Ventuno

Vent’anni fa, l’8 ottobre del 2000, l’indimenticabile vittoria di Michael Schumacher a Suzuka. Il tedesco, riporta il titolo mondiale alla Scuderia Ferrari dopo ventuno anni di digiuno.

Pazzi per Schumi, intitola la Gazzetta dello Sport del 9 ottobre 2000. Che Michael, a quel tempo, occupasse le prime pagine delle più importanti riviste di sport non era certo una novità. Anzi, il popolo ferrarista si era felicemente abituato a visualizzare il suo fotogramma vittorioso quasi ogni lunedì post gara. Il titolo che incoronava l’articolo pubblicato dopo il Gran Premio del Giappone, però, generava un’emozione diversa. Più forte, più soddisfacente, immensa. Esplosiva. Liberatoria.

Esattamente vent’anni fa, la leggenda tedesca riportava il Cavallino a cavalcare sul tetto del mondo della Formula 1 dopo ventuno anni di frustrante attesa. Era dal 1979, dall’iride di Scheckter, che la Ferrari non conquistava un titolo mondiale. L’incubo del digiuno era finalmente finito.

Per Schumacher, la vigilia della corsa asiatica è la più stressante di tutta la sua carriera. Nemmeno il giorno del suo esordio nella massima serie automobilistica, il 25 agosto ’91, era così teso. In palio, c’era decisamente qualcosa di diverso. A Suzuka, l’ansia gli dilania lo spirito.

Ha ottenuto la pole position a discapito di Mika Hakkinen per poco, ma non vuole soffermarsi a ipotizzare le sorti della domenica. Ai pensieri, preferisce una bella cena con la moglie Corinna. Al ristorante, però, nessuno vede arrivare i coniugi Schumacher: il futuro Campionissimo preferisce mangiare qualcosa a bordo pista, con i meccanici. Tanto nessuno di loro avrebbe dormito, sapevano che quella sarebbe stata la notte più lunga della loro vita.

Arriva l’8 ottobre. In Italia, la Formula 1 anticipa l’alba. Chissà quanti tifosi hanno trascorso le ultime ore come Michael e i suoi meccanici: se dovesse vincere, cambierebbe la storia della scuderia di Maranello per sempre. Forse anche la Rai è carica della stessa adrenalina, dopo aver mandato in onda a ruota libera servizi dedicati all’appuntamento in Giappone.

Suzuka, si parte. Hakkinen sopravanza il tedesco, che non molla. I due danno il via ad un duello sul filo dei decimi di secondo, ma dai box della Rossa qualcuno intuisce che difficilmente Schumi avrebbe potuto sorpassare il suo antagonista in pista. Seguendo i calcoli di Ross Brawn, infatti, dopo il secondo ed ultimo pit stop sarebbe dovuto uscire dalla pit lane davanti al campione in carica.

Michael entra per il rifornimento, mentre il suono del motore McLaren di Mika si fa sempre più nitido e pieno. Sente la voce di Brawn che gli mormora e poi gli urla via radio qualcosa come “Sembra buono, sembra buono… è dannatamente buono! Vai! Sei in testa!”. Sa bene che, ora, il destino è nelle sue mani.

Suzuka, ultimo giro. Schumacher è totalmente divorato dall’emozione, nonostante tenti in tutti i modi di restare concentrato sul volante e sull’asfalto. Poi, d’improvviso, eccola, la linea del traguardo. Il tedesco esplode in un urlo isterico, picchia così forte le mani sullo sterzo al punto di romperlo, la sua voce acuta e commossa riesce a riprodurre una sola, ripetuta, esclamazione: “We didi it! We did it!”.

Quando parcheggia la sua Ferrari, Michael è evidentemente stremato, esausto. Toglie il casco, e attorno a lui la realtà è tinta di un solo e acceso colore rosso. Ci sono i meccanici, Brawn, Todt, vestiti della stessa felicità di chi ha visto la luce in fondo al tunnel delle sconfitte e delle delusioni.

E poi, c’è lei, Corinna. Con un bacio le trasmette tutto quello che la mente, appannata da una confuso entusiasmo, non riesce a fargli comunicare. “Niente sarà più come prima”, gli dirà Jean Todt. Ed era vero. Michael, insieme alla Ferrari, avrebbe regalato una storia d’amore che nessuno, nemmeno dopo vent’anni, avrebbe mai dimenticato.

A proposito di Beatrice Frangione

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