John Daly – Ospite indesiderato

Se cercate su Google la voce ‘John Daly golf’ e scorrete le prime immagini che vi compaiono, vi sembrerà di vedere Donald Trump conciato in maniera ancor più grottesca del solito mentre fa roteare un bastone sopra la testa. Un grasso cinquantenne biondo e abbronzato passeggia affannosamente sul green con una polo rossa e un paio di pantaloni a stelle e strisce festeggiando il primo titolo dopo quattordici anni di carriera. Con lui si complimentato la prorompente moglie con divisa in abbinato, il caddy e lo stesso Commander in Chief in persona.

Era il 1991, l’anno in cui Daly si aggiudicò il suo primo torneo, è tornato a vincere solo ora, nel 2017. In mezzo, l’alcolismo, la ludopatia, diversi matrimoni e qualche problema con stampa e corti di giustizia. Il golfista rimane uno dei personaggi più controversi dello sport americano ancora in attività: si porta dietro un circo da programma televisivo del pomeriggio; si fa beffe dei formalismi del circuito dei Golf-Club; resta puro, troppo fosforescente, troppo fastidioso e inutilmente dissacrante per qualsiasi ambiente. Nonostante gli eccessi, Daly è riuscito a costruirsi una carriera di tutto rispetto a cui manca, forse ingiustamente, la partecipazione alla Ryder Cup.

Dalle origini al professionismo

Daly nasce il 28 Aprile 1966 a Carmichael, uno dei tanti suburbs dell’area di Sacramento: un paese di villette piccolo-borghesi tagliato in due dall’American River; una di quelle bolle di felicità americana che vantano la biblioteca comunale, vialetti puliti e silenzio. Dopo i primi anni d’infanzia in California, la famiglia si trasferisce a Dardanelle, in Arkansas: paese immerso nella natura ancora largamente incontaminata dell’America di Frontiera. Durante il periodo trascorso presso la Helias High School, struttura educativa legata alla chiesa cattolica, Daly si distingue per le sue eccellenti doti sportive nel football e nel golf. Una passione, quella per il green, che lo porterà ad abbandonare gli studi universitari prima del diploma.

È il 1986, gioca il suo primo US Open nella categoria amatori. L’australiano Greg Norman e lo spagnolo Severiano Ballesteros sono i giocatori del momento: dominano il circuito e inanellando record su record. Daly, dal canto suo, è ancora un giovane aspirante giocatore e deve attendere un anno per fare il suo ingresso fra i professionisti. Nel 1987, con il salto di categoria, arriva la prima vittoria al Missouri Open, ma la consacrazione vera e propria è datata 1989, anno in cui partecipa a diversi tornei del circuito PGA e si qualifica per le finali dello US Open.

Le vittorie nei major

La prima metà degli anni novanta è certamente l’epoca d’oro di Daly. Nel 1991, dopo pochissimo tempo dal suo approdo nei professionisti, riesce a vincere il PGA Championship accompagnato da Jeff ‘Squackly’ Meadly, il caddy del ben più noto collega Nick Price. Il giovane e istrionico talento gira con uno score di 69-67-69-71. Un punteggio che lo porta verso il titolo distanziando Bruce Lietzske di tre buche. Nelle stagioni successive, raggiunge obiettivi importanti in diversi tornei, ma per ottenere la seconda vittoria in un major deve attendere il 1995.

Sui campi di St. Andrew, si trova a giocare il play-off dell’Open Championship contro Costantino Rocca. L’italiano è evidentemente favorito, ma gli errori in serie, l’oblio del ‘Road Hole Bunker’ e l’ansia crescente, lo portano a concludere il giro finale in quattro buche sopra il par: un punteggio abbordabile per chiunque fra i primi dieci professionisti del ranking. Daly, forte del suo drive eccezionale, chiude sotto di uno e si aggiudica il torneo. Raggiunge il punto più alto della sua carriera solo cinque anni dopo l’esordio, un traguardo che non riuscirà a replicare mai nel ventennio successivo.

I record nel golf

Nella carriera golfistica di Daly si segnalano due punti di straordinarietà: uno rintraccia le sue migliori caratteristiche tecniche; l’altro probabilmente è da imputare alla personalità ingestibile che lo distingue nel circuito.

Secondo una statistica prodotta dallo stesso PGA, il golfista americano è stato il primo giocatore ad avere un drive con una media di gittata superiore alle 300 yard. La potenza del suo colpo è all’origine del soprannome ‘Long John’. Malgrado le buone capacità tecniche e i risultati promettenti degli inizi, Daly è anche l’unico campione del circuito ad aver vinto due major senza essere mai stato convocato nella formazione americana della Ryder Cup.

La competizione fra golfisti del Nuovo e del Vecchio Mondo è il più importante e sentito torneo a squadre: un sogno per ogni giocatore, un sussulto d’appartenenza all’interno di uno sport prettamente individualista. Complice la spontaneità molesta di comportamenti e dichiarazioni, l’attitudine a uscire dai ranghi e la vita particolarmente sregolata, Daly viene estromesso dalla squadra americana anche nel suo periodo migliore.

