Gunter Netzer, il piedone di ‘Gladbach

A metà tra ribelle e edonista, calciatore ma soprattutto imprenditore dall’occhio lungo. Rivaleggia col Bayern, pennella passaggi sui piedi dei compagni. Che corrono per lui.

di Stefano Ravaglia

“Prima che la squadra arrivasse al successo, la gente non sapeva neppure dove fosse Moenchengladbach: eravamo la provincia, un po’ come da voi il Cagliari di Riva”.

I plebei che diventano nobili, il pallone che stravolge le gerarchie. Un tempo accadeva più spesso. Non solo Ajax, Bayern, Leeds o Milan, ma negli anni Settanta anche tanto Borussia Moenchengladbach, e soprattutto Gunter Netzer, che pensa a Cagliari quando parla del suo periodo in Germania, a orchestrare passaggi col 48 di piede sui campi nazionali e internazionali e a far scorrazzare per il campo la sua zazzera bionda e il suo fisico granitico.

Netzer è un uomo di Moenchengladbach dov’era nato e dov’era cresciuto a pane e calcio, debuttando prima nell’FC Moenchengladbach e poi nel Borussia, aprendo inconsapevolmente un ciclo unico per il club. Fa il suo esordio in Bundesliga nel 1965, giusto due anni dopo la nascita del torneo, e nel 1970 è protagonista del primo, storico titolo del ‘Gladbach, ripetuto anche l’anno seguente, in entrambe le occasioni lasciandosi alle spalle i più quotati rivali del Bayern.

Squadra giovane, rognosa e dalla grande capacità di esecuzione negli ultimi trenta metri, quel Moenchengladbach (età media 22 anni!) è composto da puledri, come vengono soprannominati i suoi giocatori, che valicano i confini nazionali per conquistare due Coppe Uefa nel 1975 e nel 1979.

Il nome di Netzer è però legato soprattutto ai primi anni di successi targati Hennes Weisweler. Il tecnico anch’egli originario della Renania, aveva prima portato i tedeschi in massima serie vincendo la Regionalliga nel 1964, e poi alla conquista dei due campionati consecutivi di cui sopra. L’allenatore, alla vigilia del primo titolo, era talmente sicuro di riuscire nell’impresa che minacciò il suo addio a fine stagione in caso il suo ‘Gladbach non avesse vinto.

Il “Bolkenberg”, impianto del Borussia dal 1919 al 2004, celebrò le gesta di Netzer e ammirava le sue mirabolanti reti, tra cui la doppietta all’Inter del 1972, vanificata da una lattina piovuta sulla testa di Boninsegna che costrinse i tedeschi a vedere sfumare la loro larghissima vittoria per 7-1 e a venire addirittura eliminati con un 4-2 subito a San Siro dopo lo 0-0 della partita ripetuta in Germania.

Gioca con Heynkes (che farà il triplete al Bayern nel 2013 da allenatore) e Vogts (futuro CT della nazionale), in una squadra socialista ai tempi della Germania divisa, che rappresenta la riscossa della provincia contro la Baviera, lato Ovest, dove si cambiava sovente la macchina, si aveva un buon lavoro e le famiglie facevano vacanze di lusso.

Sono gli anni di Best a Manchester, con la zazzera pure lui, ma scura, e fascino irresistibile. Seppur però Netzer venga accostato al “quinto Beatle”, il nostro riesce a gestire la sua vita fuori dal rettangolo in modo molto più lungimirante. Investe il denaro (“tanto, ma al Bayern pagavano decisamente di più”, disse) per aprire un locale, il ‘Lovers’, che funziona e gli regala una Ferrari gialla, coordina la scaletta di alcuni programmi tv dedicati al Borussia, gestisce una agenzia pubblicitaria e una di compravendita dei diritti televisivi e fu pure editore del giornalino per i tifosi che usciva allo stadio.

Abilissimo nei calci di punizione e sopraffino con entrambi i piedi, era un ribelle un po’ taroccato, ma di certo un uomo che ha sempre saputo il fatto suo, anche una volta ritiratosi divenendo apprezzato commentatore sportivo delle tv tedesche. Non solo Borussia, però, ma anche tanto Real Madrid, che lo prende nel 1973: due campionati e due Coppe di Spagna. In Catalunya era arrivato Crujiff e i blancos risposero giocandosi la carta Gunter.

Ai neroverdi lasciò l’ultimo brivido: nel giugno del 1973 timbra la sua prima è ultima Coppa di Germania segnando in finale al Colonia nei supplementari un gol dei suoi, con una botta sotto l’incrocio che non lascia scampo all’estremo difensore avversario.

Cosa c’è di strano? Che non era partito titolare e stava ingiustamente marcendo in panchina. Entrò e cambiò la storia. Con il numero 12 sulla schiena e quel piedone 48.

A proposito di Stefano Ravaglia

Controlla anche

L’olandese sconosciuto: René van der Gijp e l’effimero sogno nerazzurro

La traversa di un sogno sfiorato e l’eredità di una meteora nel calcio internazionale. René …

Il silenzio di Brian

Brian Epstein e i Beatles: il silenzio che ha trasformato una band in una leggenda, …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *