Chiedi chi era Gaetano: trent’anni senza Scirea

Il 3 settembre 1989 moriva in un incidente d’auto in Polonia uno dei simboli della Juventus e della nazionale italiana.

di Stefano Ravaglia

Dopo l’ennesimo scudetto, era ora di far festa. Tutti in discoteca a ballare e divertirsi. Ma lui non è che fosse proprio tipo da discoteca, né un festaiolo in generale. Si lascia trascinare, una foto lo ritrae divertito e sorridente, in camicia, mentre si abbandona al ballo. Poi esce, proprio mentre, alle 6 del mattino, gli operai della Fiat vanno al lavoro. Rivede suo padre, operaio alla Pirelli, rivede lui stesso.

Ma posso io darmi alle danze, quando c’è chi si alza mentre io vado a letto, per poter sbarcare il lunario? Gaetano Scirea era così. Lindo, umano, quasi fin troppo.

E infatti è stato caro agli dei, che se lo sono presi troppo presto, a 36 anni, tre decadi fa esatte, nel 1989, in una domenica in cui un ponte di lacrime unì la Polonia all’Italia, dove intanto si era giocata una delle prime giornate del campionato di Serie A. Sandro Ciotti dalla sua voce roca questa volta non annuncia un gol via radio ma dà una pugnalata a tutti via tubo catodico: gli spettatori della “Domenica Sportiva”, a tarda sera, vengono informati dal giornalista che Gaetano era morto.

Era accaduto quasi dodici ore prima, ma le informazioni, in epoca pre-social, erano frammentarie. Marco Tardelli, ospite in studio e amico di una vita di Scirea, abbandona lo studio in lacrime.

Gaetano Scirea era stato inviato a vedere il Gornik Zabrze, prossimo avversario della Juventus in UEFA. Boniek, anni dopo, dirà:

“Che bisogno c’era di mandare qualcuno? Potevano chiedere informazioni a me. Quel turno l’avrebbero passato agevolmente comunque”.

Pronostico rispettato: 1-0 e 4-2 a Torino. La Juventus vincerà quella edizione, in finale con la Fiorentina. Ma non avrà più il suo allenatore in seconda, che si era messo al fianco dell’amico Zoff dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.

E studiava per diplomarsi: il calcio sin da piccolo fu la ragione di vita che gli evitò la fabbrica, destino toccato a suo padre, e lo studio era qualcosa che aveva lasciato in sospeso. Per orgoglio personale si chinò sui libri con la moglie Mariella che lo interrogava dopo le lezioni serali. E il diploma di insegnante arrivò: una soddisfazione più grande di qualsiasi trofeo.

E Scirea ne ha vinti parecchi in quella sua carriera di libero elegante, carismatico, mai scorretto e leale. Dal Cinisello Balsamo alle giovanili dell’Atalanta, poi a 21 anni la chiamata della Juventus, lui che da piccolo andava a San Siro ad ammirare la Grande Inter.

Quattordici anni in bianconero, sette scudetti, una Uefa, una Coppa Coppe, una Supercoppa Europea, due Coppe Italia e l’Intercontinentale del 1985 figlia di una Coppa dei Campioni macchiata dal sangue delle 39 vittime dell’Heysel.

“Non reagite alle provocazioni, restate calmi, giochiamo per voi”,

disse dalla cabina dello stadio in quei tumultuosi e tristemente celebri momenti. E il Mondiale del 1982, in Spagna, forse la gioia più grande. Perché per lui, quella Coppa dei Campioni, non valeva nulla.

Quando parlava quasi sussurrava, ma in campo era un indomito leone. La carriera folgorante non aveva appannato la sua umiltà e il suo rispetto per il prossimo. Com’è lontano Scirea dal calcio di oggi: la distanza tra lui e i tamarri tatuati di oggi, è siderale. Il figlio Riccardo oggi è nello staff tecnico della Juventus, mentre Mariella, conosciuta nel ’74 (“fu un vero colpo di fulmine”) e sposata nel 1976, intervistata dal Corriere della Sera in questi giorni, nonostante fosse rimasta vedova a quarant’anni non ha mai pensato di rifarsi una vita.

“Avrei fatto continuamente dei paragoni e mi sarebbe mancato ancora di più. Vado ogni giorno a trovarlo e parlo con lui, mi aiuta a alleviare il distacco”.

L’orologio al suo polso, quel 3 settembre 1989, segnò per sempre l’ora della tragedia, le 12.50. Un sorpasso azzardato dell’autista portò l’auto a scontrarsi con un pulmino in arrivo sulla corsia opposta, ma non fu tanto questo il problema quanto le quattro taniche di benzina contenute nel baule, fatali quando sopraggiunse alle spalle un altro veicolo che tamponò la vettura incendiandola. Qualche anno prima invece, dalla sede della Fiat era tornato a casa con una 131 rosa. Mariella ne ride ancora.

Ma a Gaetano, altruista difensore e uomo inimitabile che se n’è andato troppo presto, le Ferrari proprio non interessavano.

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