La BBC chiude Top Gear, la trasmissione-cult che ha rivoluzionato il modo di parlare di automobili in TV
La notizia della cancellazione di “Top Gear” da parte della BBC dopo oltre 21 anni di programmazione ha lasciato gli appassionati di motori letteralmente a bocca aperta. Una decisione repentina, arrivata a seguito dell’incidente occorso al presentatore Freddie Flintoff, che ha riportato gravi ferite durante le riprese di una puntata.
Eppure, dietro questa scelta si nasconde forse la volontà della BBC di dare una svolta al format dello show, rendendolo più “politically correct” e meno basato sugli eccessi a quattro ruote che hanno decretato il successo della trasmissione. Addio dunque a test drive estremi, acrobazie al limite e messa alla prova di bolidi da corsa: probabilmente le alte sfere televisive hanno colto la palla al balzo per cancellare un programma che, secondo alcuni, propagava un’immagine troppo spregiudicata dell’automobilismo.
Peccato, perché è proprio questo il bello di Top Gear: vedere auto straordinarie portate fino al limite dai suoi folli conduttori, sempre pronti a tutto pur di realizzare le puntate più adrenaliniche e divertenti. Un appuntamento imprescindibile per gli amanti dei motori che difficilmente verrà dimenticato.
TOP GEAR HORROR
L’incidente occorso a Flintoff durante le riprese ha sollevato non poche polemiche sulla sicurezza adottata dalla produzione dello show. Le dinamiche dell’accaduto non sono mai state chiarite fino in fondo, con la BBC che ha mantenuto un assordante silenzio sulla questione, forse per evitare ulteriori critiche. Certo è che il risarcimento milionario di 9 milioni di sterline versato al presentatore fa riflettere su quanto realmente grave possa essere stato l’incidente.
Inoltre, stando a quanto riportato dal ‘Guardian’, la successiva indagine sui protocolli di sicurezza dei programmi BBC avrebbe evidenziato delle falle importanti nella gestione dei rischi legati alle esibizioni automobilistiche del programma. Sembrerebbe infatti che la produzione abbia frequentemente sottovalutato i pericoli a cui esponeva conduttori e ospiti, pur di garantire adrenalina e spettacolo ai telespettatori.
Già nel 2006, il conduttore Richard Hammond era rimasto gravemente ferito guidando un potente dragster da corsa, che si era ribaltato a causa di un guasto meccanico. Anche in quel caso, soltanto il casco aveva evitato la tragedia. La sfrenata ricerca dello spettacolo e del test drive estremo, da sempre marchio di fabbrica di Top Gear, si è troppo spesso scontrata con l’imprevedibilità e i pericoli del motorsport.
Forse la BBC ha colto l’occasione al volo per cancellare uno show che, tra polemiche e incidenti, stava diventando un potenziale autogol a livello di immagine, ma rimane l’amaro in bocca per la fine ingloriosa di un programma leggendario.
TOP GEAR IMPAZZISCE!
Top Gear negli anni è profondamente cambiato, passando da sobrio programma motorsportivo a fenomeno di culto internazionale, grazie allo stile irriverente e provocatorio dei suoi conduttori. Agli esordi, dal 1977 al 2001, lo show era una tranquilla trasmissione di 30 minuti made in BBC Birmingham, che recensiva auto con toni pacati e approccio tecnico.
Poi nel 2002 ecco la svolta: arrivano Jeremy Clarkson, James May e Richard Hammond. Tre mattatori dalla vena caustica e umoristica, che con le loro sgommate, acrobazie al limite e recensioni dissacranti di bolidi extralusso, trasformano il programma in un cult seguitissimo nel mondo.
Uno show amato dagli appassionati di auto, ma spesso criticato per certi eccessi e l’apologia della velocità. Una deriva incontrollata verso test al limite, a scapito della sicurezza di conduttori e ospiti. Un’evoluzione che ha decretato il successo del programma, ma anche la sua rovina. Con buona pace della sobria trasmissione che negli anni ’70 parlava di auto in modo pacato per 30 minuti.
