Johann Trollmann – Lo zingaro che mandò a tappeto il nazionalsocialismo

La storia del pugile Sinti Johann Trollmann che sfidò, batté e umiliò il Regime Nazista: Charlie Chaplin del ring, precursore di Ali.

Gli sport di combattimento sono da sempre uno strumento di propaganda politica immediata, capace di toccare le passioni popolo nitidamente. Uomini e donne che scelgono in piena autonomia di battersi sono quanto di meglio un regime possa chiedere, sono l’esempio di come ogni cittadino dovrebbe comportarsi per rendere omaggio alla Patria, al Partito, al Sovrano.

Allo stesso tempo, malgrado gli sforzi del potere per fotografare i campioni della lotta sotto il loro vessillo, si sprecano gli esempi di pugili che hanno sfidato dittature o democrazie sul piede di guerra. L’esempio più celebre è quello di Mohamed Alì che si sottrae agli obblighi di leva per motivi religiosi. Fra le storie, invece, meno conosciute c’è quella di Johann Trollmann, boxeur tedesco che si prese gioco del nazionalsocialismo come solo Charlie Chaplin seppe fare nel corso della storia.

Il personaggio

Trollmann nasce nel 1907 nella Bassa Sassonia da una famiglia di zingari Sinti. Il fisico muscoloso e definito lo porta ben presto a calcare il ring. Viene soprannominato ‘Rukeli’, ‘alberello’ in Romani.

Secondo alcuni commentatori, quel nomade tedesco avrebbe potuto anticipare lo stile di combattimento rivoluzionario di Alì di una trentina d’anni. È un peso medio atipico per l’epoca, si muove con rapidità, occupa tutto lo spazio del quadrato, non rimane impalato al centro come molti dei suoi colleghi.

Trollmann corre e picchia con velocità, esattamente come il campione di Louisville insegnerà al mondo negli anni sessanta. A guardare il suo score totale, non sarebbe mai stato una leggenda del pugilato: 62 incontri da professionista, 30 vittorie, 19 sconfitte e 13 pareggi. Risultati altalenanti che non si avvicinano a quelli dei campioni che hanno fatto la storia di questo sport, ma non significa nulla, non toglie niente alla genialità beffarda del personaggio e al successo politico, etico e sportivo delle sue azioni.

Campione dei medio-massimi

La storia rilevante del pugile zingaro inizia nel 1933, anno in cui, in conformità con le leggi di Norimberga, agli Ebrei venne vietata la partecipazione agli eventi sportivi. Questa è, infatti, la ragione per cui la cintura dei medio-massimi del Reich, allora detenuta da Eric Seelig, rimase vacante. A contendersela vengono invitati Johann Trollmann e Adolf Witt. Il primo è poco più che un nomade sconosciuto, l’altro rintraccia tutti i segni del campione nazista, a partire dal nome. L’evento è organizzato per omaggiare trionfalisticamente la purezza ariana.

Il combattimento si svolge presso la birreria Bock di Berlino. Trollmann danza, schiva e colpisce. Lo fa dalla prima ripresa fino al termine dell’incontro. Il pubblico ama quel pugile spettacolare, rapido e bello. Le donne se ne innamorano, perché Trolmann non è solo bravo a picchiare ma è anche un ragazzo moro, definito, con il volto d’attore: traspira una passione esotica. La Fräulein media si presterebbe volentieri per prove sperimentali sull’ibridazione della razza. L’incontro volge ormai al termine e il Sinti sconosciuto si appresta a ricevere la corona di campione del pugilato ariano. Georg Radamm, gerarca nazista presente fra il pubblico, non può sopportarlo e impone ai giudici un verdetto di pareggio.

I berlinesi non vogliono assistere alla farsa, si ribellano e consegnano la cintura al pugile zingaro. È un plebiscito. L’entusiasmo della folla che ribalta il risultato dei giudici commuove Trollmann, incapace di trattenere lacrime per un gesto di giustizia e di affetto di quel tenore. Passano solo otto giorni dall’incontro, otto giorni da campione, la Federazione Pugilistica del Terzo Reich si riprende il titolo con una lettera in cui spiega che l’evento è da annullarsi perché ‘piangere’ non fa parte dello spirito del combattimento. Rukeli deve conquistare nuovamente ciò che gli appartiene di diritto sfidando Gustav Eder.

