Le Olimpiadi, il CIO, lo sport e il mondo intero sono “colpiti in pieno volto” da quei pugni lanciati al cielo messicano dai due atleti afroamericani. E da quel momento tutto cambiò.
Il 1968 è un anno di grandi sconvolgimenti politici e sociali che travolgono l’Europa e gli Stati Uniti: si crea nelle nuove generazioni la cosiddetta “coscienza di classe”, i figli non vedono più nei genitori, nei professori e in generale negli adulti tout court, degli esempi da seguire. Gli stessi sono da ora in avanti delle istituzioni da “abbattere” e da “scavalcare”.
Per la prima volta nella Storia studenti ed operai si uniscono nelle proteste, nascono comitati unitari e le lotte passano dai banchi delle università alle officine e alle fabbriche.
In Italia Torino e Milano, assieme alla Capitale, sono le città capofila della protesta; in Europa si guarda a Parigi e al Maggio francese per trovare ispirazione per la rivolta; negli USA New York e i campus universitari californiani tirano le fila delle proteste contro il razzismo e la guerra in Vietnam.
Questi luoghi, tutti diversi fra loro e con lotte che in alcuni casi si sfiorano ma difficilmente si mischiano, hanno in comune fra loro la voglia dei giovani e dei lavoratori del cosiddetto proletariato di cambiare una società vecchia e inadatta ai nuovi tempi.
E nello sport? I Giochi olimpici di Città del Messico (più che quelle di Roma ’60, dove per la prima volta la più antica manifestazione sportiva gode di copertura televisiva planetaria) sono la chiave di volta tra la vecchia concezione di sport e di sportivi e la nuova era che si sta aprendo (il dibattito tra “dilettantisti” e “professionisti” è agli albori anche nel cosmo olimpico).
Il 16 ottobre tutto cambia: Tommie Smith e John Carlos salgono alla ribalta delle cronache (non tanto per meriti sportivi nonostante ne avrebbero tutto il diritto visto il primo e il terzo posto nella gara dei 200 metri piani e con il tempo stratosferico fatto segnare da Smith, quel 19”83 che rimarrà record del mondo per undici anni, quando sempre a Città del Messico Pietro Mennea da Barletta lo abbatte ed entra nella Storia) per i loro pugni alzati sul podio.
Le Olimpiadi, il CIO, lo sport e il Mondo intero sono “colpiti in pieno volto” da quei pugni lanciati al cielo messicano dai due atleti afroamericani. Tutto cambia.
Per capirne di più abbiamo fatto una chiacchierata con Dario Ricci, autore di svariati libri (Oro azzuro, Oro bianco, I ragazzi di Brema, La meglio gioventù, tutti editi da Infinito edizioni, sono solo alcuni suoi titoli, a cui ultimamente si è aggiunto Cuore di cobra, confessioni di un ciclista pericoloso. Scritto assieme a Riccardo Riccò, protagonista del libro edito da Piemme) e giornalista di Radio24, per la quale conduce il programma Olympia, che proprio in questi giorni sta trattando l’argomento dei Giochi di Città del Messico.
Quello che si prepara a Messico ’68 è un Mondo diverso da quello fino a quel momento conosciuto. Lo sport, o meglio, le istituzioni sportive, si fanno trovare pronte di fronte a questa nuova era o si dimostrano completamente impreparate?
”Il movimento olimpico si trovò spiazzato, come tutti del resto, rispetto al fermento del ’68: l’assassinio di Martin Luther King, l’assassinio di Bob Kennedy, il Maggio francese, la Primavera di Praga e la conseguente repressione sovietica avrebbero “ammazzato un toro” per l’onda d’urto provocata. In più c’era aperto il dibattito sul boicottaggio dei Giochi di Città del Messico che già era stato anticipato negli anni precedenti dagli atleti afroamericani. Questa ipotesi poi rientrò anche per intervento del CIO stesso ma lasciò aperto lo spiraglio ai possibili gesti individuali di contestazione, cosi come avvenne in maniera non unica ma clamorosa sul podio dei 200 metri piani. Per cui era un CIO che allora come oggi doveva confrontarsi con la realtà di un Mondo che stava cambiando, tenendo conto anche di quanto fosse vivo il dibattito sul dilettantismo sportivo professato da Brundage (presidente del CIO), mentre invece il professionismo per gli atleti era la misura che apriva lo sport d’alto livello anche a ceti più popolari”.
