Il 13 gennaio del 1974 Niki Lauda iniziava ufficialmente la sua avventura come pilota del Cavallino Rampante. Un momento che avrebbe cambiato la sua carriera – e la sua vita – per sempre.
Mezzo secolo. Cinquant’anni. In qualsiasi modo vogliamo scriverlo è un lasso di tempo che fa comunque venire la pelle d’oca. Più che altro per l’argomento a cui sono collegati tutti questi anni trascorsi. In molti, moltissimi tifosi, specialmente quelli cresciuti nel nuovo millennio, collegano la figura di Niki Lauda alla Mercedes e alla sua gloria. A quella squadra che per molte stagioni è stata avversaria solamente di se stessa e in un paio di occasioni, della Ferrari.
Chi ha avuto la fortuna di crescere guardando i successi del pilota austriaco, di conoscere il suo nuovo modo e metodo dell’essere un pilota di Formula 1, ha riconosciuto in lui il quadro quasi perfetto del campione. Dedizione, precisione, velocità, amore, talento. Quelle stesse cose che hanno fatto sì che qualcuno, qualcuno di molto importante nel mondo delle corse, lo notasse e lo volesse a tutti i costi al volante di una delle sue monoposto da corsa.
Nei primi anni Settanta, la Scuderia Ferrari non viveva un momento roseo. La necessità del cambiamento faceva sempre più rumore tra le mura di Maranello. Era dal 1964 che la rossa non vedeva la conquista di un titolo mondiale e, dieci anni dopo, ecco la messa in pratica di una “rivoluzione”.
Luca Cordero di Montezemolo è il neodirettore sportivo del Cavallino, per lui la parola d’ordine è “nuovo”. O quasi, perché per il ‘74 la corte di Ferrari riporta a sé Clay Regazzoni dopo un ‘73 in cui lo svizzero militò in BRM. Con lui, c’era anche l’esordiente Niki Lauda.
Clay considera il compagno di squadra un buon asso del volante, veloce, ideale per aiutare nello sviluppo della vettura. Parla bene di Niki a Montezemolo, così bene che, alla fine, Montezemolo vuole convincerlo a firmare un contratto.
Già nell’inverno che precede l’avvio della stagione del 1974, Lauda non alza mai il “culo” dalla 312 B3. E non ho scritto la parola “culo” per evidenziare della volgarità fuori luogo, il motivo è semplice: Lauda “sentiva” la macchina grazie al suo fondoschiena. E anche grazie a questo suo sentire, la 312 B3 migliora di settimana in settimana. Il 13 gennaio di cinquant’anni fa, la Formula 1 scrive una nuova pagina di storia. A Buenos Aires, quel giorno, probabilmente nessuno avrebbe mai pensato che quel ragazzino puntiglioso e veloce avrebbe poi col tempo assunto il ruolo di portabandiera, il ruolo di eroe per i tifosi, di portatore di gloria.
Quella domenica argentina Niki taglia per secondo il traguardo, alle spalle del pilota McLaren Hulme e davanti a Regazzoni. Sarà Clay a contendersi il titolo di campione del mondo fino all’ultima tappa negli Stati Uniti con Emerson Fittipaldi, ma non sarà la rossa, alla fine, a firmare la stagione.
La firma sarebbe arrivata l’anno successivo. Piloti e costruttori, a Monza. Con una doppietta, in cui il protagonista è proprio lui, Niki. Il primo dei suoi titoli con la Ferrari. Quello che accadde nel ‘76, ormai, lo sappiamo tutti. Ma sfatiamo un mito: Lauda, sotto la pioggia torrenziale del Sol Levante, non si ritirò per il coraggio di avere paura. Il coraggio, in quell’occasione, non c’entrava niente. Era una questione di patti: alcuni piloti avrebbero dovuto ritirarsi per protesta di fronte alle condizioni meteo al Fuji, e tra questi piloti vi erano anche Niki e James Hunt.
Sappiamo bene come andò a finire.
Ma la rivincita Niki se la prese l’anno seguente, dominando e vincendo il secondo titolo. Sul suo divorzio da Ferrari si è detto e scritto molto, troppo. A lui la vita si è presentata come una strada, con salite, discese e svolte improvvise.Che con una incredibile forza, ha sempre raddrizzato. Stupendo tutti, persino nel giorno del suo ultimo saluto terreno. Quando, per una sua volontà, è stato tumulato indossando la tuta rossa dei tempi in cui vinse con Ferrari. Stupendo tutti, ancora una volta.