F1: Max, il peso di essere re per la quarta volta

Max Verstappen come Prost e come Vettel. Un quarto mondiale che pesa rispetto ai precedenti: un titolo tutto suo, nonostante le difficoltà tecniche – e non solo – della squadra con cui dal 2021 ha composto un binomio invincibile. 

Sì, questo probabilmente è stato il suo titolo mondiale più complicato. E non voglio sottovalutare l’importanza del 2023, del 2022 o del 2021. Quest’ultimo sì che è stato combattuto, fino all’ultima curva dell’ultima gara. E avere come rivale una sette volte campione del mondo non può non generare un certo effetto, anche a un cuore di ghiaccio come quello di Max Verstappen.  

Un ragazzo di 27 anni che per bagaglio di traumi, esperienze, conquiste, potrebbe spacciarsi almeno per quarantenne. Una vita dedita e dedicata alle corse, obbligata o meno dal padre severo, in cui ha saputo cogliere le gioie dopo il sacrificio.  

In cui ha saputo ridimensionarsi, mentre cresceva, per non sbagliare più, per non rischiare di buttare in barriera per sempre la sua occasione di pilota in Formula 1 ancora minorenne. 

La verità sul peso o il non peso di questo quarto titolo mondiale consecutivo ottenuto con la squadra che lo ha fortemente desiderato e cullato, accompagnandolo sino alla vetta più alta del mondo della massima serie del Motorsport, ovviamente solo Max Verstappen può saperla. Solo Max può constatare se sia più difficile riuscire ad occupare il trono con regno in crisi, quello Red Bull, o diventare re di un regno, la Formula 1, conquistato dopo una dura battaglia grazie all’aiuto di un esercito che è ti è immensamente fedele e di uno scudiero presente. 

Perché Verstappen ha dovuto fare i conti con problemi che, almeno fino al 9 di marzo, nessuno avrebbe mai pensato avrebbero potuto interessare la Sua realtà. La sua Red Bull. Quella temuta da tutti gli avversari, quella da battere. Quella della supremazia schiacciante. Quella con cui compone da tempo il binomio d’acciaio. 

Ebbene, quella realtà che sembrava indistruttibile e solida, da febbraio ha iniziato a vacillare. L’esplosione di uno scandalo mette alla luce del sole e sotto agli occhi di tutti la presenza di pesanti lotti di potere interne che, inevitabilmente, sono ricadute su uno degli aspetti fondamentali per vincere: quello tecnico. 

Quando la RB20 ha fatto cadere i suoi veli, ha destato curiosità per la scelta delle sue idee, così differenti dalla linea che sino a quel momento il team aveva sempre seguito. Ma nessuno, in quel momento, avrebbe mai messo in discussione il suo successo. Una rassegnazione collettiva a un secondo anno consecutivo di dominio schiacciante, in cui sia Max, sia la squadra stessa, agli altri non avrebbero nemmeno lasciato nemmeno le più piccole briciole di possibilità.  

E poi, d’un tratto, tutto cambia. Dalle doppiette Max passa al gradino più alto del podio senza però condividerlo con il suo compagno di squadra. E quando inizia a scendere dalla piazzola del numero uno e a intravedere dai box i festeggiamenti degli altri, la frustrazione e la rabbia diventano man mano da comparse a compagne di viaggio.  

Un viaggio in cui Max è stato la guida di se stesso, senza l’aiuto di Sergio, senza la sua astronave. Un viaggio in cui si è perso, per poi ritrovare la strada per raggiungere la sua meta.  

Ha approfittato della debolezza dei nuovi “forti”: la McLaren non ha mai saputo capitalizzare davvero nonostante ne avesse tutte le possibilità, sia per scelte sbagliate del muretto, sia per gli errori dei suoi stessi piloti. 

Per Max è stato sufficiente doversi accontentare, chiudere davanti a Lando, resistere e andare avanti. 

E non ha mai mollato, regalando la perla agonistica nella storia moderna di questo Sport sotto il diluvio di Interlagos, vestendo i panni di un eroe che compie un’impresa da film. 

Nella notte fredda di Las Vegas, solo un suo grave errore avrebbe potuto rinviare la festa: non avendo il passo per agguantare le Mercedes impazzite, ha guidato da ragioniere calcolatore, mostrando con fierezza il numero quattro, il suo poker d’assi mondiali calato proprio a Las Vegas.  

Solo il metaverso e i gin tonic bevuti dopo la corsa sanno se Max, guidando una Ferrari o una vettura color papaya, sarebbe davvero riuscito a diventare lo stesso campione del mondo.  

Nel frattempo, lui, si gode il suo successo. Pensando magari al suo futuro, al suo ruolo nel rush finale di una stagione che ha ancora qualcosa da definire. Il tutto, condito con qualche parolaccia. Giusto per non perdere mai quel lato provocatorio di chi vuol far valere le sue ragioni che lo ha sempre contraddistinto. Nel bene e nel male.

Photo by Mark Thompson/Getty Images) // Getty Images / Red Bull Content Pool

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