Sahar aveva seguito l’Esteghlal, la sua squadra del cuore, nonostante i divieti. E’ stata fermata e rischiava sei mesi: ha preferito darsi fuoco
di Stefano Ravaglia
Nel 2019, quasi 2020, succedono ancora cose di questo tipo. Dopo le polemiche per la Supercoppa Italiana disputata lo scorso gennaio in Arabia Saudita, con le donne ammesse in tribuna ma in un settore a loro dedicato e fugacemente inquadrate dalle telecamera, in Iran è accaduto di peggio.
Le donne ostacolate alla visione di una partita di calcio e sempre sul piede di protesta, hanno perso una loro alfiera. Sahar Khodayari, tifosa dell’Esteghlal, squadra simbolo di Teheran e da poco raccolta in panchina da una ex conoscenza interista, Andrea Stramaccioni, si è data fuoco provocandosi ustioni sul 90% del corpo che in una settimana l’hanno condotta alla morte.
Il motivo? Lo scorso 12 marzo era stata arrestata per aver seguito una partita della squadra del cuore allo stadio Azadi, nonostante l’espresso divieto per le ragazze in vigore in Iran di assistere alle partite.
Sahar rischiava sei mesi di galera, e ha pensato bene di farla finita onde evitare il provvedimento una volta saputo dell’esito del processo. Pur avendo molte aperture alla modernità, il paese non transige sulla condizione della donna, obbligata da decenni a indossare il chodar.
Nonostante il comunicato della FIFA e i ripetuti richiami del presidente Infantino nel contrastare la discriminazione in atto in Iran, pare che la strada verso la libertà della donna nello sport sia ancora molto lunga. Sahar era entrata allo stadio il più possibile mascherata, con una parrucca e una grande bandiera della sua squadra. Non è servito a nulla.
E ha preferito pagare con la vita la dedizione ai suoi ideali, piuttosto che tacere davanti a una disuguaglianza ancora dura ad essere estirpata.