Il 25 aprile 1995 moriva Andrea Fortunato, stroncato dalla leucemia. Il ricordo è ancora vivo dopo un quarto di secolo
di Stefano Ravaglia
Se n’è andato il 25 aprile 1995, in piena primavera. E’ volato via come una rondine in un momento in cui di solito le rondini arrivano. Si chiamava Andrea Fortunato e sarebbe potuto essere un grande calciatore. Aveva ventitré anni, e avrebbe potuto e dovuto vivere di più. Il condizionale passato è un macigno che pesa più del piombo, è una ghigliottina che ha tagliato i tanti sogni che ancora questo ragazzo aveva nel cuore.
Uno lo aveva realizzato, fare il calciatore. E non di secondo piano, bensì in un club di prima fascia come la Juventus. Che da lì a poco avrebbe vinto tutto, ma senza di lui. L’esordio nella “Giovane Salerno”, città di cui era originario, poi il calcio dei grandi. Prima il Como, poi il Genoa, dove il 6 giugno 1993 segna la rete decisiva al Milan per la salvezza del club. E il passaggio per ben 10 miliardi in bianconero in una stagione di grandi manovre: insieme a lui arrivarono due protagonisti importanti per l’immediato futuro del club futuri, ossia Porrini e Del Piero. Andrea era partito da centrocampista, ma trovò la sua oasi con la fascia completamente sgombra, quella sinistra, che percorreva a falcate sotto le lodi anche di un certo Giovanni Trapattoni.
Pare destinato davvero a un futuro luminoso: indossa il 3, il numero di un altro Re nel suo ruolo, Antonio Cabrini. Segnerà il suo unico gol alla Lazio, in una partita all’Olimpico persa 3-1, e sempre nel 1993 fa il suo esordio in Nazionale in Estonia: è compagno di camera di Costacurta, che ne ricorderà sempre la solarità, l’educazione e la simpatia. E invece, poco a poco, le sue prestazioni peggiorano inspiegabilmente. Viene anche preso di mira dai tifosi, venendo accusato di essere un malato immaginario e di aver totalmente perso la voglia di impegnarsi per la causa. C’era un motivo, e viene scoperto il 20 maggio 1994, quando dopo un’amichevole col Tortona, esce sfinito dal campo. Gli esami evidenziano una leucemia acuta, che a un certo punto, mentre la Juventus corre verso lo scudetto che manca dal 1986, pare sulla via della guarigione.
Le cellule del padre impiantate sul calciatore, attecchiscono, e pare che sia un lento processo verso la guarigione. Fortunato pare avere una vita normale e sembra riprendersi, pur non potendo tornare a giocare: Vialli e Ravanelli sono quelli che gli rimangono più vicino, con quest’ultimo che mette anche a disposizione della famiglia la sua casa di Salerno. Fin quando, il 25 aprile 1995, una polmonite ha strada libera per l’abbassamento delle difese immunitarie e non gli lascia scampo a 23 anni e una vita ancora davanti. La Juventus vincerà lo scudetto e perderà la Uefa contro il Parma.
Il giornalista Gabriele Romagnoli lo aveva inquadrato come meglio non si poteva: “Andrea Fortunato era un ragazzo che giocava terzino sinistro. Un ruolo da turbodiesel. Uno che con la maglia numero tre deve andare, palla al piede, dall’altra parte del mondo, superando ogni ostacolo, finché il campo finisce. Fortunato era uno di quelli che ci arrivava spesso, sulla linea di fondo, con la forza della sua gioventù e la bandiera dei suoi lunghi capelli al vento”.