Wembley ’76: un tifoso del Portsmouth fa grande il Southampton

Nella finalissima di FA Cup l’underdog batte la favorita: Bobby Stokes, tifoso degli acerrimi rivali del Saints, piega il Manchester United.

di Stefano Ravaglia

L’alfa grigia si arresta nel parcheggio della mia abitazione. Scendo, saluto il mio caro amico di trasferte, apro la porta, e poi schiaccio il bottone dell’ascensore. Salgo al secondo piano e dopo una domenica passata a tifare per i miei colori, infilo la chiave nella toppa ed eccomi rientrato in tempo per i secondi quarantacinque minuti della finale di Coppa di Lega inglese.

Lascio che le luci irradino il mio salotto, e non perdo tempo ad accendere la tv. Un frastuono invade la stanza, eppure non siamo a Wembley. Il chiassoso incitamento di trentamila o forse più tifosi dei Saints è dirompente e buca anche il mio appartamento. L’impianto inglese che trasuda storia da tutti i pori non è però più quello di una volta, con le due celebri e romantiche torri e la pista per le corse dei cani, ma stasera il tempo sembra essere tornato indietro.

Giusto qualche minuto per una doccia, ma in Inghilterra non puoi mai assentarti o distrarti: riesco per poco a intercettare il pareggio del Southampton, che sotto due a zero adesso ha rimesso le cose in parità. «I tifosi dei Saints rincorrono il sogno di un trofeo, che manca da quarantuno anni», gracchia il telecronista.

Amo scrivere, e con l’istinto tipico dello scrittore, quell’idea che ti piomba in testa quando meno te lo aspetti, quella intuizione che esplode nel tuo cervello e che hai necessità immediata di buttare su carta, non bisogna farsela scappare. Così mi faccio incuriosire non poco da quell’espressione «quarantuno anni» e decido che stasera voglio raccontare un’altra storia, io che amo raccontare fiabe di calcio, che poi fiabe non sono perché il pallone rotola sul serio e rimontare lo United, vincere una FA Cup da underdog o sbaragliare i bookmakers portando il titolo a Leicester, è più che possibile.

Dunque i conti sono presto fatti, per vedere scene di festa a Southampton, città di porto dell’ovest inglese da dove salpò il Titanic, bisogna riavvolgere il nastro al 1976. É quello l’anno d’oro dei Saints, che trasformano una anonima stagione in Second Division (sì, nel linguaggio del calcio moderno è la Championship di oggi) in un marchio incandescente che si stampa sull’albo d’oro della Coppa d’Inghilterra, quella più importante, la FA Cup. Qualcosa vi sfugge? Suona strano che una squadra di Serie B possa sollevare il trofeo più ambito? Ebbene, è successo anche a una formazione amatoriale di fare centro, l’Old Etonians, seppur in epoca preistorica, ma per ben due volte: 1879 e 1882. Ma questa è un’altra storia.

Il Southampton edizione 1975-76 riuscì a migliorare il tredicesimo posto dell’anno precedente arrivando sesto a soli quattro punti dalla promozione. Era l’alba di un buon ciclo per i biancorossi, che da lì a un paio d’anni sarebbero stati promossi nell’Olimpo del calcio inglese, la Prima Divisione, per rimanerci addirittura un trentennio. Il manager era Lawrie McMenemy, classe 1936, nativo di Gateshead, una cittadina di circa settantottomila persone immediatamente a sud di Newcastle che ha partorito anche l’attaccante ex Liverpool e West Ham, Andy Carrol, ma soprattutto un certo Paul Gascoigne.

E proprio da Newcastle iniziò la sua carriera di giocatore, seppur abbia vestito solo la maglia delle giovanili senza mai approdare in prima squadra. Poi passò al Gateshead, giocandovi per due stagioni prima che un infortunio ne interruppe la carriera. Iniziò dunque il suo percorso di allenatore, peregrinando tra Bishop, Doncaster e Grimsby, vincendo un paio di campionato di quarta divisione, prima di stringere un patto d’amore con il Southampton che guiderà dal 1973 al 1985.