Daly, vizi e passioni

La vita e il carattere di Long John fuori e dentro il campo si riassumono in parole chiave che rimandano senz’appello a vizi poco adeguati per un atleta: cibo, alcol, gioco d’azzardo, donne e provocazione.

Per capire la poca simpatia del circuito vale la pena partire dall’ultima delle passioni. Ci sono persone che sono nate per provocare, creare attriti, smuovere l’ambiente, distruggere l’educazione, nel bene e nel male. Caratteri punk, controversi e incoerenti. Se cerchiamo una ragione per capire come mai la squadra americana si sia sempre privata dell’apporto di Daly, basta guardare alle sue dichiarazioni del 1994.

In quell’anno, durante un’ormai celebre intervista, Long John afferma (senza portare alcuna prova) che la maggior parte dei golfisti del circuito major fa largo uso di cocaina e che, qualora venissero fatti dei controlli anti-doping seri, lui risulterebbe essere il giocatore più pulito di tutti. Vero o no, il tenore di questa e molte altre uscite pubbliche ha finito per confinarlo ai margini dell’élite golfistica. Un esilio per nulla silenzioso, una posizione occupata con i gesti pirotecnici che l’hanno sempre distinto.

I tratti della personalità vulcanica di Daly si possono intuire anche dal modo con cui si relaziona con il gioco e le donne. Secondo sua stessa ammissione, stima di aver perso nei casinò fra i 50 e i 60 milioni si dollari in quindici anni. Il capitale del golfista è stato d’altro canto ben smagrito dai quattro divorzi con figli in allegato. Donne della buona società, cameriere di hotel con falsi documenti, alcoliste aggressive, giocatrici d’azzardo: la passione di Long John per le donne è trasversale, supera le differenze di classe, d’età ed estrazione culturale. L’unica cosa che conta è l’eccesso, un eccesso che pagherà caro in avvocati.

Il cibo, d’altro canto, è stato una valvola di sfogo irrinunciabile. Per riuscire a mantenere una forma decente che gli consentisse di giocare a certi livelli, ha dovuto ricorrere all’intervento della chirurgia. Un bendaggio gastrico nel 2009 gli ha allungato la carriera e, probabilmente, può essere considerato un vero e proprio nuovo inizio.

L’anno successivo, infatti, dopo essere stato fermato alla guida in stato di ebrezza, Daly decide di affrontare di petto la pulsione che più di tutte sta distruggendo ciò che rimane della sua vita sportiva: l’alcolismo. Era il 2008 quando il suo coach, Winston-Salem, l’aveva abbandonato denunciando la dipendenza di Long John: due anni di negazioni e scontri verbali, fino all’arresto e alla presa di coscienza pubblica. La riabilitazione lo porta di nuovo sui campi, ma la salute ritrovata non va di pari passo con le vittorie.

Il passaggio al PGA Senior

Long John, consapevole di aver buttato via i suoi anni migliori fra abusi e gesti dirompenti, decide di lasciare il circuito di prima fascia. Nel 2016, gioca il suo primo torneo PGA Tour Champions, categoria senior del professionismo mondiale. Passano solo dodici mesi prima che torni a vincere in Texas all’Insperity Invitational. Di nuovo bagnato dallo champagne, con una nuova donna al fianco e la divisa firmata dal suo brand. Daly raccoglie l’affetto dei suoi avversari, si lascia andare a parole d’amore e riconciliazione, benedice sponsor e dei del golf. Sembra cavalcare un momento di euforia ritrovata, non di serenità e nemmeno di equilibrio, perché quelle non sono cose che gli si addicono.

Sovrappeso, rosso in volto, straripante nell’outfit come nel modo di parlare e giocare, John Daly divide, cerca di colpire e distruggere rimanendo vittima dei suoi stessi gesti. Solo il qualche goccia di talento gli permette di rimanere a galla in un mondo che, per certi versi a ragione, vorrebbe spazzarlo via. Come l’amico Donald Trump prova a sconvolgere certe pratiche e dissacrare certi formalismi figli dell’auto-referenzialità e dello spirito di conservazione dell’establishment. Come l’amico Donald Trump finisce per essere inadeguato, biecamente ridondante e autolesionista. Un ospite indesiderato perennemente sull’orlo del tracollo.

A proposito di Antonio Alberti

Classe 1986, la mia attitudine odiosa e masochista mi ha portato verso scelte anti-economiche come quella di fare un dottorato in Teoria Politica. Camminando sul bordo della disoccupazione permanente, ho deciso di racimolare qualche spicciolo scrivendo per attività commerciali, prodotti cinematografici, sport e politica. Se ci credessi, mi definirei copywriter, content writer e storyteller.

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