È il 10 Novembre del 2002 quando Steve Durbano si spegne nei Territori del Nord-Ovest in Canada. La malattia è l’epilogo naturale di una storia iniziata nel 1979, a seguito di un viaggio in Giamaica. La vita di quello che è considerato il più cattivo giocatore di hockey della NHL è stata una lunga rincorsa verso qualcosa di inafferrabile: una stabilità inconciliabile con le pulsioni corrosive e i raptus violenti che ne caratterizzarono la personalità.
Per tratti psicologici, aspetto e curriculum, Durbano può comodamente rientrare fra i personaggi di un film dei fratelli Coen. Baffoni neri e capelli lunghi buttati all’indietro, dipendenze varie, una lista di crimini di tutto rispetto e la tendenza a scatti d’ira inaspettati, sono materiale di prima qualità per un soggetto cinematografico.
L’approccio di Durbano all’hockey
Siamo 1951, è il 12 Dicembre, il giovane Steve conosce per la prima volta la luce del mondo e la neve dell’Ontario. Il Canada, oggi come allora, fa dell’hockey il suo sport nazionale. La tradizione nordamericana si distingue da quella europea (in particolare da quella sovietica) per il gioco molto più fisico in cui la forza vince sulla rapidità, il carattere sulla creatività, i muscoli sulla tecnica. Tutte qualità a cui Durbano si adatta perfettamente fin dai settori giovanili.
Gioca difensore e, secondo quanto raccontano i suoi allenatori, si potrebbe distinguere per una buona capacità nel controllare il disco sebbene preferisca spesso una spallata in più a un passaggio ben riuscito. Il suo ingresso nell’hockey che conta avviene nel 1971, i New York Rangers lo selezionano come tredicesimo nel draft. Non gioca nemmeno una partita nella Grande Mela, viene immediatamente girato a St. Louise dove farà il suo debutto NHL nella stagione successiva, 1972/73.
La carriera professionistica
Non c’è molto da raccontare della modesta carriera di Durbano sui pattini se si escludono i record di penalità inanellati in sette stagioni. In parole povere, è il difensore più cattivo di sempre: pattina e picchia. Di tanto in tanto, scatena una rissa. Sono gli anni in cui la maggior parte dei giocatori abbandona ancora il caschetto nell’armadio degli spogliatoi e non conosce il paradenti; gli anni in cui guanti e stecca si lasciano sul ghiaccio quando tocca risolvere le incomprensioni con le mani.
I compagni e gli allenatori che l’hanno seguito lo dipingono come il perfetto uomo-squadra, uno di quelli che tutti vorrebbero avere al proprio fianco, soprattutto quando il clima si scalda. Gli avversari, giocatori e tifosi, lo odiano dal profondo del cuore, alcuni lo vorrebbero addirittura morto e non hanno dubbi a dirlo di fronte alle telecamere. I giornalisti, dal canto loro, gli lo nominano Steve ‘Mental Case’ Durbano, un soprannome che la dice lunga sulla natura imprevedibile e animalesca delle sue reazioni.
Le statistiche sono una sorta di manuale per conoscere, scegliere e raccontare i giocatori nella cultura sportiva americana. Wayne Gretzky ha il record di goal in carriera (894); Henri Richard, con 11 Stanley Cup, è il più vincente della storia NHL; Steve Durbano è invece il giocatore che ha scontato più squalifiche.
Con una media che supera di poco i cinque minuti di sospensione a partita, il suo primato è ancora oggi irraggiungibile e c’è da scommettere che non passerà poco tempo prima che qualcuno gli tolga lo scettro. A fine carriera avrà accumulato oltre 1.100 minuti di penalità, alcuni raccolti per il gioco particolarmente aggressivo, la maggior parte scontati per reazioni aggressive concluse in rissa. In un’intervista rilasciata sul finire della sua avventura professionale si dirà orgoglioso di avere ancora tutti i denti malgrado gli sforzi compiuti per farsi spaccare la faccia.
