Zero trofei nell’albo d’oro. Una tifoseria alla ribalta della cronaca nera negli anni degli hooligans. E quel sogno chiamato First Division, realizzato nel 1988.
di Stefano Ravaglia
“No one like us, we don’t care”. Non piacciamo a nessuno, ma non ci importa. Dalle parti dell’isola dei cani, quel quartiere di Londra talmente sporgente da adagiarsi sulle rive del Tamigi come un arco, a formare quasi un isolotto, non è l’albo d’oro che fa il monaco.
Perché il Millwall FC nella sua storia non ha proprio vinto nulla, se non competizioni minori, e un campionato di Football League che nella primavera del 1988, mentre il PSV Ehindoven vinceva la Coppa Campioni ai rigori dopo cinque pareggi nelle ultime cinque partite, il Milan di Sacchi nasceva a Como in un giorno di metà maggio, e stavano per arrivare le Olimpiadi coreane di Seul, proiettò questa squadra maledetta e perdente nel gotha del calcio inglese dell’epoca per la prima volta nella sua lunga storia.
La Isle of Dogs, forse chiamata così perché in origine Edoardo III ci pascolava i suoi quadrupedi, ha rappresentato insieme una delle grandi piaghe e delle grandi rinascite di Londra. Un tempo centro nevralgico del commercio coi suoi Docks, poi, nei Settanta, con la grave crisi che investì il paese e l’inizio dell’era dei container, un’area divenuta inutile poiché non in grado di gestire così grandi traffici e pertanto abbandonata a sé stessa.
Le conseguenze? Una grande crisi sociale ed economica, come fu peraltro un po’ in tutta l’Inghilterra, che conobbe il suo periodo di depressione e disoccupazione latente.
Oggi invece, questa curiosa protuberanza data dalla particolare conformazione del Tamigi in quel punto, è centro rinnovato e riammodernato, con gli uffici di Canary Wharf e la O2 Arena che spicca su Greenwich, la città nella città che guarda in faccia l’isola dei cani. Sono arrivate nel tempo una ferrovia e anche la Tube, la metropolitana londinese che prima qui non passava. Un’area che comunque ha mantenuto parte delle sue turbolenze, con una sorta di pacifico conflitto tra le minoranze multietniche ancora residenti nelle case popolari del posto e i lavoratori che si sono spostati qui per la fiorente attività degli uffici direzionali sopra citati.
Ma quando avvenne questo rinnovamento? Tra il 1987 e il 1991, anni non di transizione anche per il club che milita da queste parti, il Millwall FC. Quel motto sulla loro fama ben poco acclarata, si potrebbe anche trasformare in “Non vinciamo, ma non ci importa”. Perché il Millwall nella sua storia, iniziata nel 1885 proprio in quei Docks, e precisamente con J.T. Morton, titolare di una fabbrica di conserve alimentari dove i suoi operai, perlopiù scozzesi, fondarono il club, non ha davvero mai vinto nulla. Nessuna FA Cup, nessuna Coppa di Lega, men che meno il campionato.
Luca Manes, apprezzato autore di libri sul calcio inglese, descrive con una metafora azzeccata la questione nella sua opera “Millwall vs West Ham: il derby della working class”:
“La fabbrica occupava entrambi i lati di West Ferry Road e la sottostante banchina prendeva il nome di Sufferance Wharf. Una denominazione molto appropriata, viste le condizioni di lavoro miserabili che dovevano sopportare gli operai, ma anche una sorta id presagio delle tante stagioni spesso deprimenti che hanno in seguito dovuto mandar giù i tifosi dei Lions”.
Southern League, Western League, Third Division South, questi i primi e quasi unici titoli dei blu nei loro primissimi anni di vita. In FA Cup, quattro semifinali e una finalissima, raggiunta nel 2004 contro il Manchester United e persa 3-0 sono i massimi traguardi. E’ andata meglio alla squadra giovanile, che ha vinto il trofeo (la FA Youth Cup) nelle stagioni 1978-70 e 1990-91. Una rivalità infinita e arcinota con il West Ham, anch’esso fondato da operai della Thames Ironwork, con il quale anche nel 2009, ad era hooligans ampiamente conclusa, si è assistito a disordini in un incontro al compianto “Boleyn Ground”. E a proposito di hooligans, eccoli: da una parte la ICF, la Intercity Firm, e dall’altra i Bushwackers del Millwall, dal nome di un gruppo militare attivo durante la guerra civile americana.
