Spesso, nei discorsi da bar o nei titoli dei grandi quotidiani, agli amanti del calcio capita di imbattersi in discorsi calcistico-politici.
Ogni volta che c’è il derby di Roma ci viene ricordato che la curva nord della Lazio ha teso amicizie con varie tifoserie europee nel nome del fascismo o del sovranismo nazionale tanto di moda nell’ultimo periodo. Quando si parla di Verona si ricorda spesso come la curva dell’Hellas sia la “più fascista d’Italia”; quando si parla di Livorno si sottolinea lo stalinismo che contraddistingue la frangia più estrema del tifo labronico.
Ora, senza voler entrare nel merito dell’eterogeneità delle varie curve italiane ed europee (che farebbe crollare i grandi miti di “laziali=tutti fascisti” e “livornesi=tutti stalinisti”, in quanto all’interno di queste due curve, come di molte altre, esistono realtà diverse, tanto da incontrare un gruppo dal nome “Laziali antifascisti” solo per citarne uno), ho cercato invece di concentrarmi sulle società (e quindi non, o non solo, sui tifosi) che per statuto, o per scelta presidenziale o dirigenziale, hanno fatto del loro club un’isola politica, pronto a sostenere l’una o l’altra parte in occasione di elezioni, di manifestazioni o quant’altro.
Lasciando da parte i grandi miti, tipo il Corinthians di Socrates e la loro “Democracia corinthiana”, o le squadre dell’Est europeo soggette alle egide del Partito o dei sindacati, mi sono concentrato su realtà che, nel loro piccolo, hanno portato avanti (e continuano in alcuni casi a portare) un discorso politico ben preciso.
Andiamo a scoprirle insieme.
Tifo e politica, le realtà europee
GERMANIA-FC Ostelbien Dornburg: Nel 2015 salì alla ribalta della cronaca questa piccola squadra tedesca dell’Est del Paese per la tendenza dei suoi giocatori, dei suoi dirigenti e dei suoi tifosi di dichiararsi nazionalsocialisti. Nazisti. Sembrerebbe assurdo che proprio in Germania possano esistere ancora oggi, a più di settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, gruppi che si rifanno a Hitler ed ai suoi ideali, ma la realtà è ben diversa.
Nell’Est del Paese teutonico è almeno da una ventina d’anni che il fenomeno neonazista è in crescita (basti ricordare gli scontri e le manifestazioni di un paio di mesi fa a Chemnitz, altra città della Germania orientale) e lo dimostrano gli ottimi risultati elettorali ottenuti dall’AFD (Alternative Fur Deutschland) a tutte le elezioni cittadine, regionali e in ultimo alle politiche del 2017.
Da quanto riportano le cronache del 2015 sembrerebbe che ben quindici dei diciotto giocatori della rosa del FC Ostelbien Dornburg si dichiarano nazisti, e addirittura uno di loro, tale Denis Wesemann (uno dei quindici dichiaratamente nazisti), si candida a sindaco della cittadina perdendo solo per una manciata di voti, a dimostrazione che questo spirito nazista non è condiviso solo all’interno dello spogliatoio o negli uffici della società ma trova appoggio e simpatie anche tra la popolazione locale.
L’Ostelbien è sostenuto dal gruppo hooligans Blue White Street Elite, frangia di tifosi formalmente sciolta dalle autorità tedesche ma che in realtà continua a seguire senza problemi i suoi beniamini dalle teste rasate da bonhead e le croci uncinate tatuate sul corpo.
Questo pericoloso mix composto da società-squadra-tifosi ha fatto si che la maggior parte delle squadre del campionato regionale nella quale l’Ostelbien milita si siano rifiutate di scendere in campo contro i biancoblu, e pure gli arbitri si rifiutano di arbitrare le partite dei neonazisti, alcuni come forma di opposizione politica altri, la maggior parte, per la paura di ritorsioni e di botte al primo fischio avverso all’Ostelbien (sono almeno cinquantasei arbitri su sessantacinque totali della regione a rifiutarsi di scendere in campo a svolgere il proprio lavoro quando gli toccherebbe arbitrare i biancoblu).
Come dicevo all’inizio del capitolo dedicato a questa formazione non è raro imbattersi in gruppi neonazisti nell’Est della Germania, ed infatti sono molte le formazioni ex-DDR ad avere sugli spalti gruppi di estrema destra pronte a tifarle e a seguirle su e giù per il Paese, ma il caso dell’Ostelbien, con società, giocatori e tifosi allineati e accomunati dal medesimo ideale politico, è più unico che raro al momento. E speriamo che tale rimanga. Unico e raro.
