In una stagione intensa e spettacolare, Francesco Bagnaia domina in pista, ma il titolo mondiale va a Jorge Martin, il cui equilibrio e costanza superano la classe del pilota italiano.
La stagione 2024 sarà ricordata per il suo intrigo e il suo dramma, una cavalcata che ha portato Francesco Bagnaia a un passo dal terzo titolo mondiale consecutivo, solo per vederlo sfuggire per un soffio, come una promessa infranta. Undici vittorie, venti gare, sette trionfi nelle Sprint: Bagnaia ha dominato la pista come un signore, un sovrano deciso e ardente. Ma il titolo, alla fine, ha preso la direzione del suo rivale, Jorge Martin. L’approccio misurato, la calma metodica e la regolarità incrollabile dello spagnolo della Pramac hanno prevalso, relegando Pecco a un secondo posto che ha il sapore agrodolce del rimpianto.
Barcellona è stata il teatro dell’ultima, splendida beffa. La vittoria del GP Solidarity sembrava una delle migliori performance di Bagnaia, una sinfonia di classe su due ruote davanti a un Marc Marquez ritrovato. Un dominio netto, dal semaforo alla bandiera a scacchi, che ha fatto sognare i tifosi italiani. Ma in quella stessa gara Martin ha dimostrato che, talvolta, il titolo si conquista più con la testa che con il gas. Il suo terzo posto è bastato per coronarlo campione del mondo, aggiungendo il suo nome all’albo d’oro della MotoGP.
Martin e il team Pramac entrano nella storia: per la prima volta nella classe MotoGP, un pilota di una squadra satellite, con il futuro già scritto altrove, sconfigge il team ufficiale. Per Ducati e Bagnaia, pur autori di una stagione straordinaria, la sconfitta è inevitabilmente pesante, ma entrambi l’hanno accettata con dignità. Una dimostrazione di sportività che eleva il prestigio di questa annata.
La beffa subita da Bagnaia trova eco nella storia stessa di questo sport. Valentino Rossi nel 2006, con cinque vittorie, fu sorpassato in classifica dalla costanza di Nicky Hayden; nel 2012, Dani Pedrosa dovette piegarsi alla regolarità di Jorge Lorenzo; e anche Jorge Lorenzo nel 2013 vide sfumare il titolo per soli quattro punti, nonostante avesse dominato in pista più di Marquez. Storie di campioni dal talento immenso, che tuttavia si sono trovati beffati da rivali più costanti. Quest’anno, Bagnaia si aggiunge a questa lista di grandi, di quelli che hanno lasciato un segno indelebile, anche senza il trofeo in mano.
La stagione di Pecco è stata, però, una celebrazione della velocità e dell’audacia. Su ogni curva, in ogni staccata, ha mostrato il talento di chi non teme il rischio, di chi conosce i sacrifici di questo sport. La sua lotta è stata epica, un duello contro il cronometro, la pista, e un avversario che ha saputo capitalizzare ogni occasione, silenzioso e costante come solo i grandi sanno essere. Jorge Martin, meno appariscente forse, ma con un’intelligenza di gara che ha fatto la differenza quando il titolo era appeso a un filo.
Questo epilogo ci ricorda la bellezza crudele della MotoGP. Non basta essere i più veloci: serve la pazienza del calcolatore, la lucidità del campione. Con il casco in mano e gli occhi che brillano di emozione, Jorge Martin ha sollevato il trofeo, il campione che ha trovato nel sangue freddo la via del titolo. Ma nell’anima della MotoGP, la classe di Bagnaia resta, palpita, vive come il ricordo di una stagione straordinaria. Anche senza il titolo, Pecco ha conquistato qualcosa di eterno: il rispetto, l’affetto, e un posto nei cuori dei tifosi.
Per Bagnaia e Ducati Ufficiale non c’è nulla di disonorevole in questo epilogo: entrambi hanno dimostrato grande sportività, riconoscendo l’eccezionalità del successo dell’avversario. È una delle lezioni più alte che lo sport possa offrire, come accettare la sconfitta con dignità e celebrare il merito di chi ha saputo raggiungere la vetta.