Il 15 aprile del 1989 la storia di 96 tifosi del Liverpool finisce. Quella del club e di chi rimane, cambia per sempre. Trent’anni dopo, tante battaglie e una nuova inchiesta riaperta grazie agli sforzi delle famiglie delle vittime.
di Stefano Ravaglia
James ha 14 anni. Si affaccia sul soggiorno e saluta sua madre Margaret: “Vado, mamma… oggi vinceremo!”. C’è un pullman da prendere ed è finalmente giunta l’ora. Di andare a Sheffield, di andare a prendersi la finale di FA Cup. Margaret a pranzo invita un’amica, fanno sandwich, parlano del più e del meno. Sulla BBC, dopo pranzo, scorrono immagini turbolente, così, all’improvviso. Provengono in diretta da Hillsborough, dove il Liverpool deve affrontare il Nottingham Forest nella semifinale secca, in campo neutro, di quella coppa.
L’amica di Margaret dice: “Ma James non è andato a Hillsborough?”. Dubbiosa, lei risponde: “No, è andato a Sheffield”. Qualche ora più tardi, una madre dolce e affabile, una delle tante che avranno quel pomeriggio rovinato per sempre, si renderà conto che la tv sta parlando dello stesso posto.
15 aprile 1989. La grande valanga che investirà non solo 96 persone, schiacciate nella calca di un pomeriggio folle, ma anche il futuro della sicurezza negli stadi e del calcio inglese, si ingrossa sempre più strada facendo. E dire che nel mese di marzo, quando accadde un singolare episodio che finì per avere ripercussioni su quanto accadrà, quella semifinale pareva una partita come le altre. Esattamente dodici mesi dopo, i reds e il Forest di Clough si trovavano ancora in semifinale, nello stesso stadio, per giocarsi l’accesso a Wembley.
Accadde anche nel 1988, vinse il Liverpool 2-1 e tutto filò liscio. Ma qual è quell’episodio che cambiò per sempre i destini di un pomeriggio di sport? A gestire l’ordine pubblico di Hillsborough era un agente della polizia fidato ed esperto: Brian Mole. In un quartiere di Sheffield, una sera, alcuni poliziotti alle sue dipendenze dileggiarono un uomo che avevano appena fermato, gettandolo faccia a terra, abbassandogli i pantaloni e facendogli una foto. Per non far risaltare l’episodio, si decise di mandare Mole in altro ufficio, a Barnsley, facendo prendere il suo posto a David Duckenfield, un uomo totalmente impreparato a gestire le forze dell’ordine in uno stadio.
La mattina della partita, nel briefing sulle tribune di Hillsborough, il fantasma degli hooligans prese il sopravvento: agli agenti fu comunicato come fronteggiare la minaccia, cosa fare in caso di ubriachezza molesta, e cose del genere. Non una parola sulla gestione dell’ordine pubblico, degli ingressi, dell’accesso all’impianto. Ai tifosi del Liverpool è destinata la Lepping Lane, dotata di meno ingressi rispetto alla Kop, la curva di quelli del Forest. Alle 15.06, quando la partita è iniziata da sei minuti, molti tifosi iniziano a scavalcare la recinzione, altro deterrente, rivelatosi poi fatale, all’invasione di campo così in voga in quegli anni di violenza.
Senza quella, probabilmente sarebbe stato più semplice salvarsi: l’enorme folle all’esterno dell’impianto, spinge dentro coloro che sono già nel settore, e la situazione già complessa viene decapitata mortalmente dall’apertura del Gate C, un portellone scorrevole che dava accesso a un tunnel che si rivela una trappola. Muoiono 92 persone, tre periranno in ospedale, e l’ultima vittima nel 1993, dopo quattro anni in stato vegetativo.
Cartelloni pubblicitari utilizzati come barelle, la polizia che si schiera in mezzo al campo per impedire a quelli del Liverpool di dirigersi nel settore avversario, come fosse la rivalità il problema. Nulla di tutto ciò: alcuni poliziotti cercano addirittura di ricacciare indietro i tifosi che escono dai piccoli varchi aperti nella cancellata, per mettersi in salvo. Il cronista della BBC, parla di “tifosi che hanno cercato di forzare gli ingressi”, come fossero ubriachi e in preda a voler menare le mani.
Le informazioni sono frammentarie e sconnesse, ma si vede chiaramente che i tifosi dell’anello superiore cercano di tirare su tante persone che cercano di emergere dalla calca per non soffocare. La grande palestra sotto la Main Stand viene trasformata in obitorio. Molti tifosi superstiti tornano a Liverpool a notte fonda, in treno. Quando Margaret non vede James scendere dall’ultimo convoglio, ha già capito tutto. La sua tenacia, la sua combattività e caparbietà, porterà alla riapertura di una inchiesta che aveva sentenziato che quelle vittime fossero morte per cause accidentali. La polizia, la struttura fatiscente e la cattiva gestione generale, furono invece le reali cause.
James Cameron, nel 2012, a ventitré anni dalla tragedia, chiederà scusa a tutte le famiglie delle vittime. Principale artefice del ribaltamento dei fatti fu il “Sun”, popolare tabloid inglese della famiglia Murdoch. “La verità”, intitolò nella sua edizione del 16 aprile. Tifosi che avevano urinato sui cadaveri, e avevano sottratto loro i portafogli dai taschini: tutto falso. Sul Mersey, ancora oggi resiste il grido: “Don’t buy The Sun!”.
E a Preston, è in corso una nuova inchiesta, riaperta dall’Indipendent Panel sorto grazie all’analisi di 400 mila documenti che ribaltano le falsità iniziali, e anche per questo non ha più luogo la consueta cerimonia che per tanti anni ha riunito ad Anfield tifosi, squadra e autorità della città, ma solo una cerimonia privata con le famiglie.
“Justice for the 96”, urla da anni il popolo rosso. La strada verso la verità, dopo tante menzogne, è finalmente quella giusta.