Tifosi del F.C. United of Manchester in festa per un goal

RebChester, la Manchester ribelle

Faccio parte di quella generazione che, ogni domenica, sugli spalti dello stadio della squadra del cuore ha urlato e continua a urlare, anche più volte a partita, “No al calcio moderno!”.

Poi un mesetto fa ho letto quel magnifico libro che è “Uccidi Paul Breitner” di Luca Pisapia e a fine lettura mi sono ritrovato spiazzato: ha ragione Pisapia, il calcio nasce moderno. E’ moderno per concezione, per la sua capacità di adattarsi ai tempi che corrono e alle generazioni che lo stanno attraversando in un preciso momento. Non è un caso se già a fine ottocento nel Regno Unito ci fu la prima protesta dei tifosi contro il caro-biglietti. Sono certo che quei signori in doppio petto e bombetta dentro di loro quel giorno avranno pensato “Sto maledetto calcio moderno. Si stava così bene quando il biglietto costava meno. Di sto passo chissà dove andremo a finire…”.

Dopo questa lettura mi sono convinto che al massimo lo slogan giusto da urlare allo stadio sarebbe “No al calcio contemporaneo!”, anche se quest’ultima è una parola un po’ troppo lunga per la musicalità e il ritmo dei cori da curvaioli. Eppure c’è chi contro questo calcio contemporaneo si è scagliato per davvero, gente che ha preso decisioni sofferte, che ha passato notti insonni ma che alla fine ha deciso di non voltarsi indietro e aprire la via a molti. Sto parlando dei Red Rebels, i sostenitori del F.C. United of Manchester.

Nel 1992 nasce la Premier League e il calcio d’oltremanica cambia radicalmente: le televisioni prendono in mano la situazione con i diritti televisivi e i team diventano sempre più ricchi. Hanno firmato un patto con il Diavolo e non lo sanno ancora. Il calcio inglese si riprende la ribalta europea divenendo modello da imitare, i campioni ricominciano a guardare alla Terra d’Albione e gli altri campionati europei si mettono a studiare il modello britannico con assoluta dedizione, tanto che solo tre stagioni più tardi anche in Italia le partite verranno trasmesse dalle pay-tv.

Nel 1998, a proposito di pay-tv, Rupert Murdoch entra nel boarding del Manchester United, portando ai Red Devils moneta sonante da reinvestire in calciomercati faraonici, rendendo la formazione di Sir Alex Ferguson uno dei club più forti del mondo. L’ingresso in società del magnate non piace però a tutti i tifosi dello United: alcuni decidono di organizzarsi dando vita a proteste e contestazioni alla dirigenza, qualcuno si fa confezionare sciarpe gialloverdi (primi colori del club) per rendere cromaticamente ben visibile il suo sdegno per i prezzi degli abbonamenti e delle singole partite sempre più alti, ma si parla di numeri piccoli di tifosi e poco organizzati.

Si va avanti così per sette anni, fino al 2005. La dirigenza tratta la cessione del club alla famiglia Glazer, imprenditori americani con già interessi nel mondo dello sport (sono proprietari dei Tampa Bay nella NFL americana), ma questa trattativa ai tifosi dello United non piace proprio. Nascono comitati di tifosi che si oppongono alla cessione del club, altri decidono seduta stante di non seguire più la squadra nel caso la cessione andasse in porto, altri ancora provano a tenere duro e rimanere sugli spalti dell’Old Trafford per amore di quei colori. Il 12 maggio 2005 il Manchester United di Sir Alex Ferguson, Ryan Giggs e Paul Scholes passa in mani americane. Il 19 maggio 2005, una settimana dopo la cessione ai Glazer, i tifosi ribelli danno vita al F.C. United of Manchester.

Making friends not millionaires

La squadra parte dalla base della piramide del calcio britannico e si basa solo ed esclusivamente sull’azionariato popolare: ogni tifoso dello United of Manchester è socio del club e il primo anno sono in cinquemila ad aderire al progetto della squadra ribelle. Ogni tifoso, per diventare socio, paga dodici sterline. Un terzo del costo del biglietto per un posto nella stand dell’Old Trafford per una partita di Premier League.

Essendo un progetto nuovo la dirigenza organizza dei provini per selezionare i giocatori che faranno parte della prima rosa dei Red Rebels. Si presentano in novecento. Sì, avete letto bene: novecento ragazzi si presentano al campo in affitto dello United of Manchester per sostenere il provino e provare ad entrare nella squadra. In Terza categoria, lo scalino più basso del calcio nostrano, ad inizio anno si fa fatica ad avere quindici ragazzi per squadra, poi verso dicembre/gennaio, quando il freddo si fa reale, bisogna pregare di essere almeno in undici alla domenica al campo. A Manchester invece si presentano in novecento e questo significa che il progetto interessa ed appassiona. Dopo una prima scrematura rimangono in duecento e alla fine i provini si chiudono con diciassette giocatori selezionati.

