Socialismo tra i pali: Volker Ippig, il portiere della gente di St.Pauli

Difese per tutta la carriera solo una porta: quella del St.Pauli. Ma più che un eroe del football, fu dalla parte dei più deboli. Si confuse nella società e nelle sue problematiche, in anni turbolenti. Leggendo Carlos Castaneda

 

di Stefano Ravaglia

 

Zazzera bionda, aspetto quasi trasandato. Fa il portiere, una cosa normale. Ci si aspetta di vederlo senza coscienza, senza un briciolo di morale, senza alcuna istruzione, come erano e sono la maggior parte dei calciatori. E forse, almeno all’inizio, era così anche per Volker Ippig, uno che non ha mai giocato nel Real Madrid, che non ha mai vinto la Coppa dei Campioni, e che forse nemmeno andava in cerca di gloria. Nell’universo delle storie di calcio, la sua è una vicenda davvero particolare. A Madrid potresti frequentare locali alla moda, portare i bambini al Parco del Retiro, fare shopping sulla Gran Via o a Calle de Serrano. Tutto questo, sempre che la folla non ti salti addosso per foto e autografi. Il nostro invece, non si è fatto attrarre da nulla di tutto ciò. Sarà ad Amburgo, nel turbolento e quasi mitico quartiere St.Pauli, scena dei punk e degli autonomi, delle case occupate di Halfenstrasse, del porto, delle prostitute e della lotta al nazismo, e sulla Reeperbahn, la strada dei locali a luci rosse, del divertimento, e dei luoghi dove si esibirono i Beatles nel loro famoso tour del 1960, che Volker troverà una nuova strada. Classe 1963, nato a Eutin, profondo nord tedesco, la “Svizzera dell’Holstein” e città già di per sé culturalmente ruspante, il nostro vive una vita a difesa della porta, iniziando dalla formazione Under-19, del St.Pauli, la seconda (o magari la prima?) squadra di Amburgo, in acerrima rivalità con l’HSV, che quest’anno per la prima volta affrontano nella serie B tedesca dopo la prima, storica retrocessione dei nemici del Volksparstadion. Buon portiere con fisico ed esplosività, ma soprattutto faccia da anti-eroe, vestiti trasandati, tutto tranne la figura il calciatore modello che già si iniziava a intravedere trent’anni fa.

Marco Petroni, nel suo libro “St. Pauli siamo noi”, descrive la metamorfosi del numero uno: “Gli anni Ottanta erano appena iniziati. Tra un allenamento e l’altro il biondo portierone si immerse nell’atmosfera contro-culturale che stava animando il quartiere in cui viveva. La sua vita cambiò rapidamente. Iniziò a leggere Carlos Castaneda. Storie che parlavano di guerrieri, di battaglie, di tribù, e della necessità di seguire il battito del cuore. Quando entrò in contatto con l’ambiente dell’Halfenstrasse prese i pochi vestiti e i pochi bagagli che aveva e si trasferì in riva al posto nelle case occupate. Gli piaceva stare a contatto con artisti, studenti, punk, famiglie comuni, emarginati. Capì l’importanza delle vite umane e si impegnò nel sociale”.

Miseria e abbandono a St.Pauli, prima di quella riscossa sociale. E uno stadio, il Millerntor, dove ancora oggi gioca la squadra, che nonostante la bassa frequentazione e la totale assenza di gloria nel cammino della squadra, diviene il simbolo ferreo della lotta agli abusi e ai nazionalismi che tanto avevano fatto male alla Germania quarant’anni prima. Una bandiera, quella dei pirati, a testimoniare la vena combattiva e ribelle di quella parte del popolo di Amburgo. Così preso da questa visione del mondo, che Volker Ippig a un certo punto della sua carriera, per la verità appena iniziata, e dopo soli due anni di attività, nel 1983 decide di chiudere col calcio e seguire la via del bene verso il prossimo, esprimendosi in tutta la sua bizzarria: a Lensahn, cento chilometri da Amburgo, acquista un terreno, costruisce una capanna e vi si chiude a leggere davanti al fuoco l’autore peruviano naturalizzato statunitense. E’ un periodo denso per Ipping: trascorre le sue giornate a fianco dei bambini disabili in un asilo e poi si sposta addirittura in centro America per assistere i poveri dopo la fine della dittatura in Nicaragua contribuendo alla costruzione di un ospedale. Prima di tornare al suo posto, dietro a dieci compagni di squadra che inseguivano la prima promozione in Bundesliga. Dovette ripartire, Ippig: dapprima secondo portiere, poi nel 1987-88 la stagione da titolare che valse, finalmente, il salto tra i grandi. Secondo posto, due punti dietro al Kickers Stoccarda (da non confondere con lo Stoccarda, quello che milita oggi in Bundes), club che oggi naviga nella quarta serie del calcio tedesco, e promozione. Ippig non disdegna il pugno chiuso al pubblico, nelle partite al Millerntor, e si ferma a bere birra coi tifosi. La sua carriera va avanti sino al 1992, quando un brutto infortunio alla spalla, a 29 anni, lo costringe al ritiro. In questo sì, la sua storia è simile a un grandissimo: Marco Van Basten.

Resta nel calcio, fa il preparatore dei portieri, ma non è capace a gestire un lavoro di gruppo appena uscito dal sicuro letto caldo di St Pauli. Nel 2007 viene estromesso dal Wolsburg di Magath perché si rifiuta di lavorare ogni giorno. Se provate ad arrivare ad Amburgo, e ad approdare in quel porto che tanto ha significato per la città, troverete Volker Ippig caricare e scaricare merci. Questo è ancora il suo dovere, una volta dimenticato il calcio.

George Harrison, dei suoi giorni ad Amburgo con i Fab Four, ebbe a dire: “Ad Amburgo ogni sera avevamo la schiuma alla bocca, andavamo a tutto gas per sei o sette ore consecutive e tutto era assolutamente incredibile. Mach shau! Mach shau! Quelli sì che erano giorni”. E proprio Castaneda ha riassunto con parole immediate e trancianti la filosofia sua e di Volker Ippig, nel suo primo libro. “A scuola dallo stregone”: “Per me esiste solo il cammino lungo sentieri che hanno un cuore, lungo qualsiasi sentiero che abbia un cuore. Lungo questo io cammino e la sola prova che conta è attraversarlo in tutta la sua lunghezza. E qui io cammino guardando, guardando senza fiato”. E senza paura, il portiere con la zazzera bionda il cuore l’ha seguito. E non l’avesse fatto, non avremmo avuto una straordinaria storia da raccontare. Quelli sì che erano giorni.

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