In campo invece c’era una squadra interessante e la sua punta di diamante era certamente Peter Osgood, arrivato nell’Hampshire direttamente dal Chelsea, con una valigia colma di 103 reti segnate nelle sole partite di campionato, in quasi trecento presenze con i Blues. Lui sapeva come si vinceva la FA Cup, c’era riuscito nel 1970 e nei suoi anni londinesi aveva portato a casa anche la Coppa delle Coppe l’anno seguente. Era stato acquistato per una cifra record, 275.000 sterline.

Si intendeva di gol e di finali anche Jim McCalliog, attaccante che aveva fatto le fortune del Wolverhampton con il quale aveva vinto una Coppa di Lega e aveva perso una finale di Coppa Uefa nello scontro fratricida contro il Tottenham. Passato al Manchester United, a quel tempo in Second Division, festeggiò la promozione vincendo il campionato sotto la guida di Tommy Docherty, ma prima di tutto questo era salito alle cronache britanniche per ben altro motivo: aveva segnato, il 15 aprile 1967 a Wembley, il gol del decisivo 3-2 per la Scozia sull’Inghilterra campione del mondo in carica, nello scomparso Torneo Interbritannico.

E Bobby Stokes? Da sempre tifoso del Portsmouth, acerrimo rivale del Southampton, passò ai rivali nel 1968 per le difficoltà finanziare dei Pompey. E poi c’era Michael Roger “Mike” Channon. Che vestiva biancorosso dal 1965 e avrebbe vissuto due vite con i Saints: una, la prima, si sarebbe conclusa nel 1977, l’altra, un fortunato ritorno, dal 1979 al 1982. Era riuscito a vincere una classifica cannonieri nel 1974 quando il Southampton retrocesse, ed è ancora oggi il miglior marcatore della squadra nelle partite europee.

La FA Cup del Southampton inizia il 3 gennaio del 1976 contro l’Aston Villa. Al “The Dell”, il vecchio impianto dei Saints, vittima nel 2001 del riammodernamento generale degli stadi inglesi, e trasformatosi oggi in un quartiere residenziale con appartamenti che portano il nome delle vecchie glorie del club, la prima sfida del terzo turno finisce 1-1. Andy Gray porta avanti i Villans, per i padroni di casa risponde Fisher. C’è da giocare dunque subito un replay, e il Southampton sale sul pullman diretto a Birmingham. Mike Channon non si fa sfuggire una battuta premonitrice.

Durante il viaggio verso le Midlands, la comitiva passa per Londra, e scorgendo le due torri di Wembley, l’attaccante dice:

«Ecco, vedete là ragazzi? É dove stiamo andando!».

Lo prende in parola McCalliog, lo scozzese giustiziere dell’Inghilterra, che fa doppietta e regala ai suoi il turno successivo e il Blackpool come avversario, che una FA Cup l’aveva vinta nel 1953.

Il 24 gennaio i Tangerines vengono eliminati con un secco 3-1 e stavolta non c’è bisogno di nessun replay. Il giorno di San Valentino del 1976, il Southampton torna a Birmingham, stavolta tra i biancospini del West Bromwich. Al “The Hawthorns” (appunto, “i biancospini”) parte dei giocatori di McMenemy sono vittima di una intossicazione alimentare alla vigilia del match, tra cui Bobby Stokes. L’attaccante si riprende ed entra nel tabellino dei marcatori nell’1-1 finale.

Non c’è storia nel replay: il 4-0 finale è gran parte merito di Channon, che ha le due torri di Wembley in testa e travolge il WBA con una tripletta. A Bradford, il 6 marzo, basta una punzione beffarda del solito McCalliog, che batte al volo di destro dopo che Osgood gli alza il pallone, per guadagnarsi la semifinale, nonostante Ian Turner, portiere dei Saints, sia più volte chiamato in causa e tolga dai guai in diverse occasioni la sua squadra. A “Stamford Bridge”, il 3 aprile, i biancorossi completano l’opera. Piegando 2-0 il Palace con un tiro per la verità non irresistibile di Gilchrist e un rigore di Osgood.

Ci sono migliaia di tifosi venuti da Southampton in quel pomeriggio soleggiato e caldo di aprile, a salutare la qualificazione alla terza finale di Coppa d’Inghilterra, dopo quelle di inizio secolo, perse entrambe. Per quasi tutti sarà la prima volta che vedranno la loro squadra in una finale della competizione più vecchia della storia del calcio.

