Tennis overdose? I giocatori chiedono meno tornei e niente maratone

La rivolta dei tennisti infiamma il circuito: “Basta tour de force estenuanti, vogliamo più riposo e meno obblighi”

Jannik Sinner si è ritirato clamorosamente dal Masters 1000 di Parigi-Bercy, gettando benzina sul fuoco della polemica sui calendari estenuanti del tennis moderno. L’altoatesino, reduce dalla maratona notturna contro Mackenzie McDonald conclusasi alle 2.37, ha alzato bandiera bianca prima del match con Alex De Minaur in programma solo 14 ore e mezzo più tardi. Una decisione sofferta, ma saggia, dettata dall’istinto di autoconservazione di fronte ad una tabella di marcia senza respiro tra un impegno e l’altro.

Sinner non le manda a dire, puntando il dito contro una programmazione scellerata che non tiene conto dei rischi per l’integrità fisica dei giocatori. Un segnale forte, la prova che anche le nuove leve non sono più disposte a farsi logorare da un circuito sempre più esasperato. La protesta dell’altoatesino fa rumore e rilancia con vigore il dibattito: è tempo di ripensare il calendario tennistico e restituire centralità al benessere degli atleti.

La protesta di Sinner contro i calendari estenuanti del tennis ha trovato ampio sostegno tra i colleghi, innescando una sollevazione corale contro l’ATP. In prima fila Casper Ruud, che con amaro sarcasmo ha bacchettato gli organizzatori di Parigi:

“Bell’aiuto al recupero di Sinner, complimenti ATP! Farlo rigiocare 14 ore dopo aver finito alle 2.37 di notte è una presa in giro”.

Parole che svelano la frustrazione di tanti tennisti, costretti agli straordinari e privati del giusto riposo tra un match e l’altro. Ritmi massacranti che minano salute e performance: una deriva inaccettabile per Ruud e colleghi, che invocano urgenti correttivi al calendario. La ATP è messa spalle al muro: il malcontento monta e la protesta di Sinner rischia di fare da apripista ad una rivolta più ampia. I giocatori sono stanchi di essere spremuti come limoni e non possono più tacere. Si prospettano settimane di fuoco, dentro e fuori dal campo?

La protesta è un tema che affonda le radici nell’intasamento dei calendari, con tornei a catena senza soluzione di continuità tra un lunedì e l’altro. Gli organizzatori sono incatenati alla domenica come deadline inderogabile per chiudere le manifestazioni, pena lo slittamento a cascata degli eventi successivi. In questo contesto, le sessioni serali fino a notte fonda diventano l’unica ancora di salvezza per incastrare tutti gli incontri, con buona pace di atleti esausti. A ciò si aggiungono le esigenze televisive e degli sponsor, che impongono le partite nobili nel weekend in fasce prestabilite.

Ancora una volta, le maratone notturne finiscono nel mirino

La durata potenzialmente infinita delle partite di tennis si scontra con la programmazione forzata dei tornei, generando situazioni paradossali e logoranti. Ne sa qualcosa Andy Murray, che agli Australian Open tuonò contro il sistema dopo aver battagliato fino alle 4 del mattino contro Kokkinakis. Una “farsa” a detta dello scozzese, emblematica di un circuito allo sbando, in cui atleti esausti vengono spremuti fino all’alba pur di portare a termine il palinsesto. Sempre più spesso i match si trascinano fino a notte fonda, mettendo a dura prova il fisico dei protagonisti. È il grido d’allarme di Murray, che si unisce al disappunto di Sinner e colleghi: il tennis deve cambiare rotta, prima che sia troppo tardi. Serve un calendario più umano, che anteponga salute e riposo al business. Anche a costo di rivoluzionare un sistema ormai allo stremo.

Il tennis professionistico maschile è un treno ad alta velocità senza fermate

Nel circuito ATP fioccano tornei su tornei: 42 eventi 250, 11 da 500 punti, 9 Master 1000. A completare il calendario extralarge, le Atp Finals per i Top 8 della stagione e i 4 Slam bisettimanali. Un’overdose di impegni rafforzata dalla Coppa Davis tra nazionali. Numeri che la dicono lunga sull’infernale tour de force imposto ai tennisti, costretti alla perenne rincorsa di punti e prize money. Un logorante pendolarismo globale tra un continente e l’altro, con rare pause per rifiatare. È inevitabile che prima o poi il fisico presenti il conto, tra infortuni, crisi di motivazione e burnout.

