Inter eliminata dal Liverpool al termine dei 180 minuti: il doppio confronto contro i Reds, però, ha evidenziato fattori tutt’altro che scontati.
INTER INZAGHI – La cultura del calcio in Italia, si sa, è spesso controversa e poco lungimirante. Tutti ambiscono ad ottenere il massimo senza voler raschiare il baratro. Contano i risultati, conta vincere. La vittoria, però, intesa come tale e nel senso più ampio del termine, è un percorso di formazione e di crescita che spesso ha bisogno di insediare le proprie radici nel contesto in cui si opera. Costruire un modello di squadra vincente, richiede necessariamente di passare attraverso sconfitte e momenti di sconforto. L’analisi di quelle sconfitte, lo studio, poi, porterà alla conquista dei risultati tanti ambiti.
Per questo, fuggendo da ogni tipo di retorica spacciata in lungo e in largo, è bene sottolineare quanto l’Inter esca davvero a testa in alto da questo doppio confronto contro il Liverpool. Se il match di andata ha evidenziato in modo netto i fattori che hanno meno funzionato, in quello di ritorno i cavilli si sono rivelati piccoli, quasi impercettibili.
L’Inter ha giocato a viso aperto contro una delle squadre più dominanti e travolgenti attualmente in circolazione. Per quanto dimostrato negli ultime due anni, gli stessi nerazzurri possono considerarsi tra i top club europei per produzione della manovra, forza e qualità. Dunque, giocare a viso aperto contro il Liverpool, per l’Inter, non è un merito. Si è semplicemente limitata a fare ciò che doveva fare: l’Inter.
Le consapevolezze
Bastoni. Le parole espresse in conferenza stampa dal giovane difensore nerazzurro risuonano forti: “Se qualcuno ha timore di giocare partite come queste, cambi mestiere”. Lui non ha paura di giocarle e lo ha dimostrato. Nonostante il compito affidatogli risultasse tutt’altro che facile e spesso è andato in difficoltà, la personalità, nell’arco dei 90 minuti, lo ha sempre contraddistinto. Brozovic in mezzo al campo è sinonimo di garanzia. Non fa nulla di speciale. Non inventa giocate. Non segna gol da 30 metri. Ma è sempre al posto giusto nel momento giusto. Sa passare la palla, sa a chi passarla e l’Inter è sempre più dipendente dalla sue geometrie. Calhanoglu funziona ad intermittenza, ma per qualità e quantità è ormai diventato prezioso per lo scacchiere di Inzaghi. Il tandem offensivo è indemoniato. Pressano, lottano, dialogano, inventano. I due sudamericani vengono messi a capo della rivolta per dare l’assedio al fortino rosso. Lautaro inventa un gol dal nulla che riaccende le speranze del suo popolo, Sanchez, probabilmente il migliore in campo fino a quel momento, meno di un minuto dopo disintegra ogni speranza commettendo il secondo inutile e sciocco fallo che gli costa il secondo giallo.
Le incertezze
Prima dell’avvento in cattedra del professor Fabinho e del docente Alcantara, le trame nerazzurre, ad Anfield, si sono rivelate interessanti e potenzialmente pericolose. Uscita palla al piede dal basso, fraseggio in mezzo al campo, tentativo di alzare il baricentro. Barella. L’assenza del centrocampista azzurro ha pesato come un macigno nel doppio confronto. L’intraprendenza a centrocampo e le incursioni sono mancate come il pane. Vidal è un giocatore ormai vicino al capolinea. Gli esterni. In merito alla batteria di esterni è necessario aprire e chiudere una parentesi. E’ vero, ieri probabilmente Dumfries e Perisic si sono trovati di fronte due dei migliori terzini al mondo. Ma, il primo, che pur dovrebbe essere abituato a certe notti, è apparso fuori luogo e timoroso. Irruento ed ingenuo nella lettura difensiva, è stato poi sostituito da Darmian. Il secondo, Perisic, nonostante una buona prestazione non è mai apparso così in difficoltà come ieri sera.
Inzaghi e il braccino corto
Inzaghi. Le critiche agli allenatori appaiono spesso fuorvianti e controproducenti. Inzaghi tende a sostituire sempre gli ammoniti. Vero. Ma qui è difficile fargliene una colpa. In particolar modo se si pensa che l’oggetto in discussione è un attaccante e che si è prodigato in un doppio fallo inutile. Ciò che invece gli si può attribuire come “presunto errore” o “presunta inesperienza in determinati palcoscenici” è la mancanza di gestione nel post espulsione. Avanti di un gol ma con un gol ancora da recuperare, a 25 minuti dalla fine, il cambio di assetto appariva come la cosa più logica da proporre. Il 5-3-1 andava mantenuto per i primi minuti, quando era opportuno non far perdere stabilità e trazione alla squadra. Mantenerlo fino al 95′, invece, è sinonimo di non volerci provare. Confusione in panchina. Dzeko si riscalda per tutto l’arco del match, ma in campo, al posto di Lautaro, viene lanciato Correa. Al posto di Brozovic e Dumfries sono entrati Gagliardini e Darmian. Via qualità e spinta, dentro ulteriore equilibrio. Gosens in panchina. Dzeko in panchina. Correa naviga a vista ma senza trovare attracco, il centrocampo non ha più la forza di uscire, la difesa è schiacciata su sé stessa. Vecino entra nei minuti finali, come ultimo cambio, per sfruttarne le doti fisiche, ma non si presenta occasione per farlo.
Nel finale c’è stato il tentativo di costruire qualcosa, ma la motrice era quella del carattere, più che della qualità. L’Inter, nonostante sotto l’aspetto tecnico e di ritmo abbia sofferto qualcosa, ha tenuto botta egregiamente, riuscendo ad espugnare uno degli Stadi più complessi della storia. L’eliminazione lascia inevitabilmente il rammarico perché, seppur alla conta il Liverpool ha sicuramente creato di più, le occasioni per spuntarla si sono presentate, ma non sono state sfruttate.