TOP GEAR DA GUINNESS
Con i suoi circa 350 milioni di spettatori nel mondo, Top Gear può vantare a pieno titolo il record di show automobilistico più seguito al mondo. Un successo planetario certificato dal Guinness dei Primati e trainato dallo stile dissacrante dei suoi mattatori, ma anche da rubriche cult come la “Star in a Reasonably-Priced Car”. Qui le celebrità, spesso vip britannici, venivano intervistate da Clarkson per poi cimentarsi in prove di velocità a bordo di utilitarie da strapazzo. Il tutto tra skid, derapate e tempi record da battere, in pieno stile Top Gear.
The Stig e le sue misteriose origini hanno contribuito non poco al successo globale. Quella sagoma completamente vestita di bianco, con volto nascosto dal casco integrale, è diventata un’icona del programma quanto i suoi mattatori Clarkson, Hammond e May. I tre conduttori hanno costruito attorno alla figura del pilota collaudatore una mitologia fatta di speculazioni, false piste, presunti avvistamenti e parentele improbabili. Un alone di mistero che ha catturato l’immaginario degli spettatori, desiderosi di scoprire la vera identità che si celava dietro la tuta bianca.
SENZA FRENI
Non è mai stato uno show per palati fini o cultori dell’automotive. Piuttosto, un programma di puro intrattenimento costruito su stereotipi, battute sopra le righe e un’ironia spesso borderline, quando non decisamente politicamente scorretta. I tre conduttori incarnavano alla perfezione questa deriva goliardica: Clarkson il machista ossessionato da potenza e cilindrate, Hammond l’americano lover delle muscle car, May il saputello calmo e distaccato. Un mix esplosivo, capace di attirare l’attenzione ma anche numerose polemiche.
Già nel 2007 Clarkson venne accusato di omofobia per aver definito una vettura “un po’ gay”. La sua indole sopra le righe, unita ad un carattere fumantino, gli è poi costata cara nel 2015 quando, in seguito ad una lite furibonda per un piatto freddo, arrivò addirittura alle mani con un produttore dello show. Una goccia che ha fatto traboccare il vaso: licenziato seduta stante.
ADDIO
Dopo l’aggressione al produttore, la parabola discendente di Clarkson e della “sua” Top Gear era segnata. La sospensione immediata dal programma e il successivo licenziamento sancirono la fine di un’era per lo show automobilistico più famoso al mondo. E dire che lo stesso Clarkson, forse in preda al rimorso, aveva subito informato i vertici BBC dell’increscioso episodio. Ma ormai anni di derive politicamente scorrette e bizze da primadonna non potevano passare impuniti: questa volta il “bad boy” della TV inglese aveva davvero passato il segno.
Da lì in avanti due strade parallele: Clarkson riparte con Hammond e May su Amazon con “Grand Tour”, con uno show molto simile al vecchio Top Gear, a conferma di come fossero proprio loro il cuore della trasmissione. La BBC tenta invano di rilanciare il format con nuovi conduttori, incassando però un netto calo di ascolti. In fondo il segreto del successo di Top Gear stava proprio nella chimica unica tra Jeremy e soci. Senza di loro, anche le auto più potenti sembrano viaggiare col freno a mano tirato. Game over.
L’ILLUSIONE COVID
La pandemia aveva paradossalmente risollevato le sorti del nuovo corso di Top Gear, con ascolti tornati su livelli precedenti all’addio di Clarkson e soci. Merito forse, come suggerito da Flintoff, delle puntate ambientate interamente nel Regno Unito, che avevano riavvicinato il pubblico britannico dopo anni di sfide oltreconfine. In effetti il COVID costringendo tutti in casa, in tanti avevano riscoperto piacere nel vedere la storica trasmissione BBC girare sulle strade di casa, tra paesaggi familiari e ospiti nostrani. Un ritorno alle radici, insomma, che aveva fatto dimenticare per un attimo la nostalgia di Jeremy & Co.
Poi però, gradualmente, il declino è ripreso. Complice il ritorno alla normalità, gli ascolti della ultime stagioni sono tornati ai livelli mediocri del post-Clarkson, nonostante il disperato tentativo di rilanciare l’appeal con un’edizione italiana del format condotta da Joe Bastianich, Guido Meda, Davide Valsecchi e The Stig, dal 2011 al 2016.
Evidentemente, per quanti sforzi si possano fare, Top Gear senza la sua storica line-up ha perso smalto e appeal. Quella magia fatta di chimica unica e politically uncorrect sembra ormai svanita per sempre. E nemmeno il richiamo della patria può riaccendere un format che ha perso la sua scintilla.