GERMANIA-FC Sankt Pauli: il St. Pauli è ormai da qualche anno conosciuto a livello mondiale, e quando si pensa ad una squadra schierata fortemente la mente inevitabilmente va alla formazione del quartiere portuale di Amburgo.
I braunweiss (biancomarroni) nascono nel 1910 in quello che è il quartiere più popoloso della città. Un quartiere di palazzoni che oggi definiremmo popolari e di bettole frequentate da marinai, portuali e prostitute. Il commercio marittimo ha fatto la fortuna della città di Amburgo e ha creato, come conseguenza logica, “sacche” di proletariato e sottoproletariato che trovano nei docks portuali un modo per portare a casa la “pagnotta” alla sera.
Non basta però un background di questo tipo per fare del St. Pauli una squadra fortemente schierata a sinistra, ed infatti si dovranno aspettare gli anni ’80 per veder nascere nella tifoseria prima, e nella stessa società calcistica poi, una coscienza sociale che sfocia, inevitabilmente, nell’ideologia socialista e libertaria che oggi contraddistingue la formazione amburghese.
Fino a quel periodo la formazione biancomarrone non ha un vero e proprio seguito di tifosi, la maggior parte degli abitanti del quartiere tifa per l’Amburgo (che in quegli anni vince anche una Coppa Campioni contro la Juventus) e il St. Pauli viene vista semplicemente come una squadra di quartiere come tante altre. Capita spesso infatti di trovare abitanti del quartiere che si recano al Millerntor (lo stadio del St. Pauli) solo quando l’Amburgo non gioca oppure è impegnato in trasferte lunghe e scomode, lasciando poi desolatamente vuoti i seggiolini dello stadio quando anche l’altra squadra cittadina è impegnata in incontri casalinghi o in match di cartello.
Con l’arrivo degli anni ’80 però le cose cambiano: la tifoseria dell’Amburgo prende connotazioni che sfociano nell’estremismo di destra e in molti, specialmente chi vive a St. Pauli, smettono di seguire la blasonata formazione cittadina. Che fare dunque? La conseguenza è logica: seguire il FC St. Pauli!
Nascono così i primi gruppi di tifosi a seguito dei biancomarroni e dando un’occhiata agli spalti salta subito alla vista una forte presenza di skinhead (di sinistra, gli skinhead nascono nei quartieri popolari londinesi degli anni ’70 e sono espressione del sottoproletariato urbano. Frequentano locali notturni dove si suona musica ska e ballano fianco a fianco gli immigrati giamaicani, e quindi sono per indole e natura di sinistra) e di punk, riconoscibili per gli anfibi e le camicie a quadri i primi e le creste e i giubbotti di jeans tempestati di spille e toppe i secondi.
Fino a qui nulla di strano. Come scrivo all’inizio del pezzo è normale che appartenenti ad una o all’altra parte politica trovino spazio sugli spalti di una qualche squadra e che diano connotazioni di destra o di sinistra al tifo. Ma è ora che viene il bello.
La società FC St. Pauli decide di schierarsi a fianco dei propri sostenitori e la concezione stessa di “calcio” cambia radicalmente.
Il St. Pauli diventa una squadra “popolare”: tutti i tifosi sono soci del club, ognuno possiede delle quote e il presidente e la dirigenza vengono votati a cadenza quinquennale; durante il loro mandato i tifosi, quindi gli altri soci del club, vigilano affinchè la dirigenza agisca solo per il bene della squadra e non per interessi personali.
A St. Pauli, quartiere di case occupate, locali a luci rosse e attività commerciali socialmente attive sul territorio tedesco e non solo, i risultati sportivi passano in secondo piano. Non fraintendetemi: la squadra gioca comunque nella seconda serie tedesca (la Zweite Liga) e nel momento in cui sto scrivendo si trova quarta in classifica ed ha pareggiato il derby coi rivali cittadini dell’Amburgo, retrocessi in seconda serie l’anno scorso per la prima volta nella loro storia, fuori casa. Ma ciò che più sta a cuore alla società è la socialità, e non è un caso che la squadra presenti sulle divise da gioco solo sponsor “socialmente impegnati” o che appoggi ONG o società impegnate nel Terzo mondo (una su tutte: Viva con agua, ONG impegnata nell’eterno problema della carenza d’acqua nei Paesi africani e non solo, appoggiata attivamente con finanziamenti dal St. Pauli stesso).
