Siamo alle soglie dell’anno solare 1981. La Serie A si sta ancora leccando le ferite dopo lo scandalo del Totonero (Lazio-Milan quell’anno è il match clou della Serie B…) ed è alla ricerca di nuovi entusiasmi che riavvicinino la passione del pubblico al pallone. Da qui, ad esempio, la concessione ai club di ingaggiare un giocatore straniero: la fine di un embargo che durava dal 1966.
La lotta per il titolo è scoppiettante. Ci sono l’Inter campione in carica, la solita Juventus, la Fiorentina e la Roma. Proprio i giallorossi saranno in testa al “giro di boa”.
Arrivano però le festività. Come ogni anno, una o due settimane di pausa bisogna prevederle. In quel 1980-81 però la situazione è diversa: le settimane di stop dovranno essere addirittura tre.
La Nazionale di Bearzot, infatti, nella prima metà di gennaio avrebbe partecipato al Mundialito, una competizione non ufficiale organizzata in Uruguay. Un torneo che, almeno sulla carta (gli inglesi diedero forfait, venendo sostituiti dagli olandesi) doveva far incontrare le 6 squadre che avevano vinto almeno una volta i Mondiali.
Di fatto, uno spettacolino messo in atto dalla dittatura militare uruguayana per ritrovare consenso e distrarre la popolazione. Nonché una piccola macchina da soldi per le televisioni dei Paesi interessati.
Quindi, per permettere a un’Italia parecchio sperimentale di contribuire a quella passerella di regime (l’Uruguay avrebbe poi trionfato, come prevedibile) qua da noi il campionato si ferma dal 29 dicembre al 18 gennaio.
La Lega Calcio avverte la necessità di far qualcosa perché il pallone non smetta di rotolare per un così lungo periodo. Ed ecco l’idea: il Torneo di Capodanno.
I 16 club di Serie A vengono ripartiti in 4 gironi da 4. Le vincenti di ciascun raggruppamento vanno in semifinale. Inoltre, anche per compensare in qualche modo l’assenza degli azzurri impegnati oltreoceano, viene data la possibilità a ciascuna società di ingaggiare temporaneamente un secondo straniero.
Possibilità di cui si avvalgono solo in 3: l’Inter schiera il bosniaco Abid Kovacevic, l’Udinese l’austriaco Dieter Mirnegg, la Fiorentina lo svedese Mikael Roennberg.
Fin qui, tutto abbastanza normale. Le “singolarità” arrivano ora, e sono frutto di un cocktail ben assortito tra febbre da sperimentazioni ed esiguo tempo a disposizione per disputare la competizione.
Le giornate della fase a gironi sono 2 anziché 3. Avete capito bene: ciascuna squadra gioca contro soltanto 2 delle 3 avversarie del proprio gruppo.
Se si vince una partita con più di un gol di scarto, si ottiene 1 punto bonus in classifica. Presagio della riforma dei 3 punti di 14 anni dopo.
Ed ecco forse la stramberia maggiore: le rimesse laterali si possono battere indifferentemente o con le mani o con i piedi. Come a calcetto.
Dulcis in fundo, il calendario: fase a gironi dal 4 all’8 gennaio; semifinali l’11 gennaio; finale… il 14 giugno! Tanto che il Guerin Sportivo avrebbe poi titolato ‘Meglio tardi che mai’.
Come si può immaginare, gli allenatori approfittano di queste gare per dare minutaggio alle riserve e l’affluenza di pubblico è esigua, poco più di 4 mila spettatori di media a partita.
Juventus e Torino chiedono e ottengono di giocare sempre in trasferta onde evitare l’effetto “stadio vuoto” al Comunale.
Ma ora facciamo parlare il campo…
Il Girone A vede in testa l’Ascoli, che ha la meglio su Catanzaro, Avellino e Napoli. I marchigiani, che hanno appena esonerato mister Fabbri e vengono ora guidati dal mitico Carlo Mazzone, sono gli unici a non perdere nessuna delle due sfide. Decisivo per il primo posto è il 2-2 casalingo contro i partenopei, dopo il successo esterno per 1-0 in Calabria.
Il Girone B è quello “di ferro”, poiché sono presenti sia Roma che Fiorentina. Proprio le due big non s’incontrano tra loro. A passare il turno è la viola, che come l’Ascoli totalizza una vittoria (a Firenze, 2-1 sul Perugia) e un pareggio (1-1 nella vicina Pistoia). La formazione capitolina, invece, non va oltre l’1-1 sia contro gli umbri che contro la Pistoiese, che in campionato è fanalino di coda e chiuderà la stagione con una mesta retrocessione.
Il Girone C rispetta i pronostici della vigilia: arriva prima la Juventus. Ma la modalità di questo primato è piuttosto anticonvenzionale: entra in gioco il regolamento inconsueto del torneo. La Juve e il Cagliari arrivano infatti a pari punti, nonostante i sardi abbiano vinto 2 partite su 2 mentre i bianconeri hanno 1 vittoria e 1 pareggio. Già, ma la Vecchia Signora col Como ha prevalso per 3-1 e si è beccata il punto bonus, mentre la formazione cagliaritana batteva l’Udinese “solo” 1-0. Le due squadre sono appaiate a quota 4, con uguale differenza reti. Si guardano i gol fatti: 5 a 3 per la corazzata di Trapattoni. Isolani beffati.