L’ariano a tappeto

Il regime non può rischiare un’altra pessima figura e dunque si affretta ad applicare una revisione ad hoc del regolamento. A Trollmann viene vietato di spostarsi dal centro del ring, deve rimanere fermo e aspettare i colpi del suo avversario, pena la perdita della licenza. In pratica, lo zingaro deve farsi picchiare fino a perdere l’incontro. Non esistono parole per descrivere l’atrocità assurda di una disposizione simile, non esistono reazioni che possano sottolinearne la stupidità, la violenza e l’ingiustizia. Anzi, si. Esiste il gesto di Rukeli.

Il giorno dell’incontro, Trollmann si presenta regolarmente sul ring, si è ossigenato i capelli e si è cosparso di farina il corpo. Si è mascherato da ariano puro (qualsiasi cosa ciò significhi), perché se c’è uno che deve perdere non è lui, ma il modello di uomo nazionalsocialista. Eder impiega cinque riprese per abbattere il suo avversario che si limita a occupare il suo posto e a prendere pugni. A quel punto, però, non importa più a nessuno. Il pugilato tedesco non ha più alcuna credibilità e il Regime ne è uscito sconfitto.

La fine di Rukeli

La storia di Trollmann da quel giorno in poi è ovviamente drammatica, segue il copione che spetta a migliaia di zingari in tutt’Europa. Sterilizzato per evitare che trasmetta i geni Sinti. Arruolato in prima linea come carne da cannone. Costretto a divorziare per salvare la famiglia dalla persecuzione. In ultimo, deportato nel campo di concentramento di Neuengamme. I kapò e gli ufficiali del campo lo riconoscono e per una doppia razione di cibo lo obbligano a combattere contro le guardie.

La fine arriva a Wittenberge. Qui, si ritrova ancora una volta sul ring. Lo sfida Emil Cornelius, criminale comune, collaborazionista, kapò. Trollmann, denutrito, debole, distrutto dalla vita, batte incredibilmente Cornelius. Lo manda KO umiliandolo di fronte a tutti. Passeranno pochi giorni prima che il suo aguzzino si vendichi ammazzandolo a badilate. È il 9 Febbraio 1943 e il corpo del pugile rimane immobile nel fango di Brandeburgo. La sua morte verrà raccontata anni più tardi da Robert Landsberger, prigioniero del campo e testimone oculare dell’omicidio.

La sconfitta del regime

Il dramma di Trollmann è comune a quello di milioni di persone. Il fatto stesso che sia riuscito a vincere il regime nazista prima ancora che questo venisse sconfitto non è eccezionale. Ogni dittatura subisce le sue battute d’arresto per mano di persone fortunate, caparbie o intelligenti. Ogni persecuzione di massa viene di tanto in tanto elusa da individui che riescono a sottrarsi dalle maglie dei rastrellamenti, dalla rete del terrorismo di regime. Sopravvissuti, spie, politici ribelli, artisti antisistema, partigiani, disertori, ogni persona che riesce con successo a uscire dall’organizzazione sociale totalizzante segna un punto contro di essa e contro la sua efficienza.

Quello che ha fatto Trollmann, più o meno consapevolmente, è però diverso. La sua vittoria non è stata contro l’organizzazione, la struttura del Terzo Reich. La sua vittoria non è stata contro l’efficienza pratica, ma contro i fondamenti ideologici, contro il simbolo dell’ethos nazionalsocialista. Trollmann ha battuto il super-uomo biondo con la pelle chiara che non avrebbe dovuto conoscere sconfitta. L’ha battuto con l’arguzia, con una performance dissacrante, pubblica, dall’esito ineluttabile. A schiena atterra, dopo cinque riprese, non c’è finito lui, ma il modello della purezza ariana che stava alla base della dottrina totalitaria.

 

A proposito di Antonio Alberti

Classe 1986, la mia attitudine odiosa e masochista mi ha portato verso scelte anti-economiche come quella di fare un dottorato in Teoria Politica. Camminando sul bordo della disoccupazione permanente, ho deciso di racimolare qualche spicciolo scrivendo per attività commerciali, prodotti cinematografici, sport e politica. Se ci credessi, mi definirei copywriter, content writer e storyteller.

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