Ad un mese dall’inizio del primo campionato del F.C. United of Manchester i cinquemila soci-sostenitori sono chiamati alla scelta dei colori e dello stile delle divise della squadra. La spunta il kit classico: maglia rossa, pantaloncini bianchi e calzettoni neri. Se non fosse per la mancanza dello sponsor ad una prima vista sembrerebbe che il Manchester United sia sceso nella Non-league a divertirsi per qualche domenica. Invece quelli in campo sono i Rebels, la nuova Manchester che avanza.

Vincere e convincere

I primi quattro anni sono un trionfo dietro l’altro per i ragazzi di Manchester: quattro promozioni di fila ed entusiasmo alle stelle. Viene fondato anche il settore giovanile, aspetto non secondario in un progetto che fa della socialità il suo cavallo di battaglia. Crescere in casa i giocatori del futuro, educandoli al rispetto, al fair play e all’antirazzismo, è il miglior biglietto da visita per il progetto calcistico-popolare nato a Manchester.

Con tutte queste promozioni però il campo di casa inizia a stare stretto. Che fare dunque? Semplice: investire gli introiti delle tessere associative e gli incassi delle partite casalinghe nel progetto e nella costruzione di un impianto di proprietà.

Un impianto di proprietà per una squadra semiprofessionistica? Ebbene sì, un vero e proprio stadio tutto per lo United of Manchester. Incredibile vero? Non a queste latitudini.

Dopo mesi di ricerche la dirigenza della squadra individua in un parco cittadino del nord della città il luogo ideale per costruire l’impianto. Il progetto che viene presentato prevede non solo lo stadio ma anche opere compensatorie atte a rivalutare il parco di Broadhurst, da anni lasciato all’incuria e al disinteresse generale. Ma a questo mondo non esiste nulla di facile. Un comitato di cittadini residenti nella zona interessata dal progetto-stadio insorge contro l’avanzare del cantiere, ritenendo lo stadio e le opere compensatorie delle inutili colate di cemento che andrebbero a ledere l’immagine, già di per sé non idilliaca, di quell’angolo di città. I lavori vengono anche bloccati per un periodo ma alla fine di un braccio di ferro a tre tra comune, comitato e Red Rebels, il cantiere riprende a funzionare e lo stadio inizia a prendere forma.

Il 29 maggio 2015 Broadhurst Park (costato sette milioni di sterline) è pronto ad ospitare la partita inaugurale. Quattromilaquattrocento posti, con una stand dedicata al tifo in piedi (raro ormai nel calcio britannico) e due terzi dello stadio coperto. Un vero e proprio gioiellino nel cuore della periferia nord di Manchester. Il F.C. United of Manchester ora è una realtà consolidata.

Do you remember Wembley’s final 1968?

Charlton porta avanti il Manchester al minuto numero cinquantatre, Graca pareggia per il Benfica al minuto settantanove. Concetto Lo Bello, arbitro della finale, al novantesimo fischia la fine dei tempi regolamentari: per decidere chi sarà campione d’Europa 1967/1968 saranno necessari i supplementari. George Best, il ribelle, porta avanti nuovamente i suoi due minuti dopo l’inizio dei supplementari; Kidd, sfruttando lo sbandamento del Benfica, insacca alle spalle del portiere portoghese il terzo goal e cinque minuti dopo chiude ogni discorso il secondo goal personale di Charlton. Manchester United 4 Benfica 1. I Red devils sono campioni d’Europa.

Era il 29 maggio 1968. Vi ricorda qualcosa il 29 maggio? Bravi, è la stessa data scelta dai Red Rebels per inaugurare la loro nuova casa. E quale squadra viene invitata a giocare la partita inaugurale? Ma il Benfica, of course. Che c’è di strano nel fatto che una squadra come il Benfica accetti l’invito di un team della sesta serie inglese? Tutto. Se non fosse che questa squadra è il F.C. United of Manchester.

In un Broadhurst Park tutto esaurito i Rebels affrontano i lusitani in un’amichevole che definire di lusso sarebbe riduttivo. A fine match il risultato dice 1 a 0 per il Benfica, meglio delle più rosee aspettative per i padroni di casa. Da quel giorno di tre anni e mezzo fa il progetto dello United of Manchester ha fatto un ulteriore passo in avanti, rendendo i ribelli di Manchester un fenomeno sociale prima che calcistico da studiare ed approfondire.

“Televisione, televisione…pubblicità!”