Durbano fuori dal ghiaccio
A soli 29 anni ma con una vita già abbastanza sregolata, Durbano è costretto ad abbandonare la NHL. È il 1979 e veste ancora i colori della sua prima squadra dopo aver passato alcune stagioni fra le linee di Colorado, Kansas e dei Pittsbourgh Penguins. Al ritorno da una vacanza in Giamaica, il difensore scopre di aver contratto l’epatite. L’affetto per la bottiglia e le donne lo costringono a lasciare per sempre lo sport. Dopo un rapido passaggio in WHA, la lega professionistica che dal 1972 al 1979 provò a sfidare l’egemonia della NHL, si ritira definitivamente a vita privata.
La personalità e il confronto con la legge
Durbano alterna lavori regolari che lo struggono a imprese criminali più o meno consistenti. La maggior parte degli arresti fino al 1983 sono per condotta molesta o rissa: in pratica si comporta come l’alcolista medio. Dopo anni di disciplina sportiva, si ritrova libero di spendere i propri soldi come meglio crede, in qualsiasi momento della giornata. Si avvicina al bancone prima del solito e con una buona frequenza finisce le serate fra sedie volanti e bottiglie rotte.
Oltre all’alcol, inizia ad apprezzare la cocaina, un colpo di vita che lo fa resuscitare di ora in ora. Una cura che pare gli costi circa mille dollari al giorno. Come la storia di molti sportivi insegna, i soldi finiscono per tutti e bisogna reinventarsi presto. Secondo alcune fonti, a fine carriera ‘Mental Case’ aveva guadagnato oltre 500.000 dollari, un tesoretto dilapidato in poco più di un anno.
Durbano inizia a viaggiare con una certa frequenza verso la Bolivia e il Perù e nel 1983 viene arrestato per traffico di droga. Nel bagaglio 474 grammi di cocaina pura al 99%, per un guadagno, al netto delle commissioni, di soli 15.000 dollari. La condanna è piuttosto severa, sette anni che verranno poi drasticamente ridotti.
Ritornato in libertà, la noia quotidiana e il carattere particolarmente effervescente lo spingono a riprendere il regime di vita tenuto prima dell’arresto. Rimane perlopiù in Canada. Passa il tempo fra i paesaggi ghiacciati del paese, le tavole calde e i bar in cui lavora, beve e scatena la sua attitudine al contatto fisico. Si racconta che, durante il periodo trascorso fra il suo primo processo e il carcere, abbia anche inventato un drink, ‘Never on Sunday’: tequila, Kahlua, Grand Marnier, latte e coca cola. Un digestivo pre-partita pima di ritrovarsi di nuovo di fronte alla corte: questa volta per aver rubato delle magliette in un grande magazzino.
L’ultima deviazione dalle regole è datata 1995. Durbano incontra una ragazza nella sede della sua agenzia di escort a Toronto. Illustra i diversi servizi proposti ai clienti, banalmente non mancano i riferimenti sessuali. Qualche giorno dopo l’incontro, una lettera lo convoca di nuovo di fronte alla Corte per induzione alla prostituzione. La ragazza bionda con cui aveva discusso di lavoro solo pochi giorni prima era in realtà un’agente di polizia. La difesa patteggia per una multa di 1000 dollari che scalfisce definitivamente l’immagine dell’ex giocatore.
Il fallimento del reintegro
Durbano si lascia alle spalle la città e si rifugia a Yellowknife, nei Territori del Nord-Ovest. Vende shampoo e bagnoschiuma per una ditta cosmetica, la Electroclean. Si da una regola giorno per giorno, in strada, macinando chilometri in auto nel gelo del Canada ancora largamente incontaminato. Il look inaffidabile, la valigia e il sorriso che arranca del commesso viaggiatore, la bottiglia nel cassetto del cruscotto, un passato quasi glorioso e l’altro quasi catastrofico.
A guardare quel personaggio, ci viene in mente che potremmo ritrovarlo in ‘Fargo’ o in qualche altra pellicola abbastanza raffinata da trasmettere e raccontare l’altalena di un’esistenza scossa dal germe della follia, dalle pulsioni incontrollabili. Nel 2002, Steve ‘Mental Case’ Durbano muore di cancro al fegato, perlopiù dimenticato dal mondo dell’hockey, dalla stampa e dalle persone che gli erano state più vicine. Scompare facendo meno rumore che in certe serate di qualche anno prima.