L’infernale tour de force del circuito ATP si regge su rigorosi obblighi di partecipazione che dissanguano i big. Per i top 30, giocare 18 tornei l’anno è un minimo sindacale: i 4 Slam, 8 dei 9 Masters 1000, 4 eventi 500 e almeno 2 tornei 250. Un lungo elenco di impegni tassativi che riempie 10 mesi di logorante pendolarismo globale. Spesso però non basta per scalare il ranking e molti giocatori finiscono per disputare ben più di 18 competizioni. Un stillicidio di partite ed allenamenti che prosciuga il serbatoio fisico e mentale.

Il sistema di punteggio ATP alimenta il sovraccarico di impegni

L’obbligo di difendere i punti conquistati l’anno prima, pena la retrocessione in classifica, spinge i tennisti a giocare senza sosta. Un circolo vizioso logorante, amplificato per chi esce presto e deve rimbalzare da un torneo all’altro nella speranza di riscattarsi. Ogni trasferta ha costi non indifferenti per queste “aziende ambulanti” fatte di allenatori e staff da pagare. I meno blasonati sono i più vulnerabili: raccolgono pochi punti, incassano premi ridotti, ma devono sobbarcarsi il peso di viaggi intercontinentali per inseguire la qualificazione. È il cortocircuito di un sistema che va in direzione opposta al benessere degli atleti.

Il grido d’allarme di Sinner fa luce su una piaga che affligge tanto il circuito ATP quanto quello WTA. Anche le tenniste sono intrappolate nella spirale infernale di un calendario ipertrofico, costrette agli straordinari per rincorrere punti e visibilità. Due facce della stessa medaglia. Nel corso degli anni la WTA ha aumentato a dismisura il numero di tornei, con le giocatrici migliori obbligate ad un logorante tour de force globale. Come i colleghi uomini, sono atlete-aziende che si sobbarcano massacranti trasferte intercontinentali, tra jet lag e fusi orari. Il rischio è lo stesso: infortuni, crolli motivazionali, esaurimento nervoso. Anche nel tennis femminile, è tempo di cambiare rotta.

L’inasprimento del calendario ATP e WTA per il 2023 suona come una doccia gelata per i tennisti

Le richieste di alleggerire la stagione, reiterate negli anni, sono cadute nel vuoto. Anzi, i due circuiti hanno accelerato in direzione opposta, prolungando la durata di alcuni Masters 1000 da una a due settimane. Roma, Madrid e Shanghai ospiteranno 96 giocatori anziché 56, raddoppiando le maratone. Un trend che coinvolgerà altri due di livello 1000 dal 2025 e che ha già investito Miami e Indian Wells. Solo due eventi rimarranno settimanali. È un giro di vite che ignora i moniti di atleti stremati, obbligati a rispondere presente per punti e compensi.

Gli Internazionali di Roma 2022 certificano il fallimento della formula allungata a 12 giorni. La prima edizione si è trasformata in un caos, tra match interrotti per pioggia e un’agenda impazzita. Ritardi a catena hanno costretto a far disputare la finale femminile di sabato alle 23, privando le giocatrici della cornice di pubblico adeguata all’evento. Una gestione pasticciata e improvvisata, suggellata da una premiazione sbrigativa dopo la mezzanotte. Si è rivelato controproducente allungare le manifestazioni senza prevedere un piano B in caso di contrattempi meteorologici.

Il caso Sinner suona come una sveglia per scuotere il torpore di ATP e WTA

L’associazionismo può essere la chiave per tornare a mettere al centro le esigenze dei giocatori, come ai primordi dei due circuiti. La PTPA di Novak Djokovic e Vasek Pospisil raccoglie il disagio diffuso e fa pressing per un cambiamento radicale. Riduzione drastica degli impegni, stop ai match in tarda notte: le richieste sul tavolo sono chiare. Per riconquistare credibilità, i board ATP e WTA devono mostrare coraggio e lungimiranza, anche a costo di sfidare le logiche del business. È tempo di rimettere la salute degli atleti davanti a tutto, o la ribellione di Sinner rischia di essere solo l’antipasto.

Il bivio è dietro l’angolo: o una svolta verso un tennis più sostenibile o il definitivo divorzio tra chi gestisce e chi gioca. La palla passa ora nel campo dei player.

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