Piazza delle Tre Culture è una delle piazze più importanti di Città del Messico e proprio lì, nel cuore della Capitale e quindi dello Stato, gli studenti messicani si danno appuntamento per manifestare pacificamente contro il presidente Diaz e i costi, che crescono sempre più, sostenuti dal Paese per far fronte all’organizzazione di questa manifestazione così importante. La risposta delle forze dell’ordine fu tremenda: centinaia di morti (non si conosce tutt’ora il numero preciso) e migliaia di feriti, con colpi d’arma da fuoco sparati volontariamente ad altezza uomo. Ti andrebbe di parlarcene e di dirci di chi sono le responsabilità di tale reazione?
”Di fatto piazza delle Tre Culture è il simbolo del ’68 messicano; il movimento studentesco era sceso in piazza quel giorno, il 2 ottobre, ma anche nei mesi precedenti, per chiedere un radicale cambiamento nella gestione dell’università e una maggiore democratizzazione della società messicana. Chiaramente, come sempre accade in questi casi, il movimento era un “fiume” che attraversava la società messicana ma non la rappresentava in toto, questo va detto, così come era in Europa e negli USA. Diaz Ortaz, presidente messicano, già l’anno successivo si fece carico formalmente delle responsabilità di quanto accaduto e il processo che ne seguì rivelò l’esistenza di un piano predeterminato a provocare gli studenti e dare il là ad una repressione sanguinosa. La rivelazione di questo piano mise in luce anche la presenza in piazza di agenti della CIA, che monitoravano già dalle proteste precedenti i movimenti e le azioni del movimento studentesco”.
Gli USA si presentano come la solita macchina sportiva perfetta e a fine Olimpiade il conteggio delle medaglie dirà 107 (45 ori, 28 argenti e 34 bronzi) e primo posto nel medagliere davanti all’URSS, che si ferma a 91, e al Giappone, 25. Tra queste medaglie targate USA ve ne sono due, un oro e un bronzo, che vengono conquistate da Tommie Smith e John Carlos, velocisti a stelle e strisce che le fanno loro nei 200 metri piani. Chi sono questi due atleti?
”Tommie Smith e John Carlos erano due atleti poco più che ventenni che avevano conosciuto fin dall’infanzia le conseguenze della discriminazione razziale a causa del colore della loro pelle. Si presentavo come l’eccellenza dello sprint mondiale, in particolare Tommie Smith, accreditato come grande favorito per la finale dei 200 metri, ma anche lo stesso John Carlos si era dimostrato nel pre-olimpico sprinter con uguali possibilità di essere protagonista nella finale. Non erano dunque due sconosciuti, ma due atleti di punta della nazionale statunitense”.
Tommie Smith vince i 200 metri, John Carlos arriva terzo e tra i due si piazza un incredulo Peter Norman, atleta australiano vera sorpresa della gara. La figura di Peter Norman non è assolutamente secondaria nel gesto che passerà alla storia durante la premiazione della gara. Ci puoi raccontare per quale motivo la figura dell’australiano è così importante?
Peter Norman è una figura straordinaria, protagonista non secondario di quella giornata.