La stagione 2015/2016 parte sotto i migliori auspici per lo United of Manchester: la squadra si qualifica al secondo turno di FA Cup, prima volta nella sua storia, e nel weekend del 7/8 novembre 2015 deve affrontare il Chesterfield F.C. per accedere al terzo turno. E qui casca l’asino.

Non si sa per quale motivo ma la Football Association, organizzatrice della FA Cup (ora Emirates Cup, a proposito di sponsorizzazioni), decide che la partita tra i ribelli di Manchester e la squadra che si chiama come le sigarette dovrà essere trasmessa in tv e si giocherà il 9 novembre, di lunedi.

Apriti cielo. Uno dei punti fermi della dirigenza dei ribelli è sempre stato quello di giocare le gare interne (di campionato, in coppa il discorso è diverso) il sabato pomeriggio alle 15.00, nel più classico degli English’ style, e l’avversione allo strapotere delle televisioni da parte della dirigenza dello United of Manchester è chiara fin dal 1992 (anno di nascita della Premier League). Che fare dunque? Non si può rifiutarsi di giocare, i rischi di una squalifica e di una multa salatissima che farebbe barcollare il progetto sono troppo alti, perciò bisogna studiarsi qualcosa che quantomeno infastidisca la Football Association e la televisione.

Il 9 novembre Broadhurst Park non è pieno in ogni ordine di posto come spesso accade e come sarebbe stato se questa partita si fosse giocata nel weekend, ma i tifosi presenti si sono organizzati in modo da rendere indimenticabile questa serata.

Ogni sostenitore presente allo stadio porta con sé una bandiera della squadra ma l’intento non è quello, o almeno non è solo quello, di sostenere i ribelli in campo e colorare lo stadio di casa. L’intenzione è quella di “impallare” le immagini televisive impedendo alle telecamere di riprendere il campo da gioco sventolando incessantemente le bandiere per tutti e novanta i minuti. Chi ha seguito la partita in tv parla della peggior diretta di una partita della storia moderna. Per la cronaca: lo United of Manchester ha perso 4 a 1 la partita ed è stata eliminata dalla coppa più antica del mondo. Per la gioia della Football Association e delle televisioni britanniche.

Il progetto continua

In questi ultimi anni non sono più arrivate promozioni in serie superiori per i ribelli di Manchester, l’obiettivo della dirigenza, dei tifosi e della squadra è quello di mantenere la National League North, nonostante quest’anno la stagione sia partita male e dopo tredici giornate la squadra si trovi in penultima posizione con appena nove punti. Ma il campionato è lungo e il tempo per recuperare c’è tutto. E se dovesse arrivare la retrocessione pazienza, si ripartirà nuovamente a testa alta e si cercherà una nuova promozione.

Le cose più importanti per lo United of Manchester sono quelle di continuare a mantenere i conti in ordine senza doversi “vendere” a sponsor discutibili. Di continuare ad insegnare calcio ai bambini e ai ragazzi, di educarli all’antirazzismo come è stato fatto fino ad ora e di proseguire nel progetto del calcio femminile, visto che nel 2018 è nata anche l’ala “ladies” dei ribelli.

Il progetto Manchester è stato ed è vincente perché qui ha vinto il concetto popolare nel vero senso della parola. Ogni persona che varca i cancelli di Broadhurst Park per una partita o per tutti i sabati della sua vita sa che su quegli spalti, negli uffici, negli spogliatoi ed infine sul campo troverà solo ed esclusivamente persone che hanno la sua stessa visione del football, che condividono gli stessi ideali e che si sentono profondamente parte integrante dei ribelli di Manchester.

Negli anni il progetto è stato studiato e portato anche in altre città. Ecco quindi lo United Glasgow Football Club, nato da sostenitori del Celtic e improntato all’accoglienza dei rifugiati con il calcio a fare da collante tra scozzesi, africani, pakistani, curdi, bengalesi e così via; il City of Liverpool, nato da un gruppo di tifosi del Liverpool e dell’Everton, ha come fine quello di ricominciare a vivere il calcio come lo si viveva prima del 1992, il completo da gioco è viola (ottenuto mischiando il blu dell’Everton con il rosso del Liverpool) e per ora la squadra si barcamena nelle ultime serie del calcio inglese; il Roter Stern Leipzig, letteralmente Stella Rossa Lipsia, nata in contrasto all’arroganza della Red Bull e al suo aver messo le mani sulla squadra della città, azzerandone la storia e rendendo i giocatori degli sponsor con le gambe; l’Austria Salisburgo, anche in questo caso nata in contrasto alla Red Bull.

E in Italia? Da noi le cose si muovono da qualche anno e prossimamente ne parleremo. Nel frattempo iniziate a segnarvi qualche nome: CS Lebowsky, AfroNapoli United, Ideale Bari, Spartak Lecce, St. Ambroeus, Brutium Cosenza…

Di Davide Ravan

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