Anche nel Girone D le bizzarrie regolamentari sono decisive. Ci sono ben 3 squadre a pari punti: il Torino, con 1 vittoria e 1 pareggio; il Bologna, che perde di misura col Toro ma poi batte l’Inter 3-1 e guadagna il punto bonus; e, per l’appunto, i nerazzurri, che prima di capitolare al Dall’Ara hanno sconfitto 2-0 il Brescia ottenendo per primi il punticino extra. In questo trio di contendenti tutte a 3 punti, la spuntano gli emiliani per differenza reti. Con un ringraziamento a Fiorini, in gol in tutti e due gli impegni. E un pensiero ai torinisti, fuori nonostante siano gli unici imbattuti del gruppo.
È l’ora delle semifinali.
L’Ascoli infiamma il proprio pubblico dominando la Fiorentina. Allo stadio Del Duca finisce 2-1 per gli uomini di Mazzone: incornata di Trevisanello e penalty di Scanziani. Gli ospiti, privi di Antognoni e Bertoni, riescono solo ad accorciare con Sacchetti.
Contemporaneamente, a Bologna va in scena un incontro più equilibrato. Anche troppo. I padroni di casa e la Juventus mantengono le reti inviolate e si va ai calci di rigore: a gioire è la Juve, il punteggio dei tiri dal dischetto è 4-3. Determinanti il palo del rossoblu Paris e la successiva rete di Bettega.
Ci avviamo ora a metà gennaio. È tempo di mettere in ghiaccio il Torneo di Capodanno. Torna la Serie A.
In quella primavera del 1981, le due future finaliste sono protagoniste di cammini molto diversi in campionato: l’Ascoli si salva per differenza reti (arrivata a pari punti con altre 4 squadre) mentre la Juventus si aggiudica lo scudetto, bruciando la Roma in volata (lo scontro diretto a Torino passa alla storia per il famigerato gol di Turone…).
Ed ecco arrivare finalmente, in una calda serata di metà giugno, la finalissima del Torneo di Capodanno.
In un Del Duca mezzo vuoto, l’Ascoli ospita la Juventus per rovesciare platonicamente le annose gerarchie tra i club italiani.
Mazzone schiera: Felice Pulici, Donato Anzivino, Simone Boldini, Gianfranco Bellotto, Angiolino Gasparini, Eugenio Perico, Carlo Trevisanello, Adelio Moro, Pietro Anastasi (un super ex), Alessandro Scanziani, Fortunato Torrisi.
Trapattoni risponde: Dino Zoff, Claudio Gentile, Antonio Cabrini, Beppe Furino, Sergio Brio, Gaetano Scirea, Domenico Marocchino, Marco Tardelli, Roberto Bettega, Liam Brady, Pietro Fanna.
Arbitra l’incontro il signor Franco Tonolini, padre del rinomato guardalinee Mauro attualmente in attività.
Prima del fischio d’inizio, minuto di silenzio in onore delle vittime del “rogo del Ballarin”, incendio scoppiato il 7 giugno nella curva sud dello stadio di San Benedetto del Tronto (proprio in provincia di Ascoli Piceno) in occasione di Sambenedettese-Matera di Serie C.
Il primo tempo è in linea con il mood del torneo: noioso. Nella Juve il solo Brady sembra avere la giusta verve, ma predica nel deserto, e l’Ascoli fa un’ottima figura.
Nell’intervallo allora Mazzone ha buon gioco nel caricare i suoi, e dopo 5 minuti della ripresa i padroni di casa passano: come nella semifinale contro la Fiorentina, è Trevisanello a sbloccare il risultato, stavolta non di testa bensì trafiggendo Zoff con un diagonale dal limite, dopo un break sulla trequarti e una triangolazione veloce con Moro a tagliar fuori Scirea.
La Vecchia Signora ferita si ridesta rabbiosa. Franco Causio entra al posto di un indolente Marocchino, Gentile si fa ammonire per proteste, e Tardelli trova il gol del pari anticipando il portiere avversario su un cross dello stesso Gentile.
Mancano 20 minuti alla fine dei tempi regolamentari, e il punteggio è sull’1-1. Ma questa è la storia a lieto fine della simbolica rivincita da parte di una “piccola”.
E quale episodio migliore di una decisione arbitrale a sfavore della “grande”… più grande di tutte? Minuto 81: nell’area juventina, Causio contrasta Perico e Tonolini concede un rigore generoso all’Ascoli. S’incarica della battuta Moro, che non sbaglia e firma il definitivo 2-1.
Sarà proprio Moro, il capitano, ad alzare il trofeo al cielo ascolano; per poi trasferirsi subito dopo al Milan, dove avrebbe conosciuto l’onta della retrocessione.
Questa finale fu l’atto di chiusura di un teatrino calcistico facilmente dimenticabile.
Dimenticabile tranne che per due gruppi di persone: i terremotati di Campania e Basilicata (sisma del 23 novembre 1980) ai quali viene devoluto l’incasso della finale, quasi 40 milioni di lire; e naturalmente i tifosi e gli addetti ai lavori dell’Ascoli Calcio, che esibiscono con orgoglio questo titolo nel palmarès.
Del resto, quello strambo Torneo di Capodanno del 1981 fa parte di un trittico di trofei minori vinti dall’Ascoli, società che a cavallo tra i decenni Settanta e Ottanta rappresentò un modello virtuoso di “calcio di provincia” sotto la guida del Presidentissimo Costantino Rozzi.
Nel giugno 1980, in Canada, era arrivata infatti la vittoria della Red Leaf Cup, in finale contro i Rangers di Glasgow (2-0: reti di Moro, sempre lui, e Perico). E nel novembre 1986 (allenatore Ilario Castagner) ecco il successo più prestigioso: la Coppa Mitropa, disputata in casa e decisa da un rigore trasformato da Fulvio Bonomi a 5 minuti dal 90esimo, nella finale contro il Bohemians Praga.
La storia del calcio italiano passa anche da piccole perle cadute nell’oblio.