici come Inter, Juventus, Napoli e Real Madrid avevano mietuto allori in Coppa UEFA: urgeva un rilancio globale della massima competizione europea.

LA RIFONDAZIONE DELLA CHAMPIONS LEAGUE

Da quando nel ’92 venne inaugurata l’era Champions League, per oltre tre decenni il format della competizione è rimasto pressoché immutato. Piccole limature qua e là, ma l’impianto originario di gironi e fasi a eliminazione diretta è stato religiosamente preservato. Almeno fino a oggi. Perché con la stagione 2024/25 si volta pagina, optando per una rivoluzione copernicana che traghetterà la Champions in una nuova dimensione.

Addio ai classici gruppi, benvenuta formula “campionato”: tutte le 36 partecipanti verranno sorteggiate in un unico girone suddiviso in quattro fasce, affrontandosi in gare di andata e ritorno contro otto avversarie. L’obiettivo dichiarato è aumentare appeal e spettacolarità, garantendo più big match nella prima fase. Una scommessa ad alto rischio, che ha già sollevato scetticismo e malumori tra club e appassionati nostalgici. Per molti, si tratta di un delitto perfetto ai danni della tradizione. Per altri, è il prezzo da pagare per adeguarsi ai tempi e assecondare le logiche commerciali. Comunque vada, sarà una Champions destinata a far discutere.

Real Madrid
Florentino Pérez Rodríguez, 71 anni, presidente del Real Madrid dal 2009, dopo aver guidato il club dal 2000 al 2006 (foto: zimbio.com)

L’OMBRA INCOMBENTE DELLA SUPERLEGA

L’ultima riforma della Champions League è figlia diretta del terremoto Superlega, che nel 2021 ha rischiato di sconvolgere gli equilibri del calcio europeo. Quel progetto, fortemente voluto da alcuni top club come Juventus, Real Madrid e Barcellona, puntava a creare una competizione d’élite, totalmente avulsa da meriti sportivi e logiche meritocratiche.

Un torneo pensato unicamente per nobilitare economicamente pochi eletti, a discapito della tradizione. Fortunatamente, l’iniziativa naufragò miseramente; ma servì da campanello d’allarme per la UEFA. Urgeva una riforma della Champions per assecondare le richieste delle big: più partite di lusso, più introiti garantiti. Detto, fatto: ecco allora l’attuale restyling funzionale alle logiche commerciali.

Un compromesso che accontenta i grandi club con più posti in palio, senza tuttavia tradire completamente il Dna meritocratico del calcio continentale. L’auspicio è che, anche in futuro, i fasti continentali vengano assegnati al termine di sfide epiche. E non per diritto acquisito.

A proposito di Cristian La Rosa

Cristian La Rosa. Classe ’76, ama il calcio e lo sport in generale. Segue con passione il calcio internazionale e ha collaborato con alcuni web magazine. È il fondatore, ideatore ed editore.

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