Milan 1988-’89: Campione d’Europa anche contro gli errori arbitrali

Milan, stagione 1988-’89: quando una squadra si dimostra più forte delle ingiustizie e degli errori arbitrali. In queste poche parole si può riassumere la meritata conquista milanista di tale edizione della Coppa dei Campioni.

 

di Giuseppe Livraghi

 

Tornato a partecipare alla “coppa dalle grandi orecchie” dopo nove stagioni d’assenza (durante le quali ne ha passate di tutti i colori, dalla retrocessione in Serie B per illecito sportivo nel 1979-’80, a quella sul campo nel 1981-’82, al rischio di fallimento nel 1986), il club rosso-nero, vincitore dello scudetto 1987-’88 grazie ad una prodigiosa rimonta sul Napoli, affronta la più importante competizione europea con l’intento di far bene, con rispetto per tutti ma paura di nessuno.

Il primo turno vede gli uomini guidati da Arrigo Sacchi opposti ai bulgari del Vitosha Sofia (l’attuale Levski Sofia, che utilizzò tale nome dal 1985 al 1990), superato agevolmente con un 2-0 all’andata in Bulgaria e un 5-2 (con un poker di reti di Marco Van Basten) al ritorno a Milano.

Il secondo turno vede i meneghini opposti ad un avversario anch’esso proveniente dall’Europa dell’Est, ma ben più ostico: la Stella Rossa di Belgrado, compagine jugoslava piena di talenti, tra i quali il futuro milanista Dejan “Genio” Savicevic. L’andata in Lombardia vede il Milan imbrigliato dal gioco dei belgradesi, che passano addirittura a condurre ad inizio ripresa (47′) con la loro stella Dragan Stojkovic. Neppure il tempo di disperarsi (o, per gli ospiti, di esultare) che l’esperto Pietro Paolo Virdis rimette le cose a posto: 1-1 al 48′. Rimette le cose a posto per modo di dire: evitata la sconfitta, il Milan deve accontentarsi di un pareggio con reti che complica la pratica qualificazione, in vista del ritorno nella bolgia del “Marakana” di Belgrado.

Il ritorno in casa della Stella Rossa consiste in una delle tante “sliding doors” che fanno in modo che la storia cambi il suo corso. È il 9 novembre 1988, i rosso-neri stanno soccombendo per 1-0 al cospetto della “Crvena Zvezda” (nome in serbo della compagine di Belgrado), per via di una rete siglata al 50′ da Savicevic (proprio lui!), per di più restano in dieci uomini per l’espulsione di Virdis: sembra, ormai, che l’avventura in Coppa sia destinata a concludersi anzitempo, e invece…

E invece il Diavolo rosso-nero trova un aiuto dal cielo: la nebbia, infatti, scende fitta su Belgrado, rendendo impossibile giocare e costringendo l’arbitro (il tedesco occidentale Dieter Pauli) a sospendere la contesa. Regolamento alla mano, Stella Rossa-Milan va rigiocata, daccapo, il giorno successivo, ma le eventuali squalifiche vanno scontate, sicché sia Virdis (espulso nella gara sospesa) sia Ancelotti (già diffidato ed ammonito) sono squalificati.

Ma il Milan del giorno dopo non è quello timoroso di 24 ore addietro: conscio della seconda possibilità che il destino gli ha offerto, gioca con coraggio, ardore, cioè “da Milan”.

E qui cominciano gli errori arbitrali a sfavore dei rosso-neri. Nei primi minuti del primo tempo, infatti, su un’uscita maldestra del portiere Stojanovic, la palla arriva a Graziano “Lupetto” Mannari, il quale calcia debolmente verso la porta (rimasta senza portiere, ma difesa da quattro giocatori della Stella Rossa): nel tentativo di liberare, il difensore slavo Vasilijevic sbaglia clamorosamente il rinvio, svirgolando malamente il pallone, che termina in rete, rendendo vano il disperato recupero dei compagni di squadra, che riescono sì a ricacciare fuori la sfera, ma solamente quando la stessa ha superato di un metro la fatidica linea bianca. Anche il telecronista della TV jugoslava – il dalmata Mladen Delic – esclama: “Autogol!”. Autogol per tutti, non per l’arbitro, che lascia proseguire.

Ma il Milan non si scompone: passa a condurre al 35′ con un bel colpo di testa di Van Basten e, dopo aver incassato l’1-1 per opera di Stojkovic (ancora lui) al 39′, se la gioca alla pari, fino ai rigori. Qui si decide la qualificazione: dopo le realizzazioni di Stojkovic, Baresi, Prosinecki e Van Basten, Giovanni Galli (già tuffatosi dalla parte opposta) respinge di piede il tiro di Savicevic, dando il là al successo milanista, che diventa tale grazie al successivo rigore realizzato da Evani, ad un’altra (stavolta bellissima) parata di Galli (su Mrkela) e alla decisiva trasformazione di Rijkaard. Il Milan accede al turno successivo con pieno merito: pur “scandalizzati” dal goal non visto dall’arbitro, anche i più accaniti tifosi chiudono un occhio, riconoscendo il colpo di fortuna avuto con la nebbia, il giorno prima.

