Riassunto di una carriera mai esistita e definizione di un modello ideale di calciatore.
Negli ultimi anni, la leggenda di Tomas ‘El Trinche’ Carlovich è venuta faticosamente a galla. L’Europa ha conosciuto il mito e l’aneddotica di contorno che consacrano un presunto giocatore di calcio argentino degli anni settanta. Non abbiamo garanzie se quanto si narri sul suo conto sia vero, non esistono filmati che provino che veramente quello fu il miglior calciatore mai esistito. Ciò che sappiamo su Carlovich proviene da testimonianze più o meno romantiche, racconti solo in parte verosimili. La storia de ‘El Trinche’ rimane in sospeso fra la favola per bambini che si avvicinano al pallone e il trattato di estetica dello sport.
Per quel che ne possiamo sapere, la leggenda de ‘El Trinche’ rimane un modello ideale del calcio e del calciatore. Due sono gli approcci al pallone più diffusi: da una parte, c’è il paradigma che vuole il calcio come battaglia e il calciatore come combattente; dall’altra, abbiamo il calcio come arte e il calciatore come esteta. Sono due chiavi di lettura della stessa attività che stanno agli antipodi, due poli che sul piano ideale rimangono inconciliabili ma che nella realtà trovano sempre una sintesi. Ecco perché serve una favola solo parzialmente corrispondente alla realtà per dare un volto all’ideal-tipo del calciatore artista. Questo, ad oggi, è il ruolo de ‘El Trinche’ Carlovich: essere un modello ideale, un’utopia, una costruzione teorica inconciliabile con le esigenze pratiche del gioco.
La storia del calciatore mai esistito è piuttosto nota. Tomàs Carlovich nasce Rosario, capoluogo della provincia di Santa Fe, nel 1949. Settimo figlio di un immigrato croato, incomincia ad accarezzare il pallone nei ‘barrios’ della città prima e sotto la guida del suo maestro, ‘Il Vasco’ Artola, più tardi. Le sue lodi incominciano a essere tessute fin dai settori giovanili, ma a differenza di alcuni concittadini più celebri (tipo Messi e Di Maria), il calcio professionistico fatica ad accettarlo. Anzi, per correttezza di giudizio, è lui che fatica ad accettare il calcio professionistico. Gioca davanti alla difesa, libero di inventare la partita a suo personale gradimento. Milita principalmente nelle squadre di Rosario, senza riuscire a emergere nella prima serie argentina, ma il suo nome è un fantasma che gravita negli spogliatoi di quasi tutti i club del Paese.
La partita che traccia i contorni della leggenda è un’amichevole fra la nazionale argentina e la selezione di Rosario tenutasi nel 1974, prima che la squadra guidata da Vladislao Cap parta per il mondiale di Germania. Al 45esimo il risultato è 3 a 0 per i rosarini e, a quanto si pare, l’albiceleste non vede la palla per tutto il primo tempo. Si narra che negli spogliatoi, il commissario tecnico implorò o comandò all’allenatore della selezione di togliere ‘El Trinche’ per fermare l’attacco di labirintite dei suoi giocatori umiliati da tunnel, doppi tunnel e sombreri nel mezzo del campo. Si narra, ma non si sa, perché nulla si sa con certezza quando si tratta di Carlovich.
Dopo quell’incontro, ‘El Trinche’ prosegue la sua militanza semi-professionistica giocando per il Central Cordòba e nel Rosario Central, neanche a dirlo, squadre di Rosario. Tomàs Carlovich deve necessariamente vivere in quella dimensione privata: accanto ai suoi genitori, vicino al suo bar, al suo maestro e ai suoi amici. Pare che quel talento possa esprimersi solo a patto che sia cullato dagli affetti e dalle sicurezze. Non abbandona mai la sua città per lungo tempo in cerca di gloria. Non lo fa nemmeno quattro anni più tardi, quando, nel 1978, viene convocato dal CT Menotti per un provino in nazionale. L’esordio con “La Selecciòn” non arrivò mai, spunta invece un episodio che contribuisce a esaltare la leggenda. Questa volta si racconta che Carlovich partì effettivamente per Buenos Aires, ma che fermatosi a pescare durante il viaggio non sia più ripartito perché i pesci abboccavano. Non sembra il ragionamento di una persona sana e per questo lo scetticismo è d’obbligo su questa vicenda, ma tutto fa brodo se vogliamo costruire l’idea del calciatore artista.
La grazia dei movimenti e del gesto tecnico, le scelte visionarie espresse in mezzo al campo; la violenza gratuita, brutale e immediata nei confronti degli avversari; la tipica indolenza slava verso i doveri, gli allenamenti e il lavoro fisico: tutto di ciò che si racconta de ‘El Trinche’ contribuisce a tratteggiare quel modello ideale di calciatore esteta. Tomàs Carlovich è Jackson Pollock catapultato su un prato con una palla. Esiste nell’immaginario, è qualcosa a cui si può scegliere di tendere ma che non sarà mai raggiunto.
Autore: Antonio Alberti