Per concludere il discorso legato al St. Pauli un’ultima cosa. Nell’estate del 2017 la società ha deciso di assorbire al suo interno la FC Lampedusa, squadra di calcio composta completamente da migranti giunti ad Amburgo dall’Africa, dal Pakistan, dal Kurdistan e da altri luoghi tempestati da guerre e/o catastrofi naturali.
Assorbendola il St. Pauli le ha garantito lunga vita e in questo modo il modello d’inclusione sociale messo in atto dal FC Lampedusa continuerà ad esistere e ad aiutare gli ultimi del Mondo.
(Per approfondire il discorso legato al St. Pauli vi consigliamo la lettura di “Ribelli, sociali e romantici. FC St. Pauli tra calcio e resistenza” di Nicolò Rondinelli, edito nel 2015 da Bepress. Oppure andate a vedere coi vostri occhi cosa sono il St. Pauli e St. Pauli, con un’ora e mezza di volo da Orio al Serio vi togliete il problema.)
SPAGNA-Jupiter Barcelona: ci fu un tempo in cui a Barcelona non si parlava solo di blaugrana.
Non c’era ancora Leo Messi, non c’era ancora Maradona e non c’era nemmeno ancora Johan Cruyff. Non c’era nemmeno il calcio che conosciamo ora, non c’era la Liga e i campionati che contavano erano innanzitutto quelli regionali e cittadini. E in questi campionati si svolge la storia dello Jupiter Barcelona, piccola formazione della più importante città catalana persa tra le pieghe del tempo (esiste ancora oggi in realtà ma non ha nulla a che fare con lo Jupiter che proverò a raccontarvi).
Nata nel 1909 nel popolare quartiere di Poble Nou, la formazione catalana sceglie come colori sociali il grigio e il marrone su di una divisa a righe verticali. Si barcamena per anni nei vari campionati regionali catalani facendo giocare principalmente ragazzi del quartiere, ragazzi che si dividono la giornata tra il lavoro nelle fabbriche del quartiere e il piccolo campo da calcio della zona, il Poble Nou, che prende il nome dal quartiere stesso.
Nel 1917 “El orgullo obrero” dello Jupiter ha la meglio sulle altre formazioni cittadine e vince il campionato della città di Barcellona. E’ il primo successo della piccola squadra composta da operai anarchici. Purtroppo sarà anche l’ultimo. E non per questioni sportive.
Primo de Rivera prende il potere in Spagna con un colpo di Stato instaurando una dittatura fascista (o molto simile al fascismo) e il Paese iberico cade nel baratro. Nascono forme di resistenza repubblicana un po’ ovunque nel Paese e a Barcellona in prima fila troviamo loro, i giocatori e i dirigenti dello Jupiter.
Da subito si attivano per contrastare l’autoritarismo di Primo de Rivera con azioni di sabotaggio e di guerriglia urbana, dopodichè si pongono da tramite tra le colonne di resistenza anarchiche e quelle repubblicane, collaborando con le une e le altre con l’obiettivo di rovesciare la dittatura.
Dopo un periodo buio la Spagna torna alla democrazia e alla repubblica e lo Jupiter torna a calcare i campi delle serie minori.
La concezione “popolare” della squadra non è però mutata: con l’Europa in subbuglio i sentori di nuovi sconvolgimenti si fanno sentire forti e chiari e perciò lo Jupiter continua ad essere una squadra di operai anarchici pronti a resistere contro gli oppressori qualora ce ne fosse bisogno.
E bisogno di resistere purtroppo ce ne sarà. Nel 1936 i falangisti guidati da Francisco Franco dichiarano guerra alla repubblica e alle istituzioni statali e con l’appoggio di Italia e Germania avanzano verso Madrid per prendere il potere. La Spagna ripiomba nell’incubo della guerra civile: tutto il Paese, da Madrid a Barcellona, dalle Asturie ai Paesi Baschi, è attraversato dallo scontro tra falangisti da una parte e repubblicani, comunisti e anarchici dall’altro.
A Barcellona, città che si contraddistinguerà nella resistenza al falangismo, i giocatori, i dirigenti e i sostenitori dello Jupiter tornano ad occupare le prime linee della resistenza, riprendendo ad azionarsi per sabotaggi e incursioni tra le linee nemiche come già fecero ai tempi di Primo de Rivera.