Nell’altra semifinale si affrontano il Manchester United e i campioni d’Inghilterra in carica del Derby County, e il punteggio è lo stesso, 2-0, a favore dei Red Devils. Il primo maggio del 1976 a Wembley il Southampton, in maglia gialla e pantaloncini blu, sembra non possa avere via di scampo.

Il pullman del Southampton, in avvicinamento allo stadio, urta un pedone, fortunatamente senza gravi conseguenze, data la bassa velocità con la quale procedeva in prossimità dell’impianto contornato da una numerosa folla. Un episodio che poteva mentalmente destabilizzare la concentrazione di Channon e compagni, a pochi istanti dal match, ma una volta immersi nel tunnel di quell’autentico tempio del football, tutti pensarono solo a giocarsi la finale, tenendo ben presente che nulla avevano da perdere contro i mostri sacri di Docherty.

Che rimarca il merito dei suoi ragazzi nell’essere arrivati sino alla finale e sceglie di non vestirsi molto elegante, optando per un abbigliamento sportivo prima di sistemarsi a bordo campo. Da buon ex militare invece, McMenemy indossa l’abito delle migliori occasioni.

Ian Turner è di nuovo protagonista mettendoci le mani in più di un’occasione e sventando prontamente in uscita una situazione di uno contro uno con Hill, il Southampton risponde con una occasionissima per Channon, con il portiere Stepney che sventa di piede quando il gol sembrava cosa fatta. I Saints sventano gli attacchi iniziali dello United, che colpisce anche una traversa su azione d’angolo con McIlroy, e mano a mano che passa il tempo acquistano sempre più fiducia in sé stessi.

A sette minuti dalla fine è Bobby Stokes, quello che tifava Portsmouth, a infilggere la stoccata decisiva: McCalliog alza una palombella dal cerchio di centrocampo, pescando l’attaccante che sguscia fra tre avversari, al limite del fuorigioco: Stepney questa volta si fa sorprendere sul fendente angolatissimo del numero undici, che calcia subito verso la porta e trova l’angolino.

Il “Giant Killing” è compiuto e il Southampton porta a casa, da squadra militante in Second Division e completamente sfavorita alla vigilia, la sua prima FA Cup al terzo tentativo. Il giorno seguente, la squadra sfila per le vie della città su un autobus scoperto in mezzo a un tripudio di folla che segue entusiasta il torpedone e altri tifosi che si sporgono dalle finestre e stazionano in piedi sulle grondaie. Stokes, dopo quella finale, riceve in premio una Ford Granada: peccato non abbia la patente per poterla guidare. Morirà nel 1995 a soli 44 anni per una polmonite.

McMenemy invece ricorderà:

«Rivedo una volta l’anno Buchan, il capitano del Manchester United di quel giorno. Lui non si era fermato, aveva tenuto Stokes in posizione regolare ma sosteneva ancora che non fosse così. Ogni volta che ci siamo visti abbiamo fatto questo discorso, per anni».

Osgood se ne andrà nel 2006 per un attacco di cuore, Mike Channon chiuse la carriera nel 1987, vincendo anche una Coppa di Lega con il Norwich e vestendo anche la maglia della nazionale per 46 volte segnando ben 21 reti. Oggi non si occupa più di pallone e si è dato… all’ippica, sul serio. É diventato un eccellente allenatore di cavalli da corsa e ha ottenuto vittorie e riconoscimenti in tutto il mondo.

La finale di Coppa di Lega, oggi, nel 2017, nel frattempo è finita. Stavolta ha vinto lo United, 3-2. Ma i trentamila di Southampton non smettono di cantare, come quel giorno di quarantuno anni fa nel vecchio Wembley, quando Bobby Stokes da Portsmouth scrisse la storia.

A proposito di Stefano Ravaglia

Controlla anche

L’olandese sconosciuto: René van der Gijp e l’effimero sogno nerazzurro

La traversa di un sogno sfiorato e l’eredità di una meteora nel calcio internazionale. René …

Il silenzio di Brian

Brian Epstein e i Beatles: il silenzio che ha trasformato una band in una leggenda, …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *