Il 20 settembre 2004 se ne andava l’allenatore che aveva fatto grandi le piccole: Derby e Nottingham. Controverso, presuntuoso e carismatico, è divenuto autentica leggenda.
di Stefano Ravaglia
“Non credo di essere il miglior allenatore d’Inghilterra”. E allora ti aspetti che Brian Clough da Middlesborough, abbia avuto improvvisamente un attacco di umiltà. Ma come, proprio lui, presuntuoso, arrogante, sprezzante del pericolo?
Bastava infatti fargli finire la frase: “…credo di essere solo il più bravo”. La meravigliosa casa del football, soprattutto del football d’oltremanica dei padri fondatori, non si potrebbe reggere senza una architrave fondamentale come l’allenatore che ha scolpito le sue iniziali con veemenza nella hall of fame calcistica di tutti i tempi.
Proprio in questi giorni, il 20 settembre di quattordici anni fa, Brian lasciava la vita terrena e entrava nel mito. Lo avevano rovinato quella ciminiera di sigarette e quegli infiniti bicchieri che aveva trangugiato nella sua vita sportiva e non, tutto preso dal far quadrare i conti in campo, perché di quelli fuori non gli importava. Quando allenava il Derby County, il presidente Sam Longson era furibondo quando veniva a sapere che il suo manager gli aveva comprato giocatori spendendo fior fior di sterline, senza ovviamente la sua autorizzazione.
“Se non ci fossi stato io, qui, non esisterebbe nessun Derby County”.
Rude, ma non aveva torto. Aveva preso i “Rams” in seconda divisione, gli aveva portati in prima, e nel 1972 aveva vinto un rocambolesco titolo. I rivali del Leeds, a campionato finito, dovevano recuperare una partita in casa del Wolverhampton. La squadra di Clough era in tournée in Spagna col vice allenatore e lui beatamente in vacanza. Con 58 punti contro 57, il Leeds, quel giorno di maggio, vincendo, avrebbe certamente superato il Derby. Accadde l’impensabile: i “Whites” persero 2-1 e il titolo andò al Derby County.
Già, il Leeds. Quella squadra che Brian aveva ammirato in quei Settanta dove dominava il calcio inglese e raggiungeva le finali di Coppa dei Campioni e Coppa delle Coppe (perdendole entrambe di misura contro Bayern Monaco e Milan), aveva però un grossolano difetto. Rissosi e provocatori, i giocatori del Leeds guidati dall’allenatore-padre Donald Revie, vincevano ma in modo non del tutto pulito.
La storia di Clough e della sua intensa vita sportiva (251 reti in 274 partite con Middlesborough e Southampton, smise di giocare per uno scontro con il portiere del Bury durante un incontro) è narrata magistralmente dal libro di David Peace “Il maledetto United”, dal quale è stata tratta la pellicola omonima di Tom Hooper con Michael Sheen nei panni di Clough. Lì, possiamo vedere quella partita di FA Cup in cui Brian si prepara, col suo Derby, ad accogliere i maestri del Leeds. Cura l’organizzazione generale nei giorni precedenti alla gara, pulisce gli spogliatoi, prepara due calici e una bottiglia di vino rosso per il post-partita, pratica in uso a quei tempi in Inghilterra dove i due allenatori si incontravano al termine del match.
Tutte le sue illusioni saranno spazzate via: oltre a vincere con il solito discutibile “stile”, il Leeds si prende gioco dei rivali e Don Revie non si ferma né prima né dopo per incontrare Clough.
Ma il Dio del calcio ha già in mente il suo percorso diabolico: i contrasti col presidente del Derby si fanno sempre più corposi a tal punto che Clough rassegna le sue dimissioni. Nel 1973 lo prende il Brighton: stipendio ottimo, carta bianca e una città in cui ha tutto da guadagnare. Se abbiamo visto Brian Clough, lo dobbiamo però soprattutto al suo assistente, Peter Taylor. Insieme sin dai tempi dell’Hartlepool, la prima squadra che Clough allenò, Taylor è un fantastico scopritore di talenti e con Brian, pur dovendone sopportare il carattere spigoloso e irascibile, l’esatto contrario del suo, costituisce un fantastico sodalizio.
Al Brighton però qualcosa si rompe: nel 1973 l’Inghilterra, che grazie alle parate di Tomaszewski non si è qualificata al Mondiale del 1974 nella decisiva partita con la Polonia, saluta Alf Ramsey, l’uomo del titolo iridato del 1966. La FA non ha dubbi: sarà Revie ha ereditarne il posto. Già, ma a a questo punto la panchina del Leeds resta vuota. Turandosi il naso su quante accuse la squadra aveva ricevuto da Clough e quante volte l’allenatore avesse infangato il nome di Revie, il board sceglie proprio lui. Nel luglio del 1974 Brian sbarca nello Yorkshire e detta subito le regole: gioco pulito, rispetto degli avversari e consenso popolare. Roba difficile da inculcare a gente come Bremner o Giles, che preferivano piantare i tacchetti sulle gambe altrui e farsi squalificare.
La squadra non gradisce Clough, lo spogliatoio gli si rivolta contro e anche l’assenza della spalla Taylor mette l’allenatore in un mare sconosciuto. L’idea di quanto la situazione fosse complessa, l’ha data proprio David Peace nel libro:
[Salgo sul pullman per ultimo e faccio spostare Allan Clarke per potermi sedere di nuovo vicino a Billy Bremner. Cerco di attaccare discorso. Di rompere il ghiaccio. Ma a Billy Bremner non frega un cazzo del presidente Nixon o di George Best. Non gli interessano Frank Sinatra o Muhammad Ali. Non vuole parlare dei mondiali, di com’è giocare contro il Brasile. Non vuole parlare delle sue vacanze. Della sua famiglia men che meno. Bremner non fa altro che guardare fuori dal finestrino e fumare per l’intero tragitto fino a Birmingham. Poi, mentre il pullman entra al Villa Park si volta verso di me e dice: “Se sta cercando un amico, signor Clough, non si rivolga a me”]
Il primo appuntamento ufficiale, lo vince il Liverpool. Il Leeds viene battuto ai rigori a Wembley, in quello che fu l’ultimo trofeo di Bill Shankly prima che arrivassero le dimissioni. L’allenatore che aveva costruito e plasmato il Liverpool dandogli la dimensione che conosciamo oggi, non le mandava a dire a Clough:
“E’ come la pioggia a Manchester. Solo che ogni tanto la pioggia smette”.
La parabola di Clough al Leeds dura 44 giorni. La sua carriera pare finita in un vicolo cieco, sin quando arriva la chiamata del Nottingham Forest. Clough travolge tutto e tutti, brevettando la sua vendetta. Nel 1978, così come era accaduto a Derby, il Nottingham vince il suo primo titolo. Nel frattempo, Peter Taylor è tornato al suo fianco e il City Ground va in visibilio, consapevole che si può costruire qualcosa di grande. Cosa che puntualmente accade: nel 1979 arriva addirittura la prima Coppa dei Campioni in finale con il Malmoe: Trevor Francis, che giocherà anche in Italia con Sampdoria e Atalanta, è il match-winner.
Bis l’anno successivo, a Madrid: battuto l’Amburgo con una rete di Robertson. Il sodalizio con il Forest durerà sino a fine carriera, nel 1993. Nel maggio di quell’anno Clough lascia il City Ground in lacrime, nel tripudio dei tifosi rossi. Nel frattempo però, nuove nubi si erano addensate sul suo sodalizio con Taylor. Nel 1982, anche per via delle sue condizioni di salute, il suo vice lascia il Nottingham. Quando però il Derby County lo chiama sulla sua panchina, Taylor accetta e Clough gli voltà definitivamente le spalle. Non si riappacificheranno più sino al 1990, quando Taylor scompare lasciando il suo ex collega e amico in mezzo ai rimpianti e ai rimorsi.
Nel 2002 esce la biografia di Clough. Titolo? Walking on the water e due anni dopo l’ex allenatore del Forest muore proprio a Derby. Perché Clough era un antesignano di Mourinho, per cui può piacere (raro) o non piacere, ma non ci si deve stupire se riteneva di camminare sull’acqua. E in larga parte, c’è anche riuscito. A Nottingham, oggi, gli hanno dedicato una tribuna al City Ground, e una statua, in centro città. Incise sul pavimento, intorno alla base, le sue celebri citazioni, tra cui “Se Dio avesse voluto che giocassimo in cielo, avrebbe messo là l’erba”.
Palla a terra e via verso la gloria: firmato Brian Clough, il miglior allenatore d’Inghilterra.