”L’episodio del podio è studiato nei minimi particolari da Smith e da Carlos e nella mezzora che precede la premiazione i due avvisano Norman di quanto hanno intenzione di fare sul podio e lui, in virtù della sua storia personale (venendo da ceti popolari di Melbourne e avendo partecipato con la sua famiglia a delle campagne di sensibilizzazione per il rispetto dei diritti degli aborigeni, nonostante la sua pelle bianca) condividendo buona parte degli ideali dei suoi compagni di podio, aderisce alla protesta: si fa dare da un canoista americano che si trova nel tunnel dello stadio di Città del Messico una spilla dell’Olympic project for human rights, che era un programma messo a punto dal Professor Edwards per il superamento del razzismo nell’ambito sportivo e universitario, quindi sale sul podio con questa spilla e aderisce alla protesta di Smith e Carlos facendola sua e prendendosi rischi anche più grossi, non avendo alle spalle una comunità come quella afroamericana disponibile ad aiutarlo. Ne pagherà le conseguenze, venendo messo “alla porta” dal movimento sportivo australiano che gli negherà la possibilità di partecipare alle Olimpiadi del 1972. Addirittura non verrà invitato dal Comitato olimpico australiano ai Giochi di Sidney 2000, riuscendo a partecipare a quelle Olimpiadi solo in quanto invitato del Comitato olimpico americano. Nel 2006 muore e Smith e Carlos si recano in Australia per rendergli omaggio e trasportare la sua bara a spalle. Solamente nel 2012 arriveranno le scuse ufficiali del Parlamento australiano a questo grande uomo e atleta. C’è però anche lui in quella statua che oggi campeggia nel cortile della San Josè University. O meglio, ci sono le sue impronte sul secondo gradino del podio, e lui stesso apprezzò questa decisione da parte dell’autore della statua. Il giorno dell’inaugurazione della statua Norman dichiarò che i protagonisti di quel gesto erano sicuramente Smith e Carlos e che lui aderì alla protesta in quel momento, ma che adesso siamo tutti chiamati ad essere Peter Norman, ad aderire a quella battaglia. Per cui tutti noi ora siamo chiamati a salire su quella statua e svolgere il nostro ruolo, a prendere il nostro podio come fosse una responsabilità nel confronto di noi stessi e della nostra generazione”.
Tommie Smith e John Carlos hanno pagato per questo gesto?
”Come dicevamo sì, Smith e Carlos pagarono duramente per la loro protesta, vennero espulsi dalle Olimpiadi e di fatto vennero messi “al bando” per decenni (la puntata di Olympia di domenica 14 ottobre è dedicata proprio a questo argomento. Per chi fosse deciso ad approfondire può trovare il podcast sul sito di Radio24). Smith e Carlos si ritrovarono ridotti in povertà e le loro famiglie si sfasciarono poco a poco. Addirittura Carlos fu costretto quasi a prostituirsi per mantenere la famiglia e arrivò al punto di bruciare parte del mobilio di casa per garantire un po’ di calore nei rigidi mesi invernali ai figli ed alla moglie”.
Chi decise di farla pagare a due atleti afroamericani fu Avery Brundage, presidente del CIO, che come ci hai appena spiegato decise di espellere i due atleti dalla competizione olimpica. Brundage è però un personaggio “particolare” e per questo mi sono chiesto più volte, e ora provo a chiederlo a te visto che io non riesco a darmi una risposta convincente, come mai a Berlino ’36, dove Brundage è presidente del Comitato olimpico statunitense, non ha nulla da ridire sul Terzo Reich, tanto da non sentire le ragioni di chi vorrebbe che gli USA boicottassero la manifestazione, mentre invece è così duro con i due atleti afroamericani…
”Brundage ai tempi della sua presidenza del Comitato olimpico americano poco faceva per nascondere le sue simpatie verso la Germania e il suo spirito filo-nazista. Da sempre Avery Brundage fu fautore di due linee: il dilettantismo olimpico, che era una scelta quanto mai elitaria, in quanto se lo sportivo doveva essere dilettante poteva essere sportivo solamente chi aveva tempo da dedicare allo sport, e cioè i ricchi e i nobili; la sua seconda linea fu quella della non commistione della politica con lo sport, che era però di fatto un paravento per accettare lo Status quo di qualsiasi contesto politico nel quale Giochi e manifestazioni sportive venissero ospitati. Lungo queste due direttrici Brundage sviluppò una gestione del CIO assolutamente conservatrice, se non reazionaria”.
Un’ultima domanda Dario: hai un libro su tutti da consigliarci su queste Olimpiadi e sui loro protagonisti?
”Te ne dico due: “E d’improvviso successe un sessantotto” di Giorgio Cimbrico, Absolutely Free Libri, 2018, e soprattutto “Trentacinque secondi ancora. Tommie Smith e John Carlos: il sacrificio e la gloria” di Lorenzo Iervolino, 66thand2nd, 2017. Consiglio poi a tutti di ascoltare le puntate di Olympia, tutto il mese di ottobre è dedicato al 1968 e in particolar modo alle Olimpiadi di Città del Messico. Potete seguirci in diretta la domenica alle 16.30 oppure scaricare il podcast dal sito di Radio24”.
Di Davide Ravan