Il 14 agosto del 1988 si spegneva per sempre Enzo Ferrari. 35 anni fa, l’uomo-eroe del Novecento, raggiungeva il suo ultimo e faticoso traguardo…
Era la mattina di Ferragosto, nella Modena del 1988. Una città deserta, avvolta dal silenzio della tipica serenità di chi è riuscito a emigrare in altri lidi per qualche giorno di vacanza, per mettere temporaneamente da parte tutte le fatiche e le preoccupazioni quotidiane. Nessuno si era accorto dell’assenza più assenza di tutte. E il giorno seguente, nessun giornale, in merito a quell’assenza, avrebbe fatto un titolo da copertina.
Era la mattina di Ferragosto, nella Modena del 1988. Quando, all’improvviso, viene annunciata la morte di Enzo Ferrari, avvenuta il 14, il giorno precedente.
Perché così voleva il Drake, rendere nota la sua scomparsa solo ad esequie avvenute.
Un funerale semplice, senza corteo, con una breve messa nella chiesetta del cimitero di San Cataldo, con la bara collocata su un carrello accompagnata da un solo mazzo di fiori e i parenti più stretti, per poi essere tumulata nella cappella di famiglia accanto al figlio Dino. Era avvenuto così, l’ultimo traguardo di Enzo. Allo zenit dell’anno dei suoi novant’anni, compiuti il 18 febbraio.
Per celebrarli, aveva voluto che si organizzasse una festa particolare, a cui dovevano essere invitati tutti i suoi dipendenti… e basta. Nessun altro, ad eccezione di Vittorio Ghidella, l’ingegnere all’epoca responsabile della Fiat Auto a cui Ferrari aveva dimostrato un sincero apprezzamento. Niente fotografi, né cineprese, né estranei. Solo lui, i suoi operai, la sua fabbrica. Una consapevolezza inconscia che quello, molto probabilmente, sarebbe stato l’ultimo compleanno. Un congedo.
Il peso della salute vacillante iniziava a chiedergli il conto, pesante, come la consapevolezza che di quella stagione ‘88 che stava per iniziare non ne avrebbe visto il finale.
Le sue assenze in ufficio man mano diventano sempre più frequenti, Enzo continua a seguire le gare guardandole in televisione. Le soddisfazioni, però, sono poche: il campionato è monopolio della McLaren e affare privato tra Senna e Prost. Ai rapporti con i collaboratori preferisce i colloqui con don Galasso Andreoli, il cappellano della fabbrica. Con lui, Ferrari affronta una sorta di preparazione all’ultimo incontro della sua vita, quello a cui si pensa poco, per paura e mistero.
In una delle loro lunghe chiacchierate, gli confida una grande desiderio: quello di potersi rimettere in forma in vista della visita di Papa Giovanni Paolo II a Maranello a giugno. Ferrari non era praticante, ma aveva una grande sensibilità per i problemi religiosi. Spesso, nelle sue riflessioni ad alta voce, parlava di un “dopo”, quello in cui avrebbe voluto riabbracciare suo figlio Dino.
Sfortunatamente, però, con il Papa intrattiene solo una conversazione telefonica. Un dialogo breve quanto intenso, pregno di commozione e devozione. Per Ferrari, poterlo incontrare di persona era impossibile. Bloccato a letto, manda il figlio Piero a fare gli onori di casa a Maranello. Piero che, con Lina Lardi, si stavano preparando a un doloroso addio.
La leggenda vivente, lentamente, si stava spegnendo. Domenica 7 agosto, a Modena, nella casa di largo Garibaldi, la televisione che fino a quel momento regalava immagini di cordoli e sfide al Commendatore, non trasmette alcuna immagine. Per la prima volta, Ferrari non segue la corsa. Riposa.
La Formula 1, quel fine settimana, faceva tappa in Ungheria. Vince Ayrton, Berger chiude quarto. Quando riapre gli occhi, chiede a Piero: “Abbiamo battuto l’Alfa Romeo?”. Un’altalena tra passato e presente, con i ricordi che prendono spazio in un tempo senza prospettiva.
La leggenda vivente, si stava spegnendo.
Era la mattina di Ferragosto, nella Modena del 1988. Quando, all’improvviso, viene annunciata la morte di Enzo Ferrari, avvenuta il 14, il giorno precedente.
Il grande uomo dei motori, l’eroe italiano del XX° secolo, aveva raggiunto l’ultimo traguardo.