L’Italia, dopo tre pareggi con Polonia, Perù e Camerun, si qualifica al girone di semifinale del Mondiale ’82. Davanti due colossi: Argentina e Brasile. Il 5 luglio contro i verdeoro si scatena Paolo Rossi.
di Stefano Ravaglia
Non sappiamo quanto sia stato lungo il travaglio della signora Cassano e della signora Gilardino.
Di sicuro, il 5 luglio del 1982, mentre le donne davano alla luce due attaccanti del futuro, ce n’era uno del presente che a svariati chilometri di distanza, a Barcellona, metteva fine al travaglio della nazionale italiana al Mondiale spagnolo.
“Questi undici artisti del calcio sono proprio invincibili?” si chiede la Gazzetta dello Sport la mattina di quel 5 luglio. Dopo una marea di polemiche, il silenzio stampa imposto dai vertici e un cammino rischiarato solo dalla vittoria con l’Argentina per 2-1 nella partita precedente, l’Italia contro il Brasile del ‘futbol bailado’ di Tele Santana ha un solo risultato possibile per passare in semifinale: vincere.
I brasiliani, una squadra colma di talento come non mai (Scorates, Zico, Falcao e via dicendo) sono i favoriti per la vittoria finale del torneo. Il secondo girone, quello a tre, della curiosa formula di quel Mondiale, ha messo l’Italia di fianco alle due più forti sudamericane di sempre. Dopo aver piegato l’albiceleste 3-1, il Brasile può anche pareggiare con gli azzurri: passerebbe per miglior differenza reti.
Si gioca al Sarrià, che oggi non c’è più. Abbattuto nel 1997, era la casa dell’Espanol prima che la squadra traslocasse al Montjuic, e oggi nel suo nuovo impianto a El Prat. Arbitra l’israeliano Klein, e per questa ragione la partita non viene mostrata in Arabia Saudita.
L’Italia viene dallo scandalo del calcioscommesse, che nei due anni precedenti ha spaccato il pallone e mandato in galera o sotto squalifica alcuni illustri giocatori. Tra questi, c’è Paolo Rossi: avvicinato da un compagno che gli presenta due tizi dediti alle scommesse, viene accusato di aver truccato Avellino-Perugia del 1980, partita nella quale segna due reti, così come i due loschi individui gli avevano intimato di fare. Pur preso alla sprovvista, come ha raccontato, al processo non si rendeva conto che tutto fosse reale.
Prende due anni di squalifica (“In quei due anni era terribile svegliarsi alla domenica e sapere che non c’erano partite. In quei due anni ho riflettuto molto sul fatto che nella vita non esiste solo il calcio”) ma Boniperti decide di portarlo alla Juventus nonostante abbia ancora dodici mesi da scontare. Il 2 maggio 1982 torna in campo giusto in tempo per disputare le ultime tre partite e vincere il titolo coi bianconeri.
È lui il mattatore di quel pomeriggio sotto il sole di Barcellona. Alle 17.15 inizia una delle partite che resteranno nella memoria del calcio mondiale, con Rossi che sblocca subito dopo cinque minuti trasformando di testa su un traversone di Cabrini.
Il Brasile pareggia al dodicesimo con Socrates, che infila un diagonale tra il palo e uno sconsolato Zoff. I verdeoro sono tutt’altro che restii ad accontentarsi del pareggio, giocano aperti e Gentile usa le maniere forti quando servono, per fermare Zico. Ma beccano il 2-1 ancora con Rossi che scaraventa in rete dopo un errore pacchiano di Junior, il quale passaggio in orizzontale viene intercettato dal numero venti che si invola verso la porta e buca Valdir Peres.
Nella ripresa, Falcao pareggia traendo in inganno tre italiani che abboccarono alla sua finta di passaggio verso Cerezo: 2-2. A un quarto d’ora dalla fine, su azione d’angolo, Rossi stavolta insacca di rapina una palla vagante per il 3-2 finale. Prima del novantesimo però, c’è tempo per un brivido: Oscar impatta di destra un cross da calcio di punizione, schiacciando verso la porta.
Sembra fatta, ma Zoff, 41 anni e capitano di quella nazionale, blocca sulla linea. Piero Trillini, scrittore, ne fa anche un libro: “La partita – il romanzo di Italia-Brasile”, mentre nel 2005 il giovane attore siciliano Davide Enia ne fa un monologo della durata esatta di 90 minuti. “Fantastico!” è il titolo della rosea del giorno dopo. Gli artisti del pallone sono stati battuti, e il resto della storia la conosciamo.
E dopo il “Maracanazo” del 1950, hanno un altro disastro sportivo su cui piangere: “la tragedia del Sarrià”.