Alla curva Villeneuve durante le prove del GP di San Marino di 26 anni fa finiva la breve storia in Formula Uno di Ratzenberger
di Stefano Ravaglia
Si dice che muore giovane chi è caro agli dei, e certamente Roland Ratzenberger aveva messo il cuore in ogni cosa che faceva. Anche nel lottare per entrare in Formula Uno, lui che aveva corso cinque volte la 24 ore di Le Mans e in Formula 3, seppur senza risultati roboanti. Austriaco come Rindt, Lauda e Berger, era nato pochi mesi dopo Senna, nel luglio 1960, e lo sbarco nel circus Re dei motori, era avvenuto proprio in quel 1994. Del Gran Premio di San Marino si ricorda il fiume di lacrime versato per Ayrton, di cui domani ricorreranno i 26 anni dalla scomparsa, sempre celebrati come fosse la prima volta.
Ma al sabato, durante le prove ufficiali, la stessa sorte era toccata a un pilota che inseguiva il suo sogno, mettendo sempre quel cuore di cui accennavamo all’inizio: a quasi 300 km l’impatto con il muretto alla curva Villeneuve, quella in uscita dal Tamburello, non lascia scampo all’austriaco che muore praticamente sul colpo. Quel casco reclinato, immagine iconica e straziante, quella capsula che lo aveva protetto ma non era stata sufficiente a salvargli la vita ed era rimasta l’unica cosa intera di una vettura disintegrata.
Quella vettura era la Simtek, pochi mezzi, pochi sponsor, dunque pochi soldi. Come quelli che aveva Roland, sufficienti appena per 5 GP, perché in Formula Uno, se vuoi correre, sei tu a dover pagare. Soprattutto se sei il signor nessuno. Senna e Ratzenberger: due mondi distanti, l’uno in Formula uno dieci anni prima e pieno di medaglie, l’altro arrivato a 34 anni in un mondo che gli avrebbe portato via tutto.
Senna e Ratzenberger, morti coetanei, a un giorno di distanza, come se la loro ultima uscita dai box fosse stata la strada verso il cielo. In Brasile, l’austriaco non si era qualificato, ad Aida, nel secondo GP stagionale, era arrivato undicesimo e per lui era anche un ottimo risultato. Forse dopo quei cinque GP avrebbe fatto altro, avrebbe capito che quel mondo in cui sognava di approdare, l’aveva masticato e sputato. Ma poco male: avrebbe avuto almeno la soddisfazione di toccare la consistenza materiale di quel sogno.
E invece nulla, il buio. La Simtek rischierà di avere un altro morto poche settimane dopo, quando Montermini al Gran Premio di Spagna va dritto contro un altro muretto. Giorgio Terruzzi, grande voce e penna dei motori, ha sempre sostenuto che se fosse morto anche lui, lo spettacolo si sarebbe fermato. Forse doveva fermarsi anche quel week-end a Imola, che a dire il vero non è stato nemmeno il peggiore nella storia dei motori, se si va a spulciare nell’almanacco. Ma è talmente vicino, tangibile e ancora vivo, che a chi lo ha vissuto, resta indimenticabile al contrario. Ed oltre ad Ayrton, suprema entità che l’indomani tirerà dritto verso la leggenda al settimo giro, è giusto ricordare anche uno sfortunato austriaco che, un po’ come tutti noi, correva verso la realizzazione di un sogno.