Nelson Dida, poche parole e molte parate

Dal Corinthians al Milan, e ora in Egitto a preparare i portieri di oggi. Un felino che per almeno tre anni è stato alla pari di Buffon

di Stefano Ravaglia

Oggi fa l’allenatore dei portieri di una squadra egiziana, che non poteva che chiamarsi Pyramids FC. Ne ha di insegnare di cose, Nelson de Jesus Silva, e se diciamo Dida tutti capiscono di chi stiamo parlando.

Moacir Barbosa, l’ormai leggendario portiere del “Maracanazo” del 1950, si portò la croce addosso di quella sconfitta per il resto dei suoi giorni. Dida invece, in verdeoro, ha fatto quasi il pieno. Quasi, perché nel 1996 alle Olimpiadi di Atlanta, da riserva si prese la medaglia di bronzo, mentre Mondiale, Confederation Cup e Copa America stazionano da tempo nella sua bacheca.

E lo ha fatto con calma, riflessività e pazienza. Alto, longilineo, silenzioso e “felino”. Il Vitoria Bahia lo arruola per l’inizio di una carriera che, seppur faticosamente, conoscerà vette altissime. Non è uno che parla molto, Nelson. Un ammiraglio, come il più celebre Orazio, discreto e fidato. Un brasiliano atipico: sia perché fa il portiere, sia perché non si concede molto alla “alegria”. Il 19 settembre 2000 il Milan, che lo ha prelevato dal Corinthians, gioca a Elland Road contro il Leeds in Champions League. Uno 0-0 sotto l’acqua, sembra scritto: al novantesimo però, un innocuo tiro di Lee Bowyer viene bloccato dal nostro che però è sfortunato. La palla batte contro il terreno viscido e si insacca per il mortale gol della sconfitta. Una rete goffa, a vederla ancora oggi. Il popolo milanista rumoreggia, ma questo chi è? I brasiliani non sono bravi con le mani.

Due anni dopo, in agosto, Abbiati, titolare del Milan di Ancelotti che gioca il preliminare di un’altra Champions League contro lo Slovan Liberec, si infortunia agli addominali. Dentro il brasiliano, e non uscirà più, eccezion fatta per la semifinale di ritorno di quel derby europeo contro l’Inter in cui Abbiati si ritagliò altra gloria. A Manchester, invece, se la ritaglia lui. Para i rigori di Montero e Trezeguet, e il brutto anatroccolo che pareva insicuro e farfallone con le mani, diventa l’eroe. Tre anni in cui Dida viene addirittura accostato a Buffon, se non addirittura ritenuto superiore. Nel settembre 2003, compie una delle parate che vanno tra le prime dieci della storia del calcio: un rimpallo in area avvantaggia Van der Vaart, giocatore dell’Ajax che sfida il Milan nel girone: l’1-0 firmato da Inzaghi viene salvato dal brasiliano che riesce a respingere il colpo a botta sicura dell’avversario recuperando la posizione in modo incredibile e quasi slogandosi una spalla.

Nel 2005, nei quarti di finale ancora contro l’Inter, si esalta contro Cruz e Mihajlovic e il Milan vince 2-0. Poi, nella partita di ritorno, un fumogeno piovuto dalla curva Nord in aperta contestazione con la squadra nerazzurra, alla spalla lo colpisce: da lì in poi non sarà più lo stesso. Accusa problemi di vista, magari non sarà quella la motivazione, certo è che inizia ad inanellare un errore dietro l’altro. In Milan-Sampdoria del 2006 va di bager pallavolistico su un tiro di Gasbarroni, regalando l’1-1 ai blucerchiati, nel 2007 a Glasgow si ritrova in un’altra comica situazione: un tifoso del Celtic entra in campo e gli dà un buffetto al volto che lui trasforma in un gancio pugilistico svenendo in campo. Nel 2009 si palleggia sul ginocchio un tiro di Gago dalla distanza, consentendo a Raul di segnare al Bernabeu. Fino a farsi male addirittura in panchina: accusa dolori alla schiena in un pre-partita a Parma.

Episodi che non hanno scalfito gli otto anni straordinari di Dida in rossonero. Simbolo internazionale di un Milan moderno che vinceva e convinceva, un volto nuovo rispetto ai Lorenzo Buffon, Fabio Cudicini e Sebastiano Rossi delle altre epoche. Oggi, oltre a lavorare in Egitto, ha di diritto un posto fisso nel Milan Glorie, con il quale ogni tanto ancora si diletta a prendere a calci un pallone. Pardon, a prenderlo a manate. Cosa che gli riusciva, nonostante qualche papera e la sentenza dei finti esperti: “I brasiliani sono bravi solo coi piedi”. Obrigado, Nelson.

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