17 ottobre 2022: finalmente sono svelate al pubblico le tappe del giro d’Italia 2023, con partenza dalla Costa dei Trabocchi, in Abruzzo (che prende il nome dalle antiche palafitte in legno tipiche del mar Tirreno utilizzate per la pesca fino alla seconda metà del Novecento) il 6 maggio e arrivo con l’ultima tappa nella splendida cornice dei Fori Imperiali a Roma, il 28 dello stesso mese.
Un giro, quello del 2023, ben equilibrato sia dal punto di vista degli scalatori che dei velocisti con ben tre tappe a cronometro e sette arrivi in salita. Non ci è ancora dato sapere i favoriti alla maglia rosa, in quanto non è ancora chiaro chi parteciperà al giro: sicuramente non ci sarà Tom Dumoulin, il vincitore della corsa rosa nel 2017 è fresco di ritiro dalle attività agonistiche e probabilmente seguirà la competizione dal divano di casa e c’è invece curiosità per una possibile partecipazione di Remco Evenepoel che fresco di vittoria della Vuelta 2022 sembrerebbe intenzionato a giocarsi le sue carte anche nel grande giro del Belpaese.
Quest’edizione sarà sicuramente come le precedenti molto combattuta, con più di un ciclista con l’obiettivo di arriva in testa alla classifica e primo nella tappa, la cosa più logica in ogni competizione di questo tipo; ma se vi dicessimo che c’è stato un ciclista che ha basato la sua carriera sull’arrivare ultimo ci credereste? Ecco l’incredibile storia di Luigi Malabrocca.
A tanto così da Coppi
È il 15 settembre 2019 in un piccolo borgo chiamato Castellania nell’alessandrino nasce il più grande ciclista italiano del Novecento: Fausto Coppi; nemmeno un anno dopo a poco più di 15 chilometri di distanza a Tortona nasce il 22 giugno del 1920 un altro ragazzo che scriverà come il Campionissimo pagine della storia del ciclismo italiano: Luigi Malabrocca.
La cosa curiosa di questo parallelo è che sì, entrambi verranno ricordati per le loro performance sportive ma in senso completamente opposto; mentre la carriera di Coppi sarà caratterizzata da una vittoria scintillante dietro l’altra per il Malabrocca sarà l’esatto contrario: un continuo susseguirsi di ultimi posti, una storia triste se fosse solo questo ma si è costretti a cambiare prospettiva quando si viene a sapere che l’essere fanalino di coda per Malabrocca non era una vergogna ma anzi, un risultato atteso e ricercato con forza e alle volte anche una certa malizia.
L’arte di arrivare ultimo
Allo spettatore più disattento il ciclismo potrà sembrare uno sport di pura prestanza fisica dove il movimento muscolare e la resistenza siano i principali parametri a decidere la differenza tra uno sportivo vincente e uno perdente; per quanto siano due fattori fondamentali non è completamente vero, il ciclismo è infatti anche uno sport di squadra ed è quando si è in gruppo che i ciclisti si giocano la vera possibilità di vincere o meno le loro competizioni. Anche se al fruitore occasionale dello sport per eccellenza su due ruote potrà sembrare strano il ciclismo in alcune delle fasi delle corse assomiglia a sport differenti come gli scacchi o il poker, per via dell’attenzione e concentrazione richiesta ai corridori rispetto alla tattica da seguire che a sport di pura e semplice esplosività come i 100 metri e altre discipline dell’atletica.
Ebbene, Malabrocca viveva questa cosa nella stessa maniera di chi voleva vincere le gare, ma lui utilizzava testa e tatticismo per arrivare ultimo. Bisogna infatti sapere che all’epoca chi era maglia nera del Giro d’Italia si aggiudicava come premio il risultate di una colletta degli spettatori: certo non saranno state le cifre dei vincitori ma già di più rispetto a chi si trovava a metà classifica. Malabrocca in quel periodo diede fondo a tutta la sua fantasia e tra lunghe soste al bar, finte forature e pennichelle nei fienili diventò un vero e proprio professionista dell’ultimo posto.
L’ultimo “ultimo”
Il giochino di Malabrocca andò avanti fino al giro del 1949 quando si attardò così tanto da spazientire i giudici di gara che finirono per assegnargli lo stesso tempo del gruppo. Questo evento convinse definitivamente il ciclista a concludere la sua personale battaglia contro il tempo correndo ancora fino al 1956 ma senza più arrivare – volontariamente – ultimo.
Venuto a mancare nel 2006 e diventato nel frattempo fenomeno pop almeno nelle sue zone di origine il suo ricordo è mantenuto vivo dalla nipote Serena che tra eventi e incontri con le scuole continua a soffiare sul fuoco dell’incredibile leggenda del nonno.