I quarti di finale vedono il Milan opposto ai tedeschi occidentali del Werder Brema, compagine divenuta grande all’inizio degli Anni Ottanta, ma già in grado di laurearsi Campione della Germania Ovest.

L’andata, il 1° marzo 1989 nella Germania Federale, vede un altro errore arbitrale a sfavore del Milan, quando un colpo di testa di Rijkaard viene respinto non impeccabilmente dal portiere locale Reck: la palla s’impenna e, nel tentativo di liberare, lo stesso portiere e i difensori Otten ed Hermann combinano la “frittata” facendo autorete. Come accaduto a Belgrado, però, l’arbitro (che stavolta è il portoghese Santos) lascia correre. Addirittura, sul capovolgimento di fronte i tedeschi vanno in rete, ma in fuorigioco (netto): oltre al danno, sì è addirittura sfiorata la beffa. Finisce, dunque, 0-0, con il Milan obbligato a vincere la gara di ritorno, in programma a Milano il successivo 15 marzo, per passare alle semifinali.

In un “San Siro” gremito all’inverosimile, il Werder fa la stessa partita rinunciataria dell’andata, proibendo al Milan di giocare, ma gli uomini di capitan Franco Baresi riescono comunque a sbloccare la situazione al 32′, quando un fallo di Otten su Roberto Donadoni viene punito con un calcio di rigore impeccabilmente trasformato da Van Basten, per un 1-0 che resta tale fino al 90′, consentendo ai milanesi d’accedere al turno successivo.

Il sorteggio oppone il Milan al Real Madrid, mentre l’altro confronto è tra i rumeni della Steaua di Bucarest e i turchi del Galatasaray di Istanbul.

Il Real del bomber Emilio “el buitre” (l’avvoltoio, poiché lesto nello sfruttare ogni errore delle difese avversarie) Butragueño è la “bestia nera” delle compagini italiane, avendo eliminato l’Inter nella Coppa dei Campioni 1980-’81, nella Coppa delle Coppe 1982-’83, nella Coppa UEFA 1984-’85 e nella Coppa UEFA 1985-’86, la Juventus nella Coppa dei Campioni 1986-’87 e il Napoli nella Coppa dei Campioni 1987-’88: la forza dei “madridisti” è anche il cosiddetto “miedo escénico” (letteralmente “paura da palcoscenico”), cioè il clima intimidatorio ed ostile col quale vengono terrorizzati gli avversari per far propria la contesa.

Il “giochetto”, che fino a quel punto ha consentito al Real di ribaltare pesanti sconfitte incassate all’andata in trasferta (ma che è valso solamente la conquista di due Coppe UEFA, nel biennio 1984-’85 e 1985-’86), non funziona, però, coi rosso-neri, per nulla intimoriti e addirittura capaci di sorprendere i padroni di casa, che tutto s’aspettavano ma non certo di trovarsi una squadra che giocasse in maniera coraggiosa nell’inferno del “Santiago Bernabéu”.

Il Real passa immeritatamente in vantaggio con Hugo Sanchez al 41′, ma il Milan reagisce segnando nella ripresa con Ruud Gullit, che, servito da Donadoni, mette in rete la palla dell’1-1. Gol regolare, che tuttavia l’arbitro (lo svedese Erik Fredriksson) scandalosamente annulla.

 

L’ingiustizia non piega il Milan, che continua a dominare, impattando meritatamente al 74′ con un colpo di testa di Van Basten: il pallone colpito in tuffo dall’attaccante milanista incoccia sulla traversa, quindi contro la schiena del portiere locale Buyo, terminando poi in rete per l’1-1, che resta tale fino alla fine.

Nonostante l’ingiustizia, il Milan esce meritatamente indenne, dimostrando alle italiane che il Real non è affatto inarrivabile: a dimostrazione di ciò, giunge il successivo 5-0 col quale i rosso-neri umiliano i madridisti nella gara di ritorno a Milano, conquistando l’accesso all’atto conclusivo del 24 maggio 1989, che vede ad attenderli la Steaua Bucarest.

Ormai il Milan è un fascio di energie e d’ottimismo: la finale del “Camp Nou” di Barcellona diventa la più grande trasferta calcistica mai organizzata, con 90 mila tifosi milanisti allo stadio, ottimamente accolti dai sostenitori del Barcellona (ben felici della “lezione” che il Milan ha dato al per nulla amato -eufemismo- Real). La gara non ha storia: 4-0, con reti di Gullit al 18′, Van Basten al 27′, di nuovo Gullit al 39′ e ancora Van Basten al 46′. Un Milan stratosferico fa sua la Coppa dei Campioni, a vent’anni dall’ultima volta e con pieno merito.

Un Milan dimostratosi più forte delle situazioni sfavorevoli, perché una grande squadra (se è tale) è in grado di superare non solo le avversità, ma anche le ingiustizie e gli errori arbitrali.

 

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