Ma proprio durante gli anni del rinnovamento dell’isola dei cani, arriva la più grande soddisfazione per i Lions, sul campo, e non sulle gradinate, fortunatamente. La squadra, dopo aver centrato la promozione dalla terza alla seconda divisione con Graham, che passa all’Arsenal col quale vincerà il titolo nel romanzesco finale di Liverpool nel 1989, viene affidata a un altro scozzese, John Docherty. Una carriera da giocatore nel Brentford, ma a intermittenza, con in mezzo due esperienze allo Sheffield United e al Reading.
Dopo aver evitato la retrocessione in terza divisione per tre punti al primo anno, nel 1987-88 porta per la prima volta i Lions nella massima divisione inglese. La squadra vince il campionato con 82 punti, davanti ad Aston Villa e Middlesborough che salgono insieme al Millwall. In estate erano arrivati Steve Wood, difensore, George Lawrence, centrocampista, e Tony Cascarino dal Gillingham, che vestirà le maglie anche di Aston Villa, Chelsea, Celtic e Marsiglia, un personaggio controverso che non diverrà mai un fuoriclasse né in campo né nella vita, e che con il Millwall forse assaporò l’unica vera soddisfazione della carriera.
Ma in quella squadra che perse 12 volte, a testimonianza della durezza di quel campionato nonostante la promozione, c’era anche un certo Teddy Sheringham, uno dei futuri soldati di Alex Ferguson e del suo Manchester United, grande protagonista nella finale thriller di Barcellona nel 1999. Il 2 maggio 1988, un anomalo lunedì, il Millwall batte 1-0 l’Hull City in casa sua, grazie a un calcio di rigore di O’Callaghan, ottenendo l’aritmetica promozione.
La prima stagione in massima serie, insieme a nostalgici nomi quali Charlton, Luton, Forest e il Wimbledon detentore della FA Cup, è un lusso: 53 punti e nono posto alla pari del QPR. La sfida diretta con l’ex allenatore Graham e con l’Arsenal che viaggia verso il titolo, vedrà i Lions sconfitti in casa 2-1 e pareggiare 0-0 ad Highbury. Proprio Cascarino (13 gol) e Sheringham (11) saranno i migliori marcatori della stagione del Millwall. La squadra di Docherty perde la prima partita in ottobre, contro il Middlesborough, e addirittura comanda la classifica nelle prime giornate. E il derby? Sì, i primi derby giocati nella massima serie finirono male per i Lions.
Uno a zero all’andata e 0-3 al ritorno in aprile. Ma furono due vittorie inutili: oltre all’annata d’oro per conto proprio, al Den si ritrovarono a festeggiare la retrocessione del West Ham. Già, il “The Den”, l’uomo in più per il popolo blu. Abbattuto e ricostruito 500 metri più in là, il “New Den” è ora ancora noto per essere stato il primo stadio, nel 1993, inaugurato secondo i nuovi canoni del Rapporto Taylor. Negli ultimi anni, grazie a un lungimirante dirigente del club, nell’area intorno allo stadio si portano avanti progetti di educazione per i giovani nella speranza di allontanarli sempre di più dalla piaga del disagio sociale che affligge ancora la zona.
Nulla da fare invece nel 1989-90: mentre il Liverpool torna campione, i Lions chiudono miseramente a 26 punti in fondo alla classifica. Docherty licenziato in febbraio, 22 sconfitte totali e nemmeno una vittoria nel pezzo di campionato del 1990. Il Millwall, tornato in seconda divisione, vide in Sheringham una luce di speranza quando l’attaccante segnò 37 reti e portò i suoi ai play-off, persi in semifinale con due sconfitta per mano del Brighton (4-1 e 2-1), prima di cambiare aria anch’egli accettando l’offerta di un certo Brian Clough a Nottingham. Talvolta le favole brevi ma intense sono quelle che rimangono di più nella mente, ma il Dio del calcio con il Millwall, sud-est di Londra, isola dei cani, è stato davvero poco generoso.
Ma se passeggiate, e fatelo con l’occhio vigile, tra gli ex moli di quella parte di città, vi sentirete dire che anche se la loro gloria è durata solo un paio di stagioni, a loro non importa. Sono il Millwall, “from The Den”.