Roma-Real Madrid 2001: il ritorno in Europa nel giorno più brutto

L’11 settembre 2001 non si doveva giocare. E invece si gioca. La Roma perde in casa contro i futuri campioni d’Europa, ma in fondo non contava proprio nulla.

di Stefano Ravaglia

I rigori di Conti e Graziani erano ancora impressi nella testa di tutti i romanisti. Quelle maglie rosse che balzellano sul prato dell’Olimpico coccolandosi la Coppa dei Campioni, quarta della storia del Liverpool, sono restate indigeste per diciassette anni.

Poi, un giorno caldissimo di giugno del 2001, Fabio Capello riuscì dove nessuno riusciva dal 1983. Quella volta fu Liedholm, placido Barone che preferiva il bastone alla carota. Serafico e sornione, dopo aver vinto la stella col Milan, portò a Roma, sponda giallorossa, un titolo che mancava da circa quarant’anni. Don Fabio invece dovette fare un lavoro doppio, triplo. Fermando la furia romanista di entusiasmo e goliardia che si abbatté sulla squadra che condotta da Tommasi, Batistuta e San Francesco Totti, vinse il terzo titolo il 17 giugno di quel 2001, dopo il 3-1 al Parma. Quell’entusiasmo tracimò in campo, e Capello, accaldato e in camicia e cravatta, dovette sbracciarsi all’inverosimile per ricacciare fuori il pubblico già esultante: il rischio di uno 0-3 a tavolino era concreto. E invece a Roma si festeggiò sino a settembre, e pure il Modena, nel campionato successivo, vinse 2-1 in casa dei campioni d’Italia.

Ma ciò che quello scudetto faceva tornare, era il palcoscenico europeo più importante. La Roma cade nel gruppo A, insieme a Lokomotiv Mosca e Anderlecht, ma soprattutto insieme alla squadra del secolo, il Real Madrid. Per Capello è una sfida alla sua ex compagine, che aveva portato al titolo spagnolo nella stagione 1996-97. L’esordio è proprio contro gli spagnoli, all’Olimpico, per un vernissage straordinario, l’11 settembre 2001. Totti-Batistuta-Montella contro Figo, Guti, Raul, Roberto Carlos. I “Galacticos”.

Ma un grande fumo si addensò metaforicamente sulla capitale e sul calcio europeo, quella sera. Era il fumo delle macerie e del dolore proveniente dagli Stati Uniti. Quando in Italia era primo pomeriggio, a New York, ore 9 del mattino, fece capolino l’Apocalisse. Due aerei dirottati si schiantarono sul World Trade Center, un altro sul Pentagono e un altro ancora fu fatto cadere a Pittsborough grazie alla rivolta dei passeggeri. Quel martedì, tutti ci ricordiamo dove eravamo.

E anche Vincenzo Montella, che ebbe a dire:

Eravamo basiti, incollati allo schermo, come tutti. Le immagini parlavano da sole, sconvolgenti, abbiamo ancora davanti agli occhi il terribile schianto dei due aerei sulle Torri Gemelle. Furono momenti di sgomento, ma noi dovevamo anche pensare che di lì a poco ci saremmo trovati di fronte il Real… E invece arrivammo allo stadio discutendo solo delle notizie che provenivano da New York”.

Non si gioca, dunque. E invece sì. Mentre il presidente della FIGC Carraro spinge per un rinvio, la Uefa lo nega. Tutti in campo. Al massimo un minuto di silenzio e il lutto al braccio, come in effetti accadrà. I gironi A-B-C e D, disputano regolarmente le loro partite, a circa sei ore dalla tragedia quando tutto il mondo non fa altro che parlare di un solo argomento.

Il primo tempo termina senza gol, nella ripresa entra in scena, in senso negativo, il portiere giallorosso Pellizzoli. Prima, al 50° prende gol da Figo, che calcia una punizione magistrale seppur l’estremo difensore della Roma faccia un passo di troppo sulla sua sinistra che gli sarà fatale. Ancora peggio va pochi minuti dopo quando Guti lo infila di testa: l’uscita maldestra del portiere è decisiva. La Roma accorcia con un rigore di Totti, ma una partita di Coppa dei Campioni all’Olimpico è di nuovo teatro di sconfitta, così come accaduto nel 1984.

La Roma supererà comunque il turno, e si comporterà bene anche nel secondo girone, dove arriverà davanti al Liverpool all’ultima giornata: ad Anfield però i reds vinceranno 2-0 ponendo fine ai sogni di gloria dei giallorossi. Ancora una volta gli inglesi a ferire la Roma.

Ventiquattr’ore dopo, tardivamente, la Uefa sospende le partite del mercoledì. Verranno recuperate un mese dopo. Anche Franco Sensi era d’accordo:

“Ciò che è successo in America è troppo grave, era dai tempi della guerra che non vivevamo un dramma del genere. Come hanno potuto far finta di niente?”.

Eppure lo fecero. E quella fu la vera sconfitta di quella sera di settembre dove il fumo di New York arrivò fino all’Europa del calcio.

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