F1 | Imola ’83, la vittoria di una Ferrari senza scarpe

Il 1° maggio, nel 1983, era una domenica di festa. Non solo per gli italiani, ma per la Ferrari e i suoi tifosi. Ad Imola, esattamente un anno dopo la tanto discussa edizione caratterizzata dal duello Villeneuve-Pironi, una Ferrari numero 27 sale sul gradino della vittoria… 

“La Ferrari vince senza scarpe”. Così il giornalista della Rai, Marco Franzelli, aveva deciso di intitolare il suo servizio in onda a La Domenica Sportiva dedicato alla domenica imolese. Un titolo che riprende la frase del Commendatore relativa alle gomme utilizzate dal Cavallino, troppo inferiori rispetto a quelle degli avversari.  

Un titolo, che incornicia una domenica perfetta, la costruzione di un successo avvenuto precisamente 358 giorni dopo il torto che sentì di aver subito Gilles da Didier, 358 giorni dopo il cartello “slow”, 358 giorni dopo la rabbia e la delusione ben incise sul volto del piccolo canadese. 

Al posto di Gilles, 358 giorni dopo, ad Imola, c’è Patrick Tambay. Il pilota francese chiamato a Maranello dopo la tragedia di Zolder per sostituire quello che era un grande amico sin dai tempi della Formula Atlantic. 

Tambay debutta al volante della Ferrari tre gare dopo, a Zandvoort. È nei quattro appuntamenti successivi che il parigino ottiene buoni risultati: tra questi anche un primo successo in Germania. Per Patrick, la parola “Mondiale” inizia a non essere così tanto un tabù, nonostante il 1982 continui a rappresentare l’anno buio per la Scuderia di Maranello. Anche Pironi, infatti, è vittima di un incidente che non gli consente di poter proseguire la sua carriera da pilota di Formula 1. 

Patrick diventa il portabandiera di una Ferrari che ha vissuto troppe disgrazie, e in troppo poco tempo. E, nonostante sia obbligato a saltare gli ultimi tre Gran Premi della stagione a causa di un problema fisico accusato in allenamento, viene confermato per la stagione seguente. 

Per l’‘83, il Cavallino decide di puntare su due fantini provenienti dalla terra della Marsigliese. Accanto a Tambay, infatti, arriva René Arnoux. La 126 C2B, nonostante un inizio “altalenante”, mostra di avere del potenziale: coglie un podio negli Stati Uniti con Arnoux e un quarto posto con Tambay al GP di casa. Poi, ecco Imola. 

La qualifica porta la firma di René, con il ferrarista che riesce a staccare la Brabham di Nelson Piquet di circa 7 decimi. Dietro il pilota carioca, c’è la 126 C2B n°27 di Tambay, che non occupa la seconda casella della griglia di partenza per soli tre millesimi. L’altro pilota Brabham, Patrese, si piazza subito dietro. 

Domenica 1° maggio, si parte. Al via, Piquet resta bloccato per un guasto e deve tentare di costruire una gara tutta in salita. Si ritirerà poi al 41esimo per un guasto al motore. La corsa diventa una sfida tra squadra di casa e un pilota di casa: da una parte c’è la Ferrari di Patrick, dall’altra Patrese. Tra i due si accende un duello che lascia col fiato sospeso durante gli ultimi giro.  

Al traguardo, mancano sette tornate. La Brabham dell’italiano è veloce, supera la rossa e si invola verso la vittoria. Ma, ad un certo punto, accade qualcosa. 

Un segno, forse, proprio ad Imola. In prossimità della curva delle Acque Minerali, Patrese sbanda, esce di pista e sbatte contro le barriere di protezione.  

Sull’Autodromo riecheggia un boato assordante. Gli spettatori stavano gioendo per il ritiro di un italiano! Da non credere. Vedere una Ferrari n° 27 avere strada libera e agguantare il successo ad Imola, evidentemente, era ancor più importante di un atteggiamento antisportivo. 

Sotto gli sguardi di una folla impazzita, Tambay vince, davanti alla Renault di Prost e al compagno di squadra, terzo. Il francese rimane senza benzina durante il giro d’onore: il pubblico invade il tracciato, gli si avvicina, estrae il proprio eroe dalla monoposto e lo porta in trionfo. Un episodio commovente, come commovente è l’omaggio di Patrick nei confronti del suo caro amico Villeneuve. Nel momento della vittoria, il francese si avvicina alla pit lane per toccare una bandiera canadese dipinta sull’asfalto.

Nel segno di una conquista arrivata come una rivalsa. Nel nome di Gilles.

A proposito di Beatrice Frangione

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