Franco non è però Primo de Rivera: gode di appoggi europei di non secondaria importanza (Italia e Germania come già scritto) e può contare sull’esercito spagnolo, schierato da subito al fianco dei falangisti. La resistenza si fa impossibile e anche Barcellona cade nelle mani degli insorti.
Il campo di Poble Nou (non si sa se a causa della squadra che ci giocava o meno) diventa il campo di fucilazione sul quale i falangisti giustiziano gli oppositori politici e tra di essi trovano la morte anche diversi componenti dello Jupiter.
Con la presa del potere da parte di Franco finisce la storia dello Jupiter operaio e anarchico, una storia unica nel suo genere e, almeno fino ad ora, mai ripetuta.
(Sulla rivista Uno-Due Identity, 2017, trovate un magnifico racconto sullo Jupiter di Daniele Sigalot illustrato dallo strepitoso Osvaldo Casanova. Vi consiglio caldamente sia il racconto che la rivista.)
Tifo e politica: il caso più eclatante del Sud America
BRASILE-Atletico Paranaense: questa è una storia un po’ diversa dalle tre precedenti. La società in questione non si è mai davvero contraddistinta nel tempo per un ideale preciso o per prese di posizioni politiche “tranchant”, ma la settimana scorsa ha fatto discutere, e non poco, per una scelta del suo presidente.
Come molti di voi sapranno il Brasile domenica scorsa è stato chiamato al voto per eleggere il nuovo presidente della repubblica verdeoro.
Da mesi la “questione Lula”, con l’ex presidente del Paese e leader del PT (Partido dos Trabalhadores) in carcere con l’accusa di corruzione, tiene banco: sembrava che, nonostante la carcerazione, Lula potesse comunque candidarsi alle elezioni, ma a poco più di tre settimane dal voto è arrivato il “nao” (no) alla sua candidatura, costringendo il partito a virare, su “consiglio” di Lula, su Fernando Haddad, figura politica molto vicina all’ex presidente.
Dall’altra parte della barricata troviamo invece Jair Bolsonaro, candidato del partito Social-Liberale e nemico dichiarato di Lula e delle sue politiche di sinistra. Con un programma politico che strizza l’occhio al “trumpismo” (“Sono un ammiratore del Presidente Trump”, ha dichiarato in più interviste Bolsonaro) e che punta ad intercettare i voti della destra radicale brasiliana (antiabortista, omofobo, anticomunista…), Bolsonaro durante la campagna elettorale ha subito un accoltellamento che l’ha costretto su un letto d’ospedale per alcune settimane obbligandolo a cancellare diversi appuntamenti elettorali. Questo accoltellamento sembra però averlo rafforzato: dopo aver incassato l’appoggio delle potentissime chiese evangeliche del Paese, domenica scorsa al primo turno ha ottenuto il 46,03% dei voti, staccando di quasi venti punti Fernando Haddad, costretto ad una rimonta praticamente impossibile domenica 28 ottobre al ballottaggio.
E proprio il giorno prima delle elezioni politiche, sabato 6 ottobre scorso, l’Atletico Paranaense è sceso in campo per la partita contro l’America-MG (vinta poi 4-0 dai rossoneri dell’Atletico) con una maglietta particolare. All’ingresso in campo la squadra di casa indossava, sopra la maglia da gioco, una t-shirt gialla con la scritta “Vamos todos juntos por amor ao Brasil” (Andiamo tutti insieme per amore del Brasile), riconducibile alla campagna elettorale di Bolsonaro.
Responsabile di questa “azione dimostrativa” è il presidente dell’Atletico Paranaense, Mario Celso Petraglia, sostenitore della prima ora di Bolsonaro.
Ora, a causa di questa “dimostrazione d’affetto”, il club di Curitiba rischia una pesante multa, o addirittura, come riporta la “Gazeta do Povo” la squalifica dal campionato, in quanto il gesto va contro l’articolo 4 della FIFA, che vieta ogni manifestazione politica da parte di società di Paesi ad essa affiliati.
Credo che difficilmente arriverà una squalifica totale all’Atletico Pr., più probabilmente il club pagherà una multa e il gesto verrà presto dimenticato.
Ma c’è un ma. Non tutti i giocatori rossoneri sono scesi in campo con la maglietta pro-Bolsonaro. Il difensore centrale Paulo Andrè si è infatti rifiutato di indossarla, entrando in campo con la felpa di rappresentanza della società e la maglia da gioco, senza nient’altro sopra.
Un piccolo gesto è vero, ma anche quello di Bruno Neri fu un piccolo gesto. E magari di quel piccolo gesto ne parleremo un’altra volta.